Timone.
                           
                           
                              
                              O sol, tu che fecondi e benedici
                              
                              
                              La terra, i suoi letali umori attira,
                              
                              
                              E d quest'orbe de la suora tua
                              
                              
                              Infetta l'aer! Gemina prole un solo
                              
                              
                              Ventre produce, e, procreati in uno,
                              
                              
                              Non hanno che una stanza ed un natale,
                              
                              
                              Nè sai che li distingua: or ben, diversa
                              
                              
                              Hanno sorte: il maggior calca il minore!
                              
                              
                              La creatura, cui serra ogni duolo,
                              
                              
                              In fortuna non sal, senza che spregi
                              
                              
                              La creatura. Un mendico solleva,
                              
                              
                              Un potente fa ignudo; e questi nutre
                              
                              
                              L'ereditario spregio, e quel s'ammanta
                              
                              
                              D'onor nativo. Il pasto impingua i fianchi
                              
                              
                              Del compagno, il fa magro la penuria.
                              
                              
                              Chi osar, chi osar potrà, nella sua pura
                              
                              
                              Coscïenza, levarsi e dir: Costui
                              
                              
                              È un piaggiator? S'egli è tale, il son tutti.
                              
                              
                              Dal più basso è piaggiato ognun che segga
                              
                              
                              Sui gradi della sorte. Si prosterna
                              
                              
                              Dotto cerèbro a uno scempion dorato:
                              
                              
                              Tutto è obbliquo, e non hanno le dannate
                              
                              
                              Nostre tempre di schietto che l'aperta
                              
                              
                              Infamia. Sian così convegni e feste,
                              
                              
                              Ed umani consorzii abbominati!
                              
                              
                              Timon disdegna altrui, come sè stesso;
                              
                              
                              L'umanità si perda e muoia! –
                              
                              
                              (Zappando il suolo.)
 
                              
                              
                              O terra,
                              
                              
                              Dammi le tue radici! E se più chiede
                              
                              
                              Altri da te, lusinga il suo palato
                              
                              
                              Col tosco più possente… Oro? che veggo?
                              
                              
                              Il giallo, prezïoso e lucid'oro?
                              
                              
                              A voi, Numi, non mando inani voti:
                              
                              
                              Radici, o voi sereni cieli! – Un poco
                              
                              
                              Di quest'oro mutar può il nero in bianco,
                              
                              
                              In bello il brutto, in virtù il vizio, il giusto
                              
                              
                              Nell'ingiusto, l'abbietto in grande, il vecchio
                              
                              
                              Nel giovine, l'eroe nel vile! – O Numi,
                              
                              
                              A che non vale? a che non vale, o Numi?
                              
                              
                              I vostri servi ei strappa, e i sacerdoti
                              
                              
                              Dall'are, e dal giaciglio de' morenti
                              
                              
                              L'origlier, fulvo araldo, i voti sacri
                              
                              
                              Tesse e rompe, il dannato benedice,
                              
                              
                              Adorar fa il lebbroso; al saggio eleva
                              
                              
                              De' Senator', fra riverenze e omaggi,
                              
                              
                              I ladri e i barattieri; a novo imene
                              
                              
                              La sconsolata vedova conduce:
                              
                              
                              A lei che impiagan sozze ulceri a gara,
                              
                              
                              Rifiuto dell'asil de' morbi, rende
                              
                              
                              Con balsami e profumi un novo aprile.
                              
                              
                              O prostituta dell'umana razza,
                              
                              
                              Dannata polve, che discordia inciti
                              
                              
                              De' popoli la folla, or va! Ti rendo
                              
                              
                              Al natural tuo loco!
                              
                              
                              (Suono di marcia militare da lontano.)
 
                              
                              
                              Oh! qual fragore?…
                              
                              
                              Benchè viva ancor sii, nel tuo sepolcro
                              
                              
                              Ti calpesto! Tu dêi, ladra malvagia,
                              
                              
                              Restar, dove d'attratti cercatori
                              
                              
                              Non ti giunga l'artiglio. Pur, mi lascia
                              
                              
                              Qualche pegno di te.