Bench’io non giunga al sexto decimo anno,
Pel che dovrei seguire el tuo consiglio,
Quale è di amore e di prudenzia pieno,
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Pure io risponderò quel che mi pare
Che alla nostra pietà più si convenga.
Tu sai ben come nacque questa guerra
Infra Alboino, el Re de’ Longobardi,
E fra Comundo, el mio padre dilecto
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Che ’l gran regno de’ Geppidi reggeva.
Onde in su questi a noi dolenti campi,
Pressi alla terra che dividon l’acque
Di Adice, ameno e furibundo fiume,
Furon le nostre miserabil genti
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Dalli inimici vinte, rotte e sperse.
Più mal giorno per me mai non si aperse,
Poi che col patre non rimasi morta,
Ma con poche donzelle in aspri boschi
Fuggimo a’ piè di questi umbrosi colli.
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Qui viver non si può né gire altrove:
Però, inanzi ch’io varchi l’onde stige,
Vorrei coprir quelle infelice membra
Con quel poco di terra ch’io potessi.
E questo più mi affligge, che pur dianzi
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Mi apparve in sogno sua dolente imago,
Che piena avea di polvere e di sangue
La barba, e crini e la squarciata veste,
Ferito el volto e trapassato el petto
E in mille parti lacerato e guasto
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E trasformato in guisa che la voce
Mel fece e non la fronte manifesto.
E con duri singulti e largo pianto
Sciolse da la sua lingua tal parole:
Rosmunda, ’nanzi allo aparir del sole
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Rendi el mio corpo a la gran matre antica,
Che qui iace vicin presso a quel fonte.
Io sono a te venuto in questa forma
Perché delle fatiche tue m’increbbe
E parimente ancor per admonirti
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Che ’l dì non ti ritrovi in queste parti,
Che gente assai ti cercaranno alora
Per darti ne le man del mio nimico.
E dicto questo, sparì via come ombra.
Onde grave pensiero el cor m’ingombra,
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Né trovo modo che fuggir mi possa,
Giovane incauta e senza nulla scorta.
E si pur Almachilde fussi in campo,
Come non è, per lo amor che mi porta,
Forse sperar potrei qualche soccorso.
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Ma pur ch’io faccia le pietose exequie,
Venga che può ch’io non mi disconforto.