Texto utilizado para esta edición digital:
Giraldi, Giovan Battista. Egle. A cura di Carla Molinari. In: Cremante, Renzo (ed.), Teatro del Cinquecento, vol. 1 Tragedia. Milano-Napoli: Riccardo Ricciardi Editore, 1988, pp. 881-967.
- Semplice, Silvia
A DAMONE
Mentre in Arcadia Titiro se ’ngegna
Di dare a Pane i primi antichi onori,
Acciò che tra le ninfe e tra i pastori
La famiglia di Bacco apra l’insegna,
A te per la virtude che ’n te regna
Ricorre Pan da’ soletari orrori
E pregati ch’acciò che ogniun l’onori
Gli doni sede a le sue feste degna.
Dunque apri a’ prieghi suoi, Damon, gli orecchi
E volgi a lui da le tue greggie il core,
Sì che ’n pregiarlo ogniuno in te si specchi:
Che Pan vedrai per queste selve darti
Latte in gran copia et il maggior pastore
Farti ch’egli abbia in tutte l’altre parti.
AL MAGNIFICO M. BARTOLOMEO CAVALCANTI
Tre cose tra le altre, Magnifico Messer Bartolomeo, sono sovente principale cagione
che i nuovi componimenti che da sé sono degni di loda appresso quelche tòrto giudicio
ricevan biasimo. L’una delle quali è l’ignoranza altrui, l’altra il troppo persuadersi
di sapere, la terza l’altrui invidia. Perché coloro che non sanno non stimano buono
se non quello ch’è lor proprio, ciò è l’ignoranza. E quelli che si persuadono di sapere
tutte le cose, veggendosi non essere iti con lo ’ngegno tanto oltre, quanto alle volte
veggono andare altri, cercano col biasimare gli apportatori delle cose nuone serbarsi
quella riputazione ch’essi s’hanno acquistato appresso tale che si ha creduto poter
sapere, col mezzo loro, ogni lodevole cosa. E gli invidiosi, che sempre con dolente
occhio mirano il bene altrui, quanto più vaghe veggono apparir le cose nuove e più
atte ad accrescere pregio a’ loro auttori, tanto più cercano macchiarle col loro veleno,
accioché meno vaghe e men leggiadre si scuoprano a gli occhi di chi le dee mirare.
Per questo adunque, veggendo io a che rischio i’ mi poneva e quanto gran campo io
dava a simili genti di lacerarmi, s’io dava fuori la Satira mia, cosa non pur nuova,
ma (s’io non me ’nganno), né anche conosciuta da molti a’ tempi nostri, meco avea
deliberato tenerla ascosa e nel seno godermi d’essere stato io il primo che dopo mill’anni
e più avessi posto in questo campo il piede. Ma dopoi, sapendo ch’i dotti, che sono
d’animo sincero, prendono piacere di quello che a quegli altri è di noia e bramano
ch’ogni dì appaia cosa onde si destino i belli ingegni ad arricchire questa nostra
volgar favella, ho voluto più tosto piacere a questi pochi tali (che dopo che la mi
fero porre in scena, più e più volte chiesta la mi hanno), che per la moltitudine
di quegli altri essere tenuto da questi poco cortese. Oltre che ’l persuadermi che
questa mia nuova favola potrebbe essere duce a’ gentilo spiriti a farli giungere,
in questa maniera di scrivere, là ov’io forse non sono arrivato, mi ha non poco invitato
a darla fuori. Avendo adunque meco proposto di lasciarla uscire, a voi tra’ dotti
giudiziosissimo e tra’ giudiziosi dottissimo ne faccio cortese dono, sicuro che se
voi colla vostra dottrina e col vostro giudizio non potrete raffrenare l’altrui mal
dire, potrete almeno colla ragione in mano, dalla quale a mio giudicio in questo componimento
non mi sono scostato, far vedere a chi sarà capace del vero il poco sapere de gli
ignoranti e la troppa persuadione e malvagità de gli altri; e che se questa Satira
non ha in sé la real maestà della Tragedia, né la civile piacevolezza della Comedia,
porta però tanto seco del proprio a lei, che non è nella sua spezie imperfetta appresso
di chi sa di che membra vogliono essere composte questa e quelle. Coglietela adunque
et insieme con lei il vostro Giraldi, non meno affezionato alla vostra molta vertù,
che merti la benignità e la cortesia che sempre amorevolissimamente l’avete mostro.
Giovan Battista Giraldi Cinthio
EGLE SATIRA DI M. GIOVAN BATTISTA GIRALDI CINTHIO DA FERRAR
fu rappresentata in casa dello auttore l’anno m.d.xlv. una volta a’ xxiiii di febraio. et un’altra a’ iiii di marzo all’illustriss. signore il s. ercole ii. da esti. duca iiii. et all’illustriss. e reverendiss. cardinale ippolito ii. suo fratello. la rappresentò m. sebastiano clarignano da monte falco. fece la musica m. antonio dal cornetto. fu l’architetto et il pittore della scena m. girolamo carpi da ferrara. fece la spesa l’università delli scolari delle leggi
L’ARGUMENTO
I Dei silvestri innamorati delle ninfe de’ boschi, inteso ch’i Dei del cielo si son dati ad amarle, cercano di non le si lasciar tòrre. Perciò colla astuzia d’Egle le conducono in ballo co’ fanciulli loro, rimanendo essi nascosti. Mentre sono in ballo, si danno a volerle rapire. Le ninfe, scoperto lo ’nganno, se ne fuggono al bosco, er ivi sono mutate in varie forme, lasciati tutti dolenti i Dei silvestri.
LE PERSONE CHE PARLANO
SILVANO |
SATIRO |
FAUNO |
SILENO |
EGLE |
CROMI |
MNASILO |
CORO , Il Coro è di Satiri. |
OREADI |
DRIADI |
NAPEE |
NAIADI |
PANE |
SIRINGA |
AMADRIADI |
[NINFE] |
SATIRI PICCIOLI |
[SATIRI] |
IL PROLOGO
ATTO PRIMO
SCENA I
SCENA II
SCENA III
SCENA IIII
ATTO SECONDO
SCENA I
SCENA II
SCENA III
SCENA IIII
ATTO TERZO
SCENA I
SCENA II
SCENA III
ATTO QUARTO
SCENA I
SCENA II
SCENA III
SCENA IIII
SCENA V
ATTO QUINTO
SCENA I
SCENA II
SCENA III
SCENA IIII
SCENA V
DEDICAZIONE