Thomas Heywood, A Woman Killed with Kindness

Una donna uccisa con la dolcezza





Texto utilizado para esta edición digital:
Heywood, Thomas. Una donna uccisa con la dolcezza. Tradotto da Carlo Linati. Milano: Rosa e Ballo Editori, 1945.
Adaptación digital para EMOTHE:
  • Tronch Pérez, Jesus (Artelope)

DRAMATIS PERSONAE

Master Frankford
Sir Francis Acton, fratello di Mistress Frankford
Sir Charles Mountford
Master Wendoll, amico di Frankford
Master Malby, amico di Sir Francis
Master Cranwell
Shafton, falso amico di Sir Charles
Il vecchio Mountford, zio di Sir Charles
Tidy, cugino di Sir Charles
Sandy
Roder
Nicholas
Jenkin
Roger Brickbat
Jack Slime
Spigot, dispensiere
Lo Sceriffo
Un Sergente, un Guardiano delle carceri, Officiali, Falconieri, Cacciatori, un Birro, un Cocchierre, Carrettieri, Servi e Musicanti
Mistress Frankford
Susan, sorella di Sir Charles
Cicely, cameriera di Mistress Frankford
Cameriere, Ragazze.

Scena al nord dell’Inghilterra.

Scena I. –

Sala in casa di Frankford.
Entrano Master Frankford, Mistress Frankford, Sir Francis Acton, Sir Charles Mountford, Master Malby, Master Wendoll e Master Cranwell.

SIR FRANCIS
Un po’ di musica qui. Nessuno fa danzare la sposa?

SIR CHARLES
Sì, s’ella volesse danzare «Il ballo delle lenzuola». Ma quello è un genere di danza che ci penserà suo marito a fargliela ballare.

WENDOLL
Non è la danza che tutti han da danzare, secondo la ballata.

SIR FRANCIS
Musica oh! Con tua licenza, sorella, e con quella di tuo marito, la mano che quest’oggi ti è stata offerta in chiesa voglio scambiarti con la mia. Musica! Questa musica di nozze mi mette il diavolo indosso.

FRANKFORD
Sgambetta pure che tu sei libero e leggero, che quanto a me il matrimonio m’ha ormai legato i piedi.

SIR FRANCIS
No, no, devi danzare tu pure, cognato.

SIR CHARLES
Master Frankford, voi siete un uomo beato e gran gioia accompagna il vostro maritaggio. Vi siete tolta in sposa una fanciulla ricca di tutte le più belle qualità, altamente ornata di mente e di corpo. Nobile di nascita, ebbe tale educazione qual s’addirebbe alla figlia d’un principe. Conosce ogni lingua e la sua mano sa apprendere a ogni strumento le più belle modulazioni. In una parola, per compir sua lode, essa è la più giovane figlia di Bellezza e Perfezione.

FRANKFORD
Se non conoscessi la tua probità e il tuo casto sentire potrei anche esser geloso di queste tue lodi, Sir Charles.

CRANWELL
Egli non disse cosa che voi non possiate approvare.

MALBY
Né elogi che non le sien dovuti.

MISTRESS FRANKFORD
Io vorrei che le vostre lodi trovassero un tema più adatto delle mie povere bellezze; ma tali qual sono se piacciono a mio marito garbano anche a me, sua moglie. Il suo contento è come lusinghevole specchio che fa il mio viso piú bello persino ai miei occhi, mentre il più tenue cipiglio sulla sua fronte appassirebbe le fiorenti rose delle mie guance.

SIR FRANCIS
Già così brava sposa, e dolce e paziente. Come strano suona il nome di marito sulle tue labbra, o sposata appena da tre ore! E questo è bene, sorella. Gran mercè, cognato, ch’ella già ti sia così devota, e «caro marito» ti chiami e ti faccia inchini fin dal primo giorno! Notate, notate questo voi, scapoli, che non mai aveste grazia d’uomini decenti.

FRANKFORD
Tua sorella, Sir Francis, non ha preso da te. Tutto il suo selvaggio sangue tuo padre in te lo trasfuse, e tu sei suo erede in tutto: ma tua sorella ebbe in dote la modestia di sua madre.

SIR CHARLES
Nobile signore, in qual felice stato tu vivi. A te è diletto questa mattina di nozze che per molti sarebbe stato grave fardello a portarsi e costei che tu sposi non ti sarà certo d’ingombro; anzi ti si adatta come abito ben fatto nel quale il sarto abbia profuso tutta la sua arte e non come stretto vestito giù di moda e da portarsi d’estate. Essa non è catena che t’abbia a stringere il collo come un giogo, ma come collana d’oro che tu puoi portare per bellezza. Vi adornate reciprocamente e le vostre mani son compagne. C’è parità in questa bella unione. Ambedue giovani, ambedue colti e di alta casata. Direi che c’è una musica in questa vostra simpatia e che comporta un’egual sorte e aspettazione di molta gioia che Iddio vi vorrà concedere da questo primo giorno sino al vostro dissolvimento totale.

SIR FRANCIS
Ma ormai vi abbiam trattenuti qui fin troppo, mio cognato. Adesso in salone! Andate a salutare gli ospiti, che altrimenti potrebbero dubitare di esser ben accolti e tacciarti di scortese.

FRANKFORD
E così io vi lascio qui a godervi le danze.

MISTRESS FRANKFORD
E così farò io.

(Exeunt Frankford e Mistress Frankford.)

SIR FRANCIS
Ed ora, belli miei, mentre i musicanti accordano i loro strumenti e giovinotti e ragazze del paese, con nastri e pizzi nei capelli, danzano gighe e rondò, che farem noi? Udite, udite come son tutti scatenati e che gran da fare si dànno come cavalli da mulino a prillare in tondo, e certo non in punta di piedi. E fan capriole non senza qualche tonfo. Vedrete domani il pavimento come vorrà esser tutto scalfito dai loro scarponi!

SIR CHARLES
Bene, lasciamoli al loro tripudio. Sir Francis Acton, voglio fare una scommessa con voi. Trovatevi domani a Chevy-Chase: voglio lanciare il mio falco col vostro.

SIR FRANCIS
E per quanto?

SIR CHARLES
Per cento sterline.

SIR FRANCIS
Datemi garanzia in oro.

SIR CHARLES
Ecco qua dieci «angeli». Domani son certo mi renderanno tre volte tanto su l’ali del mio falco.

SIR FRANCIS
Patto conchiuso. Ed ecco qua altre cento sterline sui vostri cani. Accettate, Sir Charles?

SIR CHARLES
Accetto. Eccovi la mano. Cento sterline sulla prima corsa.

SIR FRANCIS
Fatto.

WENDOLL
Scommetto dieci «angeli» sul falco di Sir Francis Acton e altrettanto sui miei cani.

CRANWELL
Io sto per Sir Charles Mountford: conosco bene il suo falco e il cane. Ambedue provati.

WENDOLL
Su, ponete la posta, Cranwell, che se fossero anche cinquecento saran tutti miei.

SIR FRANCIS
Siate su presto domattina al canto dell’allodola; quanto a me mi leverò prima che il sole lasci il suo letto.

SIR CHARLES
Se manco, dite che non sono gentiluomo.

SIR FRANCIS
Andiamo a danzare. Domattina per tempo prepareremo i cavalli. Dobbiamo esser su, tre ore prima della sposa.

(Exeunt.)

Scena II.-

Un cortile.
Entrano Nicholas, Jenkin, Jack Slime e Roger Brickbat con ragazze del paese e alcuni musicanti.

JENKIN
Vien qua, Nick, e dài il braccio a Joan Miniver e tu, Jack Slime, vien quaggiù con Cicely secchiadilatte ch’io mi prenderò con me Jane Trubkin: mentre Roger Brickbat darà il braccio a Isbel Motley. Adesso poi che i signori se ne stanno in salone a chiacchierare, su, diàmoci dentro che vogliamo fare un bel chiasso qui in cortile.

NICHOLAS
Il mio umore non è compendioso; danzare non è affar mio: eppure dacché son caduto tra le braccia di Cicely secchiadilatte, mi ci voglio provare.

SLIME
In verità, Nick, ancorché noi non siamo servi di secondo rango, servi lo siamo pur sempre, come creature; poiché noi siamo designati a servire buoi, pecore e cavalli e rane e roba simile.

SLIME
Ebbene su che cosa si danza? «Rogero»?

JENKIN
No «Rogero». Danzeremo «Il principio del mondo».

CICELY
Nulla mi piace danzare quanto «Gianni vien qua e baciami».

NICHOLAS
Io propongo invece «La danza del cuscino».

BRICKBAT
Per conto mio nessuna danza è più bella di «Tom Tyler».

JENKIN
No, no, danziamo «La caccia alla volpe».

SLIME
«Il Fieno»! Nulla di piú bello del «Fieno».

NICHOLAS
Io ho detto, dico e sempre dirò… È stato, è e sempre sarà…

CICELY
Che cosa, mastro Nicola? che cosa?

NICHOLAS
«Mettiti la camicia il lunedì».

JENKIN
Su, in nome di Dio, decidetevi: altrimenti vi proporrò io un altro ballo: il «Sellenger round».

TUTTI
Sì quello, sì quello!

(Danzano. Nicholas danzando parla solenne e scorbutico, gli altri come usa in paese.)

JENKIN
Ehi, su, ragazzi, è la vostra volta!

(Exeunt.)

Scena III.-

Aperta campagna.
Suoni di corno. Entrano Sir Charles Mountford, Sir Francis Acton, Malby, Cranwell, Wendoll, Falconieri e battitori di caccia.

SIR CHARLES
Così, ben lanciato! In alto, in alto! Bel volo! E adesso attenti che l’agguanta a capofitto e la ripiomba fino a terra come un fulmine.

WENDOLL
E così s’è beccato dieci «angeli» dalle mie tasche.

SIR FRANCIS
E cento sterline dalle mie.

SIR CHARLES
Falconiere?

FALCONIERE
Son qua, padrone.

SIR CHARLES
Ha acciuffata la preda e comincia a spennarla. Non punirlo ma strappagli l’uccello dalle grinfie e i geti e le campanelle. Via!

SIR FRANCIS
E anche il mio falco ha ucciso.

SIR CHARLES
Ma non a monte come il mio.

SIR FRANCIS
Datene giudizio, signori.

CRANWELL
L’avete perduta in ogni modo.

WENDOLL
Già, ma il nostro falchetto da prima ha spennata la preda poi l’ha riattaccata dalla parte del fiume.

SIR CHARLES
Avete perduto, avete perduto.

SIR FRANCIS
Non l’ammetto. Il mio pure ha agguatata la preda; e voi potete vedere le sue unghie piene di piume. La parte inferiore dei suoi artigli era macchiata di sangue: non dell’uccello solo; gli aveva strappato alcune penne, ma poi se l’è svignata. Là, là, il vostro falco non è che un assassino bell’e buono.

SIR CHARLES
Come dite?

SIR FRANCIS
E anche i vostri cani son dei menacoda e null’altro: quasi di scarto.

SIR CHARLES
Mi fate montare il sangue al cervello. Voi non avete un solo cane buono in tutto il vostro canile né buon falco sulle vostre gruccie!

SIR FRANCIS
Come, come, cavaliere?

SIR CHARLES
Ebbene, signore, vi dico che guadagnereste tanto con le vostre vanterie quanto avete guadagnato con la scommessa sui vostri cani. Siete un bonannulla.

SIR FRANCIS
Ma non nell’appiopparvi un ceffone.

SIR CHARLES
Provatevi!

SIR FRANCIS
Tutti quelli che amano Sir Francis mi seguano.

SIR CHARLES
Tutti quelli che tengono per Sir Charles, qua dalla mia parte.

CRANWELL
Da questo lato io mi schiero.

WENDOLL
Da quest’altro mi trae il mio cuore.

(Si dividono in due parti. Sir Charles Mountford, Cranwell, il Falconiere e i Battitori lottano contro Sir Francis Acton, Wendoll, il suo Falconiere e i suoi Battitori. La banda di Sir Charles ha la superiorità e pone in fuga l’altra, uccidendo due uomini di Sir Francis.)

SIR CHARLES
Mio Dio! che ho mai fatto, che ho mai fatto! Il furore m’ha piombato in un mare di sangue dove l’anima mia affoga! Poveri innocenti, di cui dovremo rispondere! E io, io sono il vincitore! Bella vittoria, davvero, mentre vorrei sacrificare questa mia mano destra, anzi questo mio capo per poter tornare a spirare in essi la vita che ho loro strappato! Perdonami, oh perdonami, Signore, il furore del sangue e dell’ira che m’ha messo fuor di senno… Sir Francis se l’è data a gambe e con lui tutti quelli della sua masnada: e io son qui, solo, col mio rimorso e, pur nel mio trionfo, sopraffatto!

(Entra Susan.)

SUSAN
Oh Dio, mio fratello ferito, e in mezzo a questi morti! È giunto al mio orecchio lo strepito di questa rissa e son qua accorsa temendo ch’egli venisse ferito.

SIR CHARLES
Oh sorella, sorella, ferito al cuore.

SUSAN
Non voglia il Cielo!

SIR CHARLES
Ferito, ferito, sorella, nel far cosa ch’Egli vietava.

SUSAN
Ma non al cuore, spero.

SIR CHARLES
Sì, sì, al cuore.

SUSAN
Oh Dio, un chirurgo, un chirurgo!

SIR CHARLES
Chiama un chirurgo per l’anima mia, sorella. Queste scalfitture non son niente, ma il delitto che ho commesso mi ha aperta una larga ferita nel cuore.

SUSAN
Ma, Charles, che hai tu fatto? Sir Francis ha amici potenti e ti perseguiterà con tutte le armi della legge.

SIR CHARLES
La mia coscienza è diventata la mia nemica e mi perseguiterà peggio di Atteone.

SUSAN
Fuggi allora, fratello caro.

SIR CHARLES
Ma potrò io mai allontanarmi da te?

SUSAN
Fuggi dal tuo nemico.

SIR CHARLES
Ma tu, sorella, sei il mio amico migliore e fuggendo da te io ne morrò.

SUSAN
La tua compagnia mi è cara come la pupilla de’ miei occhi e lungi da te non avrò più alcuna pace: eppure fuggi, ti dico, se vuoi aver salva la vita. Che m’importa se anche dovessi passare tutto il mio avvenire nella più tetra desolazione, se ti so al sicuro? Ancorché il solo pensiero di dover passare una sola settimana lungi da te mi faccia scorrere lacrime a dirotto per le guancie?

SIR CHARLES
No, no, tu non devi piangere: voglio rimanere, malgrado tutto e in onta del pericolo. Vivrò con te. Non vorrò cedere la mia terra e la modesta ricchezza di mio padre, né la tua dolce bellezza, per una vana speranza di vita.

(Entra lo Sceriffo con Ufficiali.)

SCERIFFO
Sir Charles, contro ogni mia volontà, son obbligato ad arrestarvi. Sono spiacente che abbiate versato sangue d’innocenti. Mi fu riferito ch’eravate fiancheggiato da amici, e perciò me ne venni armato.

SIR CHARLES
Oh signor Sceriffo, io era qua infatti con molti amici, ma guardate, tutti mi hanno disertato e sola m’è rimasta, nella sfortuna, questa mia cara sorella. Vi conosco come gentiluomo onorato: vi cedo la spada e mi rimetto al vostro volere. Conducetemi dove v’aggrada.

SCERIFFO
In prigione allora, dove dovrete rispondere della vita di questi morti.

SUSAN
O Dio! o Dio!

SIR CHARLES
Dolce sorella, ogni grido del tuo cuore accresce la mia pena: la tua angoscia batte forte dentro il mio petto.

SCERIFFO
Signore, volete seguirmi?

SIR CHARLES
Dove vorrete.

(Exeunt.)

Scena I.-

Lo studio di Frankford.
Entra Frankford.

FRANKFORD
Come sono felice nel mio umile stato! Sono gentiluomo e per nascita quasi pari ad un re. Un re non è qualcosa più di me. Ho molte buone rendite sufficienti a conferire dignità ad un vero gentiluomo, poi coltivando il mio spirito ho studiato molte arti e ho tratto buon profitto dalle ricchezze della mia mente e dalle mie proprie. Ma, soprattutto, posseggo una brava e casta compagna che m’adora, ch’è tutta perfezione, sincerità e delicatezza: per modo che se esiste in terra uomo che possa dirsi veramente beato, quello sono io.

(Entra Nicholas.)

NICHOLAS
Padrone, c’è là fuori un gentiluomo che vorrebbe parlarvi.

FRANKFORD
È venuto a cavallo?

NICHOLAS
A cavallo.

FRANKFORD
Prègalo di scendere che lo raggiungerò tosto. Lo conosci, Nic?

NICHOLAS
Sì, il suo nome è Wendoll. Sembra sia venuto di furia perché il suo cavallo è imbrattato di fango sino al ventre. Di certo ha cavalcato per paura o per scommessa.

FRANKFORD
Fallo entrar subito. (Nicholas esce.)
Questo Wendoll l’ho già notato e il suo portamento mi piacque molto. Ho potuto rilevare molte eccellenti qualità in lui. È affabile, è versato in molte cose, discorre bene, è uomo di compagnia e quantunque non ricco, è di buona casata. Gli avevo già assegnato un posto nella mia stima e considerazione.

(Entra Wendoll, Mistress Frankford e Nicholas.)

MISTRESS FRANKFORD
O caro marito, il signor Wendoll qui ti reca le più tristi nuove che udisti mai.

FRANKFORD
Quali, cara moglie? Quali, buon signor Wendoll?

WENDOLL
Avete udito della scommessa intervenuta fra Sir Francis Acton e Sir Charles Mountford.

FRANKFORD
Sì, certo, coi loro cani e falconi.

WENDOLL
Ebbene, ambedue le partite furon giocate.

FRANKFORD
Ah, e chi vinse?

WENDOLL
Sir Francis, vostro cognato, ebbe la peggio, e perdè la scommessa.

FRANKFORD
Ebbene, forse è stato pel suo meglio. La sorte lo favorirà poi un’altra volta.

MISTRESS FRANKFORD
Ma tu non hai udito tutto. Sir Francis ha perduto, e non volle cedere. Alla fine i due cavaliere son venuti a contrasto, dalle parole son passati ai colpi, e così i loro compagni si misero gli uni contro gli altri: e fu nel furore di questa rissa che il valoroso Sir Charles uccise due degli uomini di tuo cognato: il suo falconiere e il suo buon battitore, ch’egli prediligeva assai. E parecchi altri furono feriti.

FRANKFORD
Mi spiace, mi spiace pel cavaliere. Ma mio cognato è rimasto illeso?

WENDOLL
Interamente, ma il povero Sir Charles è stato condotto in prigione e dovrà rispondere di quei delitti.

FRANKFORD
Grazie, signore, per la pena che vi siete dato a venirmi ad avvertire di tutto questo. Sir Charles troverà amici a stento. Il suo caso è odioso e sarà certo sottoposto a severo giudizio. Sono spiacente per lui… Signore, e adesso una parola a voi. So che siete un gentiluomo compito, ancorché le vostre disponibilità sieno modeste. Vi prego di approfittare della mia tavola e della mia borsa: esse sono a vostra disposizione.

WENDOLL
Ma io non merito tanto, signor mio.

FRANKFORD
Là, là, non siate troppo modesto. Siete ricco di belle qualità e di molti meriti. Scegliete fra i miei servi quel che più v’aggrada, e sarà vostro. Di più vi concedo un polledro e vi prego di sedere alla mia mensa quando vi piaccia: tutto sarà a mio carico. E siatemi amico, vi prego.

WENDOLL
Signor Frankford, io vi son già debitore per tanti favori, ma questo proprio li supera tutti e io so di non meritarne neanche il più piccolo. Ma se mi accadesse un giorno o l’altro di dover scordarmi di queste vostre cortesie che il Cielo stesso mi costringa a pagare il mio debito di riconoscenza!

FRANKFORD
Non occorre che protestiate: vi so virtuoso e perciò riconoscente… Ti prego, Nan, usagli le tue migliori cortesie.

MISTRESS FRANKFORD
Fin dove me lo concederà la mia modestia mi farò un dovere di accogliere il tuo amico.

FRANKFORD
Ed ora a pranzo, signori. E da oggi voi siate il benvenuto in casa mia. Andiamo.

(Exeunt Frankford, Mistress Frankford e Wendoll.)

NICHOLAS
Questo tipo non mi va in alcun modo… Bah, sento che potrei arrivar ad azzuffarmi con lui, e non so il perché. Lui e il demonio per me sono una cosa sola.

(Entra Jenkin.)

JENKIN
O Nicholas, chi è quel signore ch’è entrato poco fa? Il padrone gli ha concesso uno di noi per servirlo e suppongo che la scelta cadrà su di te.

NICHOLAS
Amo il mio padrone, e lo giuro su questa spada. Ma piuttosto che dedicarmi a colui lascio il servizio.

(Entra Cicely.)

CICELY
Nicholas, dove sei, Nicholas? Vien qua ad aiutare il nuovo ospite a cavarsi gli stivali.

NICHOLAS
Se gli cavo gli stivali voglio mangiarmi i suoi speroni. Che poi, magari, mi si pianteranno in gola come le lappole!

CICELY
Allora, Jenkin, vien qua tu.

JENKIN
Non rifiuterei, ma il mio padrone mi ha dato qui un mantello da spazzolare…

CICELY
Vieni, fa presto che poi avrai da pulirti le mani ed entrare a servir tavola.

JENKIN
Lo vedete, signori miei, che se è pomeriggio per voi è soltanto buon mattino per noi, che non abbiamo ancora pranzato: state qui un momento ch’entrerò a servire la prima portata poi ritorno qua.

(Exeunt.)

Scena II.-

Stanza di prigione.
Entrano Malby e Cranwell.

MALBY
È giorno d’assise, e potreste dirmi, in favore, come il giovane Sir Charles è stato giudicato? Fu prosciolto o dovrà sottostare al duro castigo di legge?

CRANWELL
È stato prosciolto da ogni accusa nonostante i suoi nemici che si accannivano a togliergli la vita: senonché per ottenere questa assoluzione egli ha speso tutte le rendite che il padre suo gli aveva lasciato ed è ridiventato un semplice borghese, senza più alcuna agiatezza. Guardatelo, ecco che viene.

(Entra Sir Charles e il Guardiano delle carceri.)

GUARDIANO
Pagate la spesa della prigionia e poi sarete libero.

SIR CHARLES
Prendete, guardiano, prendete i pochi avanzi delle mie sostanze. Gli amici m’hanno alleggerito la borsa, ma è già qualcosa la libertà che m’avete dato.

MALBY
Che Dio vi rallegri, amico. Son felice di vedervi all’aperto, Sir Charles!

SIR CHARLES
Sono diventato il più povero cavaliere di tutta Inghilterra, signor Malby. La vita m’è costata tutto il mio patrimonio. Che Dio perdoni agli autori della mia miseria.

(Entra Shafton.)

SHAFTON
Sir Charles, qua la mano! Siete dunque libero? Davvero che son felice di vedervi. V’occorre qualcosa? In che posso compiacervi?

SIR CHARLES
Ohimé, non son degno io di aver amici che si adoprano per me e che mi possono soccorrere in questo baratro di bisogno. Vorrei essere in Cielo per ben meritare ancora dell’immortale diritto di nascita che il Salvatore m’ha conservato e che per nessuna prodigalità può esser comprato o venduto. Qui in terra quale altra gioia posso io avere più mai?

SHAFTON
Per togliervi da questi tristi pensieri riceverete da me trecento sterline: anzi cinquecento. Signor mio, la vista dell’oro è la miglior ricetta contro la malinconia, e vi rimetterà in spirito e coraggio. E potrete così contrastare legalmente contro i vostri duri avversari… Sir Charles, fate buon viso alla vostra fortuna e all’esser così scampato da tanti guai.

SIR CHARLES
O signore, essi m’han rovinato. Io aveva ereditato duemila e cinquecento sterline alla morte di mio padre e tutte tutte il crudele Acton mi ha costretto a sborsare. E malgrado ciò ebbi un bel da fare a riavere la mia libertà. Ora io posseggo solo una piccola casa di campagna e cinquecento sterline che mi servono per mantenermici con la mia amata sorella.

SHAFTON
(in disparte) E io le avrò, e mi faran molto piacere! Che se appena riesco a mettergli un dito addosso, a costui, gli caccio tutta la mano nel cuore. Non è certo per affetto ch’io gli offro del danaro, ma per mio guadagno e piacere. (Forte) Qua, Sir Charles, so che vi occorre del danaro. Accettate la mia offerta?

SIR CHARLES
L’accetto, signore, e a voi rimango debitore sino all’estremo delle mie risorse. Andiamo, signori, ad assistere allo sborso.

(Exeunt.)

Scena III.-

Una stanza nella casa Frankford.
Entra Wendoll malinconico.

WENDOLL
Sei un manigoldo se ti abbandoni a un tale pensiero. Poi se fai tanto di tentare una simil cosa… un vile schiavo sarai, dannato senza remissione… Via, voglio scacciare con un canto questa mia tormentosa passione. Un canto! Ah, ah! come se, o pazzo innamorato, potessero i tuoi occhi nuotar nel riso quando l’anima tua annega in rosse lacrime di sangue! Prego Dio che m’abbia a piantar migliori pensieri nel cuore… Ma, ahimé, preghiera è meditazione e (o Dio, perdonami!) è sempre sulle sue divine bellezze ch’io medito. Voglio dimenticarla. Voglio armare il mio cuore contro l’ansia d’amore che mi trascina verso di lei e che quando io mi ritrovi per caso in sua presenza abbia a schiacciarmi i globi degli occhi finché, i legamenti schiantandomi, sien essi distolti dal guardarla. (Si avanzano dal fondo Frankford, Mistress Frankford e Nicholas.)
Oh Dio, Dio, con qual veemenza corro alla mia perdizione! E infamerò io il suo letto? O Tu, Iddio dei tuoni, nella tua furente vendetta, con la tua grande e onnipotente mano che tutto giudica, impedisci il compiersi di un tanto misfatto: misfatto di malandrino e di traditor d’amici!

(Entra Jenkin.)

JENKIN
Vostra Signoria m’ha chiamato?

WENDOLL
(sempre fra se medesimo) Egli mi mantiene, egli mi dà da spendere molto danaro…

JENKIN
(in disparte) In fede mia, voi non fate altrettanto con me: mai ch’io riesca a cavarvi un quattrino.

WENDOLL
Il mio polledro e il mio servo…

JENKIN
(c. s.) Che siamo poi Sorrell ed io…

WENDOLL
E tal cortesia non gli è suggerita da alcun legame di parentela…

JENKIN
E anche fra noi è la stessa cosa.

WENDOLL
Non per mio merito io m’ebbi la sua amicizia: sono un semplice estraneo per lui, un povero gentiluomo, uno da cui nessun vantaggio egli può trarre; eppure m’ha collocato in cima a tutti i suoi pensieri, m’ha fatto partecipe delle migliori compagnie dello Yorkshire… Egli non può pranzare senza di me, non ridere: io son diventato indispensabile al suo corpo come la sua stessa digestione, e parimenti sta in me renderlo sano o malato. Dovrò io dunque far torto a un simile uomo? Infame! E avresti tu il coraggio di strappare con le tue mani ladre la tua imagine dal suo cuore? cancellare il tuo nome dal sacro libro dei suoi ricordi? offendere quel nome che ha così caro quanto il tuo?… Eppure io devo, io devo! E allora, Wendoll, stai pago. Che i furfanti una volta che han deciso non possono pentirsi.

JENKIN
Di che strano umore è il mio nuovo padrone! Prego Dio non sia matto che se lo fosse non ho proprio nessuna voglia d’andarlo a servire in manicomio. Può darsi ch’egli sia matto perché non mi trova…

WENDOLL
(vedendo Jenkin) Ebbene, Jenkin, dov’è la tua signora?

JENKIN
È ammogliata Vostra Signoria?

WENDOLL
Perché me lo chiedi?

JENKIN
Perché voi siete il mio padrone, e se io avessi una padrona sarei contento da buon servo di servirla.

WENDOLL
Intendo dire la signora Frankford.

JENKIN
Capperi, signore, suo marito è uscito di città a cavallo ed essa molto amabilmente lo ha accompagnato fino alla cavalcatura. Ma eccola che viene. La vedete?

(Rientra Mistress Frankford.)

MISTRESS FRANKFORD
Ben trovato, signore. Vi dirò, in verità, che mio marito prima di montare a cavallo aveva gran desiderio di vedervi. Vi abbiamo cercato intorno casa, vi abbiamo chiamato ad alta voce pei campi, mandammo a rintracciarvi per ogni dove, ma senza alcun resultato: e allora ha incaricato me di farvi i suoi migliori e più cari saluti. Anzi più. Atteso che voi apprezzate il suo affetto e avete in stima la sua cortese amicizia, vuole che, in sua assenza, vi prendiate la libertà di farla un po’ da padrone in casa sua: che sediate alla sua tavola, usiate dei suoi servi, e la facciate, insomma, da Frankford durante la sua assenza.

WENDOLL
Gli sono infinitamente grato pel bene che mi vuole… (A parte) Oh dàtemi un nome, voi che avete lingue pestilenti macchiate di fiele e veleno: chiamatemi col titolo di colui che ha ucciso vostro padre, trucidato i vostri bambini, fatto di vostra moglie la peggiore delle sgualdrine… Così, così chiamatemi, ch’io rechi stampato in viso il titolo di manigoldo, pel tradimento che sto macchinando verso un così grande amico!

MISTRESS FRANKFORD
Signore, voi siete molto caro a mio marito e molto da lui stimato.

WENDOLL
(a parte) Devoto a lui ma anche a te: e giammai vorrei dir male di tanto gentiluomo, no, mai, mai perdio… Eppure, eppure sarò io così traviato, o vorrò infiorare lo stemma di mio padre col titolo di furfante? E se io mi vieto di farlo che cosa mi ci potrà costringere? non voglio, non voglio!... Ma ecco che una furia mi trascina e il Fato veloce mi lega al suo carro e m’affretta al delitto… Debbo parlarle, debbo parlarle, debbo offendere me stesso, far torto a lei, tradire la sua fiducia!

MISTRESS FRANKFORD
Che avete, signore? Sembrate turbato. C’è tumulto nel vostro aspetto.

WENDOLL
E pure nel mio cuore, bel angelo, casto e savio. Io ti amo… Non trasalire, non parlare, non rispondermi… Io ti amo: e lascia che ti dica anche questo: che se tu mi comandassi di giurartelo, chiamerei a testimonio tutte le falangi dei Cieli.

MISTRESS FRANKFORD
Ma i Cieli vietano che Wendoll abbia a tramare di tali pensieri!

WENDOLL
Tale è il mio Fato: a questo io son nato, a portar la corona della gioia e lo scorno della sfortuna.

MISTRESS FRANKFORD
Mio marito vi vuol bene.

WENDOLL
Lo so.

MISTRESS FRANKFORD
Vi stima e vi ha caro quanto il suo cervello, i suoi occhi, il suo cuore.

WENDOLL
Lo so a prova.

MISTRESS FRANKFORD
La sua borsa è la vostra banca e la sua tavola liberalmente vostra.

WENDOLL
Sì, lo so, l’ho provato.

MISTRESS FRANKFORD
O con che viso d’acciaio potete voi dunque, senz’arrossire, parlare in tal modo alla sposa di un tale amico? È mio marito che vi mantiene nello stato in cui siete. E vorrete voi disonorare lui che ha messo in vostre mani tutte le sue faccende? Sono sua moglie ed è a me che voi parlate.

WENDOLL
Oh non dir altro! Perché ben piú di questo io so e reco impresso nel rosso volume del mio cuore. O bella, o sopra ogni cosa amata, non ho alcun ritegno a porre la mai vita nelle tue mani e per te a metter a repentaglio tutte le cose mie. Va e dillo a tuo marito. Egli mi scaccerà dalla sua casa, e sarò perduto. Non me ne importa. Sarà stato per te. Forse nella sua collera egli anche m’ucciderà: non me n’importa: sarà stato per te. E dimmi pure che sarò chiamato furfante da tutta la gente, perché ho tradito il mio miglior amico. Non me ne importa. Povertà, vergogna, morte, scandalo, biasimo, tutto io voglio soffrire. Di nulla, di nulla m’importerà, che per te io voglio vivere e per te sola morire!

MISTRESS FRANKFORD
O signore, mi muovete a compassione e pietà. L’amore ch’io porto a mio marito m’è prezioso quanto la salute dell’anima mia.

WENDOLL
Amo io pure tuo marito e pel suo affetto impegnerei la vita. Non fraintendermi; l’accrescimento dell’affetto sincero ch’io ti porto non sminuisce per nulla la mia stima verso di lui… Sarò segreto, signora, sarò chiuso e coperto come la notte: neppure il riflesso di più piccola stella brillerà qui sulla mia fronte a rivelare il nostro notturno segreto…

MISTRESS FRANKFORD
Che debbo dire?... L’anima mia si smarrisce… ha perso la sua via… Oh signor Wendoll!...

WENDOLL
Non sospirare, dolce mia santa, che ogni tuo sospiro strappa una goccia di sangue dal mio cuore.

MISTRESS FRANKFORD
Mai gli feci torto alcuno, ma se cadrò in fallo temo che esso mi si vedrà poi scritto in fronte… Mi sento arrossire, son piena di confusione e di vergogna… Oh signor Wendoll, pregate Dio ch’io non debba maledire le vostre parole che m’hanno incantata.

(Rientra Nicholas dal fondo.)

WENDOLL
Con un bacio sulla tua bocca io busso alla porta della felicità e apro il cammino della gioia.

NICHOLAS
(in disparte) Ucciderò il farabutto!

WENDOLL
Tuo marito è lontano e il tuo letto non parla… E ora non più quegli occhi bassi, non arrossire…

(Exeunt Wendoll e Mistress Frankford.)

NICHOLAS
Perdio! Voglio pugnalare quel birbante! Ah Nic, Nic, che fortuna essere arrivato al momento giusto! Amo il mio padrone e non posso soffrire quel birbante. Amo la mia padrona e questi raggiri poco mi piacciono. Oh, il mio padrone non dovrà intascare un simile affronto: piuttosto io mi mangio un dito!... Che ne dici tu, stiletto? O non ha gambe quel mascalzone di Wendoll che tu non lo possa azzoppare? non ha tendini al ginocchio che tu non possa mozzargli? Neh, stiletto, farai quanto ti dico. Da qui innanzi voglio mettermi a spiarli nei loro segreti maneggi. Non ho mai scoperto un peggior furfante da quando costui ci s’è cacciato in casa. Decisamente Satana deve averla corrotta; ed era così bella e casta!... Vorrò tener d’occhio ogni suo gesto. E io penso che se le cose andranno come han cominciato, Wendoll è una carogna e la mia padrona una sgualdrina.


Scena I.-

Una camera nella casa di Sir Charles Mountford.
Entrano Sir Charles Mountford e Susan.

SIR CHARLES
Sorella, tu ben vedi che fummo ridotti dalla sorte ad abitare questa povera casa, che non abbiamo voluto vendere. Io son costretto ad accudire ai campi e tu a mungere. Eppure non viviamo noi bene lo stesso? Bene, a Dio piacendo.

SUSAN
Tale è il mutamento, fratello, avvenuto nella nostra casa dacché è morto il vecchio Sir Charles.

SIR CHARLES
E così mutano le cose in terra, quale in bene e quale in male. Contentiamocene. Il contento è un reame, e io ne porto la corona.

(Entra Shafton con un Birro.)

SHAFTON
Buondì, buondì, Sir Charles… Che? siete qui con vostra sorella ad occuparvi della casa?... Sergente, rimanete fuori… Una bella casa, in verità, avete qui, un bel giardino e bel terreno intorno. E poiché essa giace vicino a un feudo che acquistai di recente, io volontieri ve la acquisterei. Vi potrei dare…

SIR CHARLES
Perdonatemi, Shafton. Questa casa è appartenuta successivamente ai miei ascendenti ed a me per trecento anni. Il mio bisavolo da cui la nostra famiglia cominciò a prosperare, abitò qui: è su questo terreno che il modesto possesso divenne il piccolo feudo che mio padre mi lasciò in eredità. Là dove egli, primo della nostra casata, cominciò, io, l’ultimo, finirò serbando intatto il possesso e il nostro titolo che giammai non fu contaminato da alcuna dissolutezza di discendenti. In breve non venderò il possesso neanche mi deste tanto danaro da coprirlo d’oro.

SHAFTON
Ah, ah! carattere superbo e borsa da accattone! E allora vi chiederò: Dove sono, di grazia, le trecento sterline che v’ho date in prestito, senza contar gl’interessi? Ebbene vi dirò che le ho poste in giudizio a termini di legge. Avete dunque pronto il danaro?

SIR CHARLES
Le avete poste in giudizio, a termini di legge? e avete fatto questo senza dirmi nulla? Correte agli estremi, voi!

SHAFTON
Cedetemi la vostra terra e vi prosciolgo dal debito.

SIR CHARLES
Ohimé, ohimé, sempre nuovi affanni a me e alla mia povera sorella!... Ma se vendessimo questa casa, Shafton, i nostri nomi verrebber cancellati per sempre dal registro della nobiltà: e voi vedete con quanta industria ci siamo adoperati per serbarceli… Questa palma, la vedete? crebbe e splendette d’intimo travaglio: la sua argentea frasca che mai non toccò gelo d’inverno, senza maschera o riparo, guardate con che grazia aperta affronta la gelida vernata e i suoi uragani!

SUSAN
Signore, parcamente noi ci nutriamo, noi sgobbiamo e anche dormiamo disagiati pur di conservare a noi e ai nostri figli questa piccola proprietà.

SIR CHARLES
Mi son talmente curvato a questa vita che a mala pena posso ricordare che voglia dire una nuova moda: che sia seta o satin: anzi la ricchezza e l’orgoglio son diventate per me cose interamente estranee. Ho scordato perfino i nomi di tutti coloro che venivano a farci visita, né saprei rammentar quelli dei miei cani, dalle cui bocche sonore un tempo io udivo la sola musica che piacesse al mio cuore. Che dirvi ancora? A star qui tutto mi son cambiato.

SHAFTON
(al Birro) Su, arrestatelo per ordine mio! Con processi su processi vedremo di ridurlo in perpetua schiavitù. Anzi io ti perseguiterò sino all’estremo della legge e chiamerò in giudizio anche la tua vita passata. Il custode delle carceri è mio amico, e tu avrai ferri e pene che eguali non son inflitti neanche ai cani. Via, via con lui!

SIR CHARLES
(a Susan) Mia cara sorella, le tue lacrime a nulla valgono per impietosire quest’uomo crudele. Tu va’ dal fratello di mio padre, va’ dai miei congiunti, dai miei devoti e prègali, prègali che vengano a sottrarmi da quest’uomo ingiurioso che vuol la mia rovina.

SHAFTON
Andiamo, ai ferri, ai ferri! Vieni via. Ti voglio vedere messo ben a riparo dalla vista del giorno.

(Exeunt Shafton, il Birro e Sir Charles.)

SUSAN
Il mio cuore è così indurito alla sventura che neppur la morte potrebbe trafiggerlo. Tiranno infame!

(Entrano Sir Francis Acton e Malby.)

SIR FRANCIS
Ancora in prigione? Hai tu mai visto, Malby, un povero diavolo posto a peggiori torture? E udremo noi dunque la sua voce gridare di tra le sbarre delle finestre del carcere: «Un po’ di pane, un po’ di pane, per pietà di Dio»?... Eppure, no: io non mi sono del tutto vendicato di lui. Mi dicono ch’egli abbia per sorella una gentile fanciulla. Se è così, per far un bel tiro a lui e alla sua parentela non potrei io, corrompendo lui con doni, arrivare a svergognar la sorella con atto d’impudica libidine? Gli voglio offrire molto danaro: poi, a cose fatte, ridermene di lei e della sua confusione e vergogna.

MALBY
E così, Sir Francis, sarete pienamente vendicato anche per altri torti che vi possa fare… Ma guardatela là la povera e mesta donzella.

SIR FRANCIS
Ah, ah! voglio farmi beffe della sua povertà, ridermi della sua disgrazia, sbeffeggiare il suo vile stato. Odio con tutta l’anima il nome dei Mountford… Ma acquetati, o mio cuore, che dai suoi begli occhi un dardo volò a trapassarmi l’anima… Sono come stregato, tutti i miei irosi spiriti fuggirono e con un solo suo sguardo ha infranto la mia collera.

SUSAN
Acton! che vuole il nostro sangue!

(Fugge via.)

SIR FRANCIS
O casta, o bella!

MALBY
Sir Francis, ebbene, Sir Francis! Perdio, ma siete in cimbali? Su, Sir Francis, che diavolo vi prende?

SIR FRANCIS
Non era forse bella?... O forse questi miei occhi travedono?

MALBY
Era bella, sì.

SIR FRANCIS
Era un angelo in forma mortale e che non è disceso certo dal ceppo dei vecchi Mountford. Ma piano, piano, raccapezziamoci un poco… Una povera fanciulla, sorella del mio grande avversario e nemico col quale io sono in guerra… Ebbene, che c’è Frank? matto o sciocco diventi?... Ma no, ma no, ch’io son padrone del mio senno e dei miei sensi. E allora perché, perché mi trovo in tale violento stato d’amore e di passione? e per una persona poi così diversa, così all’opposto della mia, anzi in guerra con me?... Ih, ih, come vado quisquiliando con la mia anima. Là, là, io voglio farla mia e acquistarmi con la sua gentile preghiera la libertà dell’anima e il mio immortale riposo.

Scena II.-

Atrio nella casa di Frankford.
Entrano servi. Uno con un canestro e un coltello di legno, un altro con sale e pane, un altro con tovaglia e tovaglioli, un altro con un tappeto. Jenkin segue con due candelieri.

JENKIN
Su avanzate e ritiratevi poi in ordine di battaglia. Il mio padrone e gli ospiti hanno già pranzato, la tavola è stata sgombrata. Qua adesso nell’atrio, ammannite la mensa dei servi. Dispensiere, a te.

DISPENSIERE
Lo so, Jenkin. Ma dimmi come si chiama il gentiluomo che ha pranzato di là stasera?

JENKIN
Chi? il mio padrone?

DISPENSIERE
No, Master Wendoll è ormai l’ospite di tutti i giorni. Intendo dire quello ch’è venuto nel pomeriggio.

JENKIN
Il suo nome è Master Cranwell… Ma senti il mio padrone là dentro che ordina nuovi ceppi sul camino. Perdio, che da fare abbiamo qua dentro! Uno stende il tappeto in salotto, un altro smoccola le candele, e il resto si prepara lo stomaco. Su, più luce qui nell’atrio. Vieni, Nicholas!

(Exeunt tutti tranne Nicholas.)

NICHOLAS
Non mi sento voglia di mangiare, ma se potessi mi mangerei il cuore di Wendoll. Il mascalzone si fa di giorno in giorno più impudente. Ho veduto maneggi tali e tali cose bastanti da farsi balzar gli occhi fuor della testa. Voglio riferirne al mio padrone. Sì, lo voglio, lo voglio. Accada quel che si sia, gliene parlo. Eccolo.

(Entra Frankford appena levato da mensa, spazzolandosi via i bruscoli di pane dal vestito.)

FRANKFORD
Nicola, che fai qui? Perché non sei anche tu nella hall a mensa coi tuoi compagni?

NICHOLAS
Padrone, aspettavo che vi levaste da tavola per parlarvi.

FRANKFORD
Sii breve, caro Nicola. Mia moglie e gli ospiti mi attendono in salotto. Ebbene, perché non parli? Ho inteso, vuoi qualche soldo. Da quel sciupone che sei ti mangi la paga prima di essertela guadagnata. Qua, eccoti una mezza corona. Sii frugale e vattene.

NICHOLAS
Padrone, v’ho servito fedelmente per lungo tempo: sono entrato in casa vostra sette anni prima che metteste barba. Noi due ci siamo conosciuti, padrone, prima che voi conosceste la vostra signora.

FRANKFORD
Ebbene a che vuoi approdare?

NICHOLAS
Non sono mai stato un mettimale né un briccone: non ho altro difetto che bisticciarmi talvolta, ma non mai con donne. Adesso però, padrone, vi debbo dir cosa che vi farà balzar il cuore dal petto e drizzare i capelli e fischiare l’orecchie.

FRANKFORD
Quale preambolo di cattivo augurio.

NICHOLAS
Fulmini del Cielo, padrone! Voglio più bene a voi che a vostra moglie. E ve lo dimostrerò.

FRANKFORD
Sei un vero bugiardo e non so chi mi tenga dallo spaccarti la zucca! Un birbante sei e caccerò te con tutte le tue chiacchiere, dalla porta.

NICHOLAS
Oh fàtelo fàtelo padrone, che non c’è posto per me e per Wendoll sotto il medesimo tetto… Quel Wendoll è un fior di furfante.

FRANKFORD
Impudente!

NICHOLAS
O picchiatemi, picchiatemi pure, ma state a sentirmi. No, no sono uno scemo e vi dico che un furfante lo riconosco dalle sue mascalzonaggini… Padrone, padrone, quel farabutto si gode la vostra signora e vi svergogna la casa.

FRANKFORD
Che m’hai tu detto? se è alcuna parola che miri a calunniare il suo cuore e la di lei reputazione, t’avverto che sarà così difficile entrare nella mia anima quanto il ricco nel regno dei Cieli.

NICHOLAS
Padrone, io non ho nulla da guadagnare a dirvi ciò che v’ho detto ed essi non mi han fatto mai alcun torto. Venni a conoscenza del fatto prima che il confessarvelo fosse per me ufficio così increscioso: ma tutto questo io so e ancor più e più di mille danni che mi potessero accadere non potrebber mai distogliermi dal palesare a voi tale odioso torto che vi si fa. Ho veduto e vi ho riferito.

FRANKFORD
(a parte) Eppure, ciò può esser vero… Ancorché sempliciotto costui è un uomo onesto. Quantunque io scommetterei la vita sulla fiducia che ho in loro e la cara salvezza della mia anima, pure potrebbe darsi ch’io presuma troppo di me stesso. Ma può esser vero tutto questo? Può esser miracolosamente possibile? Ma di qual essere mortale allora possiamo noi fidarci se arriviamo perfino a sospettare gli amici più intimi e la cara sposa? (A Nicholas) Che dati hai tu per confermare la tua asserzione?

NICHOLAS
Occhi, occhi, padrone.

FRANKFORD
Ma i tuoi possono essersi ingannati: poiché se un angelo in persona fosse caduto dal cielo ad annunciarmi ciò che tu m’hai riferito, avrebbe un bel da fare per vincere la mia incredulità, tanto io vivo fiducioso nell’onestà del loro affetto.

NICHOLAS
Posso io raccontarvi tutto, nei particolari?

FRANKFORD
No, no… A cena, ora. Ordina ai tuoi compagni di servire noi e gli ospiti. E non una parola, o ne va della tua vita. E non lasciar trapelar nulla, che quanto a me è come nulla io abbia saputo.

NICHOLAS
Sarò muto, padrone… Ed ora che ho liberato il cuore vo’ a riempirmi lo stomaco.

FRANKFORD
Via, via, scompari!... (Exit Nicholas.)
Essa è di nascita eccellente, di nobil discendenza, fu educata alla virtù e la sua reputazione è per tutto il paese onesta e chiara ed onorata: il suo portamento, il suo contegno e in tutti gli atti del suo amore verso di me, suo marito, essa è modesta, casta e cordiale. Può dunque questo oro esser diventato vile rame? Ma lui, quel Giuda, che si ebbe la mia borsa e mi vende per un peccato! O Dio o Dio! posso io perdonar loro un tale affronto? No. Posso io ritener più vere le nude parole di questo servo, del puro metallo dei loro due cuori?... No. Via, bando a tali pensieri. Voglio scacciare ogni preoccupazione e che sulla mia lingua non siano che elogi per loro. Fino a che io non sappia tutto, vorrò far finta di non saper nulla… Olà, luci qua in tavola! Moglie, Master Wendoll e voi, gentile Master Cranwell…

(Entrano Mistress Frankford, Wendoll, Cranwell, Nicholas e Jenkin con mazzi di carte, tappeti e sgabelli.)

FRANKFORD
Master Cranwell, voi siete uno straniero e in fede, siete un po’ troppo serio… Adesso che abbiam cenato, al tavolo e alle carte.

JENKIN
Un mazzo di carte, Nicholas, e un tappeto da metter sul tavolo, e dov’è Cicely coi suoi gettoni e la scatola? Candele e candelabri qui! Fi! abbiamo tale una congrega di serventi! Se non ci fossimo Nic ed io non ce ne sarebbe uno tra essi che sappia declamare il b a ba… Ben fatto, Nic.

(Stendono il tappeto con doppieri e mazzi di carte.)

MISTRESS FRANKFORD
Cominciamo, Frankford: chi mi vuol esser compagno?

FRANKFORD
Bene, lo sarò io, moglie cara.

WENDOLL
Ah no, in fede, signore! Quando siete insieme voi due, io son fuori gioco. Facciamo invece Mistress Frankford ed io, altrimenti non c’è parità.

FRANKFORD
Mi piace poco quella parità… Qua, Master Cranwell, compagni noi due?

CRANWELL
A vostro piacere, signore.

FRANKFORD
Io vi terrò bene gli occhi addosso, Master Wendoll. Perché è probabile che voi giocherete falso, e mia moglie pure.

NICHOLAS
(in disparte) Ce lo giurerei anch’io.

MISTRESS FRANKFORD
Ebbene quelli che giocano il falso pérdono la partita.

FRANKFORD
Sta bene. La cosa mi sarà difficile, ma vi ci coglierò.

CRANWELL
Signori, quale sarà il nostro gioco?

WENDOLL
Master Frankford, voi giocate meglio all’«Allocco».

FRANKFORD
Eh ma non sarà sempre così: no, in verità.

MISTRESS FRANKFORD
A nulla io gioco meglio che a «doppio Trionfo».

FRANKFORD
Se Master Wendoll e mia moglie sono insieme non c’è modo di giocare contr’essi a doppia mano.

NICHOLAS
Ve lo dico, signore, qual’è il gioco in cui Master Wendoll è più esperto.

WENDOLL
Quale, Nic?

NICHOLAS
Perdio, signore, il gioco del «Fante Furfante».

MISTRESS FRANKFORD
Marito, giochiamo al «Santo»?

FRANKFORD
Il mio santo stavolta s’è fatto diavolo. No, niente santi, moglie mia. Tu riesci meglio al «new cut».

WENDOLL
Se giocate a «new cut» scommetto ch’io sarò il miglior fenditore di qualunque altro qui.

FRANKFORD
(in disparte) È su me che scherzano… Bene, bene, voi potete ferirmi con le vostre facezie, ma poi sarà tutto a vostra vergogna.

CRANWELL
In fede, facciamo «Onori».

FRANKFORD
Se fate «Onori», una cosa avrò da temere: onra il Re e la Regina e non il Fante.

WENDOLL
Bene, come vi piace. Alzi chi ha da fare il mazzo.

MISTRESS FRANKFORD
L’ultimo in vista. Che cosa siete voi, Master Wendoll?

WENDOLL
Io sono un Fante Furfante.

NICHOLAS
(a parte) Ce lo giurerei.

MISTRESS FRANKFORD
E io Regina.

FRANKFORD
(in disparte) Una sgualdrina avresti dovuto dire. (Forte) Bene, le carte sono mie. Esso è il più grosso paio che ebbi mai fra le mani.

MISTRESS FRANKFORD
Rimescola, ch’io taglio…

FRANKFORD
Ho perduto il fatto mio.

WENDOLL
Signore, la colpa è mia: perché questa Regina, lo vedete, l’ho cara più di me stesso. Datemi il mazzo.

FRANKFORD
Non ho più la mente al gioco… Ho perduto molte buone chances. M’avete fatto un triste scambietto, Master Wendoll.

WENDOLL
Signore, dovete pur voi prendervi qualche fastidio. Per concluder battaglia so che ho concluso qualcosa di meglio con vostra moglie.

FRANKFORD
Avete concluso il falso, allora.

MISTRESS FRANKFORD
E quali Trionfi abbiam fatto?

WENDOLL
Cuori. Compagna, io spazzo.

FRANKFORD
(in disparte) Tu m’hai rubato la mia anima, il suo casto amore col tuo falso trafficare. (Forte) Continuate il gioco, io mi ritiro non avendo Cuori né qui né in mia mano. Lascio la partita. Non sto bene. Qua, chi vuol le mie carte?

MISTRESS FRANKFORD
Non stai bene, caro Master Frankford? Che hai? Qualche subitaneo malessere…

WENDOLL
Da quando ne soffrite, buon Master Frankford?

FRANKFORD
Signor mio, ero un uomo in gamba sino a poco fa, ma ho incominciato a non star bene quando voi faceste le carte. Là, prendete il mio posto. Gentile Master Cranwell, vi saluto. Restate pur in camera vostra fin che vi piaccia. Sono assai dolente che questo disturbo m’abbia sorpreso così che non possa godere ancora della vostra compagnia… Jenkin, luce, e accompagnalo alla sua camera.

(Exeunt Cranwell e Jenkin.)

MISTRESS FRANKFORD
La veste da notte per mio marito, presto! Dev’essere un accesso di reumatismo o un raffreddore.

WENDOLL
E credo che ve lo siate preso sedendo qui senza vestaglia.

FRANKFORD
Lo credo anch’io, Wendoll… Andate, andate pure a letto che non vorrei accadesse anche a voi l’eguale… Moglie, ti prego, sali nella mia camera. La notte è aspra, gelida e piena di reumatismi. Lasciami qui la veste e la candela. Il disturbo mi passerà.

WENDOLL
Buonanotte, caro signore.

FRANKFORD
Buonanotte.

(Exit Wendoll.)

MISTRESS FRANKFORD
Debbo farti compagnia, marito mio?

FRANKFORD
Oh non occorre, moglie: ti buscheresti tu pure qualche raffreddore di testa. Vai, vai pure, ti prego, dolcezza. Verrò presto a letto anch’io.

MISTRESS FRANKFORD
Tu lo sai che non potrò chiuder occhio prima che tu sia con me.

FRANKFORD
Dolce Nan, ti prego, vai, vai pure.

(Exit Mistress Frankford.)

FRANKFORD
Ho ben pensato. Mi procurerò tutte le chiavi delle porte di casa e ne farò prender il modello in cera per ottenerle altrettante uguali. Fatto questo, a una certa ora farò recare una lettera, per modo che essi si crederanno più al sicuro nel loro bel gioco quando più pronta sarà la trappola… Nic, mi posso fidare della tua assoluta segretezza?

NICHOLAS
Contate pure su di me padrone.

FRANKFORD
E ora, a letto. A letto, ma non al riposo, che l’ansietà alloggia oramai nel mio cervello e l’angoscia dentro al mio cuore.

(Exeunt.)

Scena I.-

Camera nella casa del vecchio Mountford.
Entrano Susan, il vecchio Mountford, Sandy, Roder e Tidy.

VECCHIO MOUNTFORD
Mi dici che mio nipote Sir Charles è in grandi strettezze. E chi l’ha ridoto in tale stato se non la sua vita dissoluta? Non sono in grado di offrirgli neanche un quattrino. Sì, egli è figlio di mio fratello, ma ciò che vuol dire? Non è questo un mondo dove s’abbia ad aver pietà della gente.

SUSAN
Io non sono una mendica, ma è l’estrema miseria in cui mio fratello è caduto che mi costringe a supplicarti. Ma io ti prego, zio, pel nome che portiamo, anzi per l’amore stesso di Cristo, abbi pietà del suo misero stato. Gli fu tolta ogni libertà nello stambugio dove si trova insieme ad altri condannati, e ricoperto sol di catene. E tu, tu solo potresti liberarlo.

VECCHIO MOUNTFORD
Non ho danaro disponibile, e uno deve pur badare ai casi suoi. Cadendo in bisogno egli ha perduta qualsiasi parentela con me.

(Exit.)

SUSAN
Oro non è che terra e tu terra avrai quando sarai calato dentro la tua fossa per sempre… Master Sandy, voi mi conoscete, non è vero? e vi son note le mie disgrazie.

SANDY
Un tempo vi conobbi, ragazza mia, quando era ancor vivo vostro padre: e vi conobbi prima che vostro fratello vendesse queste terre. Allora voi cantavate assai bene e sonavate di liuto. Ma adeso più non vi riconosco, né voi né la vostra miseria.

(Exit.)

SUSAN
Voi, Master Roder, voi siete stato affittuario di mio fratello che di questa bella fattoria v’ha pur concesso godere senza farvi pagar l’affitto.

RODER
Infatti, infatti, grazie alla sua bontà io ho vissuto qui per qualche tempo. Ma ora ho ben altre faccende pel capo. Oh, ma vedrete che senza dubbio coloro che l’han gittato in tale penuria l’aiuteranno a trarlo fuori.

(Exit.)

SUSAN
Sempre povere parole di conforto. E tu che dici, Tidy?

TIDY
Dico che tutto questo è quel che accade ai bravacci e ai millantatori. E non chiamarmi cugino. Io non son cugino di chi si fa prestar danaro.

(Exit.)

SUSAN
O carità, perché te ne sei tu fuggita al cielo lasciando tutte le cose su questa terra impari ed instabili? Non ribatterò le loro beffarde risposte, ma piangerò fra me in silenzio sulla caduta del mio povero fratello.

(Entrano Sir Francis Acton e Malby.)

SIR FRANCIS
La ragazza è in miseria: ebbene voglio tentarla con quest’oro. Malby, récaglielo: attenderò qui la tua risposta.

MALBY
Bella donzella, a quanto odo, il vostro dolore è aggravato dal bisogno, cosicché lo ho qui per voi un bel gruzzolo, un sacchetto d’oro che liberamente rimetto nelle vostre mani.

SUSAN
Dio vi renda merito! Grazie, o grazie, gentile signore. Che Iddio mi faccia capace di rimeritarmi il favore che mi fate.

MALBY
Quest’oro ve l’offre, a mezzo mio, Sir Francis Acton, e vi prega…

SUSAN
Acton! O Dio! Nome ch’io maledissi fin dalla nascita… Fuori di qua ruffiano… Guarda, io do una pedata al tuo oro! Giammai il mio onore cederò per danaro.

SIR FRANCIS
Ma, cara fanciulla, prego…

SUSAN
Da voi io fuggo come colomba da pennuta aquila!

(Exit.)

SIR FRANCIS
Odia il mio nome, la mia faccia… E come potrei dunque corteggiarla? Disgraziato ch’io sono in tutte le cose! Che più ella sdegna il mio amore più io mi sento rapito al contemplare la sua divina e casta bellezza… Corteggiarla con doni non posso che tutti li calpesterebbe, né con gli sguardi neppure, ch’ella abborre il mio aspetto: e neanche con lettere che son certo nessuna ne vorrebbe accogliere. E allora e allora? Ebbene vorrò comportarmi verso di lei con tale cortesia da vincere alfine il suo ribrezzo e conquistarmi la sua simpatia… Sir Charles, suo fratello, è in prigione per una forte somma di danaro: e per di più dovrà subire un processo per l’uccisione d’uno dei miei battitori. Questo processo è in mio potere di annullare. Ebbene in lei io seppellirò tutto l’odio che porto verso quest’uomo… Va, Malby, va a cercar il custode della prigione e recalo qua. Io pagherò il debito di Sir Charles, e impedendo ch’abbia luogo il processo, gli salverò la vita.

Scena II.-

Una cella della prigione.
Entra Sir Charles Mountford carico di catene, coi piedi nudi e il vestito a brandelli.

SIR CHARLES
O tu il più miserabile degli uomini, esala da quest’infernale segreta i tuoi lamenti, come cencioso accattone, come assassino in ceppi… Che cosa t’ha gittato in questo stato?... O zio scortese, o amici ingrati, o parenti senza bontà! E tu vecchio Mountford che sei tanto vile da permettere che il tuo nome vada incatenato alla mia disgrazia! E intanto mille morti io muoio in questa tomba, e paura, fame, angoscia, ogni cosa qui mi minaccia di morte e mi priva d’ogni respiro. Ma il più grande tormento è il pensiero della mia cara sorella che ha cessato di venirmi a trovare e nessuna sperata risposta mi reca dai miei amici: il che mi lascia presumere che nessun d’essi voglia togliermi da questa miseria. Se così fosse, vergogna, scandalo e disprezzo seguano i loro tristi pensieri. Il bisogno sarà la loro tomba. Vissuti da usurai possano essi morire da schiavi.

(Entra il Guardiano delle carceri.)

GUARDIANO
Sir Charles, su allegro: vengo a portarvi la liberazione da tutti i vostri malanni.

SIR CHARLES
Allora morte, poiché morte soltanto può esser la fine d’ogni mio affanno.

GUARDIANO
Vivete. Il vostro processo è stato arrestato, l’esecuzione di tutti i vostri debiti annullata, i vostri creditori soddisfatti sino all’ultimo centesimo. A segno di che, spezzo le vostre catene. Voi non mi siete debitore di niente: tutto è stato liquidato, tutto pagato. Ritornate pure liberamente a casa vostra e dove meglio vi piacerà: dopo lungo soffrire ripigliate i vostri agi.

SIR CHARLES
Con le tue parole mi fai udire la più grandiosa musica che giammai organo sonasse. È un sogno ch’io faccio o i miei sensi han ben afferrato il senso della tua grande notizia? Idiota ch’io ero a calunniare i miei onesti amici, i miei amati congiunti, i più prossimi compagni! Lingua, ti morderò per il tuo scandaloso contegno verso tali persone, tutte nutrite di pietà e d’amore! Ciò che tu profferisti era frutto della mia collera; essi sono i miei amici più fidi, essi gli specchi di quest’età generosa e libera. La nobile razza dei Mountford non mai nel suo seno allevò un sol bieco pensiero, un basso istinto.

(Entra Susan.)

SUSAN
Non vo’ tardare a visitare il mio disgraziato fratello. Fino ad ora ho potuto nascondergli le tristi nuove che ho da recargli.

SIR CHARLES
O sorella, quanto son grato a te e all’esser qui venuta.

SUSAN
Che! Tu sei libero?

SIR CHARLES
Lo vedi. E grazie alla tua abilità… Oh, dimmi, a quale, a quale di tutti i miei cortesi amici debbo io questa grazia? Mio zio Mountford mi ebbe caro fin da bambino. È stato lui a procurarmi questa libertà? E così pure mio cugino Tidy m’ebbe caro. Fu, dunque, lui? E così Master Roder e Master Sandy… A quale, a quale di costoro sono io debitore di un atto di così alta gentilezza?

SUSAN
Charles, vuoi tu forse beffarti della mia miseria, sapendo come i tuoi amici se la ridono di te? Ti dico che son qui stupefatta al vederti libero, al vedere i tuoi ceppi infranti. Mi par d’esser rapita in un labirinto di stupore. Ma il peggio si è che non riesco a comprendere da chi mai ti sia provenuta questa buona fortuna.

SIR CHARLES
Ma da mio zio, certo, dai miei cugini ed amici. E da chi altri può essere?

SUSAN
O fratello, ma quella è tutta gente di pietra, figure senza pietà, altrettante orse incalzate dal cacciatore. Io li pregai, io li scongiurai, io mi inginocchiai davanti a loro: aprii loro tutti i dolori della tua lunga miseria, ma essi m’hanno derisa; e di più rinnegarono la nostra parentela e la nostra amicizia. Con sprezzante sdegno dissero che la nostra parentela è finita con la nostra prosperità.

SIR CHARLES
Oh, il ricco fugge il povero, i buoni evitano il diavolo. Ma da chi proviene adunque il dono di questa mia improvvisa libertà? da chi se non da quelli dai quali io abbia ben meritato? Cerca d’indagare, sorella, richiàmati alla memoria…

SUSAN
La mia mente si smarrisce… Chiediamone al custode.

SIR CHARLES
Custode?

GUARDIANO
Eccomi, signore.

SIR CHARLES
Per cortesia, una domanda. Chi si è assunto l’incarico di pagare i miei debiti? chi ha potuto arrestare la mia procedura di morte, e rendermi libero?

GUARDIANO
Un cortese cavaliere chiamato Sir Francis Acton.

SIR CHARLES
Acton! Acton! Ohimé, ora son più disgraziato che mai! Via, custode, riconducimi di nuovo in prigione e raddoppia i miei ferri, e lo sparuto cibo dimezza e cacciami entro una segreta ben più fonda e più buia e fredda e desolata!... Fatto libero da Acton! Ma neanche tutti i tuoi ferri potranno incatenarmi le caviglie come queste tue parole che m’han disfatto il cuore! Che d’or’innanzi io mi giaccia in una prigione ben più angusta della tua sassosa topaia!

GUARDIANO
Il mio incarico l’ho compiuto. Ho la mia mercede: e siccome noi ben poco guadagniamo, così me n’accontenterò.

SIR CHARLES
Liberato da Acton! dal mio potente e scellerato nemico! E a quale scopo? e in che occasione? Ah ch’io lo dimentichi, il nome di colui e con stoicismo renda vano questo suo alto favore!

SUSAN
(a parte) Che sia stato il suo amore per me?... Per l’anima mia, fratello dev’essere proprio così… Questa dev’essere l’origine di tanta liberalità.

SIR CHARLES
Mi fosse venuto da mio padre, egli che per legge di natura mi è il più congiunto nell’ufficio d’amore, sarebbe stato mia premura ripagarlo di tanta cortesia: mi fosse venuto dai miei o dai suoi amici, arriverei a far loro dono della mia propria vita: ma non da un padre, non da un alleato, ma da uno straniero mi è giunto questo alto favore, da uno straniero ch’è avverso al mio sangue, ch’è mio nemico!... Oh io perdo la ragione. Che dire, che fare, che pensare per ripagargli una simile generosità?

SUSAN
Ma tu stupirai ancor più, fratello, quando ti dirò la ragione per cui egli ha fatto questo. Egli delira per me e spesso m’ha inviati doni e lettere e segni d’amore: ch’io tutti rifiutai…

SIR CHARLES
Ebbene, allora, benché povero ho ancor abbastanza. Il mio cuore è deciso e gli ripagherò con un ricco dono la sua liberalità.

Scena III.-

Camera in casa di Frankford.
Entrano Frankford e Nicholas con chiavi.

FRANKFORD
Ecco la notte in cui io dovrò recitare la mia parte per cogliere quei due cari angeli… Dove son le chiavi?

NICHOLAS
Stando al vostro ordine, padrone, le ho fatte modellare in cera. Ho raccomandato al fabbro il più grande segreto, gli ho dato danaro, ed eccole qui. E la lettera, padrone?

FRANKFORD
Eccola, préndila. (Gli dà la lettera.) Quando tu mi vedrai là seduto a tavola e nel mio miglior buonumore, me la recherai.

NICHOLAS
Lo farò, padrone, senz’altro lo farò.

(Exit.)
(Entrano Mistress Frankford, Cranwell, Wendoll e Jenkin.)

MISTRESS FRANKFORD
Birbante, son già le sei sonate! Va e ordina che metano la tovaglia e servano da cena.

JENKIN
Sarà fatto, padrona. Dov’è Spigot, il dispensiere, per darci fuori il sale e i trincianti?

(Exit.)

WENDOLL
Siamo stati a caccia tutto il giorno ed eccoci qua con gli stomaci ben preparati. Master Frankford, vi abbiamo desiderato con noi oggi alla nostra partita.

FRANKFORD
Il mio cuore era con voi, e la mia mente pure. Master Cranwell perché siete ancora così triste? Una scranna, una scranna. E dov’è Jenkin? dov’è Nic? Era tempo di pranzo almeno un’ora fa. Che notizie abbiamo?

WENDOLL
Nessuna buona nuova.

FRANKFORD
Ma io ne so di ben troppo brutte.

(Entrano Jenkin col dispensiere, recando tovaglia, pane, trincianti e sale.)

CRANWELL
Mi sembra, signore, che potreste bene interessarvi al caso del fratello di vostra moglie perché sia più umano nei riguardi del povero Sir Charles che, a quel che sento, è imprigionato nel castello di York, in gran penuria e afflittissimo.

(Exeunt Jenkin e il Dispensiere.)

FRANKFORD
Se faccende più gravi non me l’avessero impedito, avrei certo fatto del mio meglio per metter pace fra loro. L’avrei proprio fatto.

MISTRESS FRANKFORD
Scriverò a mio fratello.

WENDOLL
Farete una vera carità e ben rimeriterete della stima di tutti i vostri amici.

FRANKFORD
E voi ne siete uno, Master Wendoll. So che amate Sir Charles e mia moglie pure.

WENDOLL
Egli merita l’affetto di ogni sincero gentiluomo: siatene giudice voi stesso.

FRANKFORD
A cena, oh! E voi, Wendoll, se mi volete bene, come ne son sicuro, state allegro stasera e siate piacevole e anche un po’ pazzerellone, se v’aggrada. E voi, dolce Master Cranwell, fate l’eguale… Moglie, ti confesso che il mio cuore non fu mai tanto proclive all’allegrezza. Ma dove sono quei birbanti che ci dovrebber servire da cena?

(Rientra Nicholas.)

NICHOLAS
Qui c’è una lettera per voi, padrone.

FRANKFORD
Quand’è venuta? e chi l’ha portata?

NICHOLAS
Un monello che attende da basso la vostra risposta e che mi disse provenire da York.

FRANKFORD
Fallo entrare in cantina ad assaggiare una tazza della nostra birra marzolina, Via, fallo bere.

(Legge la lettera.)

NICHOLAS
Lo farò bere come un Trojano…

FRANKFORD
I miei sproni, i miei stivali! Dov’è Jenkin?... Come trascuro i miei affari, Dio mi perdoni!... Moglie, guarda qua. Un grave impegno mi attende per domani alle otto: il mio avvocato mi scrive che debbo trovarmi da lui per testimoniare… altrimenti saran guai anche per me. Dove sono i miei stivali?

(Rientra Jenkin con stivali e sproni.)

MISTRESS FRANKFORD
Ma spero che non vorrai partirtene a cavallo, stanotte.

WENDOLL
(a parte) Io invece lo spero.

FRANKFORD
Jenkin, gli stivali! Dov’è Nic? Sella il mio roano. Scusatemi, ma ciò molto mi preme. Gentile Master Cranwell e Master Wendoll, godetevi in mia assenza la mia casa, in lungo e in largo.

WENDOLL
O Master Frankford, volete proprio andarvene via a cavallo così, di notte? Le strade son pericolose.

FRANKFORD
E perciò me ne andrò bene armato. E così farà Nic, il mio uomo.

MISTRESS FRANKFORD
O non potrei piuttosto destarti domattina alle cinque?

FRANKFORD
No, in fede, moglie mia. Non è cosa troppo facile levar su a quell’ora per colei che amo caramente: no, non voglio lasciare in pena una così cara compagna di letto. Eh, tu m’hai reso un pigraccio da quando t’ho conosciuta.

MISTRESS FRANKFORD
Ebbene, se proprio occorre che tu vada, lascia almeno che preghi Master Wendoll di accompagnarti.

WENDOLL
Ma di tutto cuore, dolce signora. I miei stivali, oh!

FRANKFORD
Per carità! Che pei miei affari privati debba scomodare i miei amici, metter a soqquadro tutta la casa!... Nic.

NICHOLAS
Padrone!

FRANKFORD
Porta fuori il polledro. (Exit Nicholas)
Se mi volete bene, amico, non aggiungete altro. La mano, buon Master Cranwell.

CRANWELL
Che Dio v’accompagni, signore, e vi dia buon cammino.

FRANKFORD
Bonanotte, dolce Nan: qua, qua, dammi un bacio. (A parte) Labbra nemiche che ormai non v’adattate più al mio cuore!

(Exit.)

WENDOLL
(a parte) Affari, tempo e ore, tutto graziosamente va d’incanto e mi incalza verso il mio novello amore. Adesso sarò io il marito qui, sarò io che ho il governo della casa… (Forte) Dolce compagna, sarà un piacere stanotte non cenare apertamente, come sempre, ma nel segreto della tua camera…

MISTRESS FRANKFORD
O signor mio, ma tu sei troppo ardito e la moglie di Master Frankford…

CRANWELL
Scusatemi se vi chiedo il favore di salire alla mia camera. M’ha preso un improvviso malore; vorrei astenermi dal pranzare.

WENDOLL
Luci, oh! E badate, signore, che abbiate a non mancare di nulla: non fate torto a questo bravomo, ed a me.

CRANWELL
E sia, signore. Bonanotte.

(Exit.)

WENDOLL
Come tutto contribuisce a ricolmarmi il petto di gioia. Vieni, Nan, ti prego, andiamo a cenare là dentro.

MISTRESS FRANKFORD
Oh qual pastoia è all’anima il peccato! Noi pallidi peccatori siam tutti pieni di paura: in ogni occhio sospettoso vediamo prossimo il pericolo, mentre coloro i cui limpidi cuori son liberi da ogni male sprezzano il calunnioso mormorio della gente e impavidi sfidano la sventura.

WENDOLL
O là, là, tu mi parli come una puritana.

MISTRESS FRANKFORD
Tu m’hai tentata al male, Master Wendoll. Non so più quel che mi dica, più nulla ricordo… Quel passo a cui scervellata m’abbandonai una volta, debbo ora attraversarlo pien di timore… Vieni, entriamo. Posto un piede nel peccato ci stiamo ormai sprofondati dentro sino al capo!

WENDOLL
L’anima mia è ebbra di gioia oltremisura. Voglio sguazzare nel più ricco tesoro di Frankford!

(Exeunt.)

Scena IV.-

Altra parte della casa.
Entra Cicely, Jenkin e Spigot.

JENKIN
La mia padrona e Master Wendoll, il mio padrone, cenano insieme stanotte nella camera di lei… Cicely, scommetto che avresti preferito esser cuoca anziché cameriera. Fra di noi, che ne pensi di quest’amore?

CICELY
C’è un vecchio proverbio: «quando la gatta è assente i topi ballano».

JENKIN
Tu parli di gatti, Cicely, ma io ci sento il ratto.

CICELY
Ben detto, Jenkin, a meno che tu sia poi chiamato a risponderne.

JENKIN
Ebbene che Dio non voglia che la padrona sia disonesta. Prega Dio che il mio nuovo padrone non faccia qualche brutto tiro al nostro vecchio padrone… e che se lui e lei cenano insieme non abbiano poi a giacersi insieme. E che serbi casta la mia padrona, insieme a noi tutti, suoi servi… Ma ti dirò di più: eccoti la mia mano, ma tu non avrai mai il mio cuore se non dici: Amen!

CICELY
Amen, prego Dio!

(Entra un valletto.)

VALLETTO
La padrona mi manda a dire che facciate meno chiasso, e chiudiate le porte e ve ne andiate a letto tutti quanti. Quanto a te, Jenkin, tu stanotte farai da portiere e chiuderai tutte le porte.

JENKIN
E così a poco a poco io m’intrufolo nello studio… Su, a cuccia, signori, a cuccia che son già le undici!

VALLETTO
E quando avrai chiuse le porte manderai su le chiavi alla mia padrona.

CICELY
E fai presto, per amor di Dio, Jenkin, se ho da portarle queste chiavi.

JENKIN
A letto, buon Spigot, a letto, ottimi servi. E stanotte dormiamo tutti sodo, come porci sullo strame.

(Exeunt.)

Scena V.-

Al di fuori della casa di Frankford.
Entrano Frankford e Nicholas.

FRANKFORD
Piano, piano… Abbiamo legati i nostri polledri a un albero poco distante di qui pel timore che col loro scalpitare avessero a rivelare il nostro arrivo. Non senti rumori?

NICHOLAS
Non sento che la civetta e voi.

FRANKFORD
Va bene. Il mio oriolo segna le dodici: è notte profonda. Dove sono le chiavi?

NICHOLAS
Eccole, padrone.

FRANKFORD
Quest’è la chiave che apre il cancello: questa quella dell’atrio e quest’altra quella della scala di ricevimento. Ma quest’altra è quella ch’è mezzana fra me e la mia vergogna, origine e cagione di tutti i miei sanguinanti pensieri e dove il più alto ordine, il vero nodo di nuzial santità è stato profanato; essa conduce alla mia camera polluta, che un tempo era mio paradiso in terra, ma ora è il mio terrestre inferno: il luogo dove il peccato brulica in tutta la sua putredine… Ma il mio pensiero vaneggia… appressiamoci.

NICHOLAS
Non fate il minimo rumore, padrone, altrimenti la trama va in fumo.

FRANKFORD
Allungami la mia lanterna oscurata, e cammina piano.

NICHOLAS
Sarà come passeggiassi sulle uova, padrone.

FRANKFORD
Un vasto silenzio ha sorpreso la casa, e questa è l’ultima porta. Attonimento, spasimo e terrore rombano contro il mio cuore come un pazzo che batta su un tamburo… O voi, Cieli, tenétemi saldi gli occhi da ogni vista che possa trapassare la mia anima e se accadrà ch’io abbia a vedermi davanti qualche infame spettacolo, colpiteli, accecateli! E se non questo, concedetemi tanta forza da vincere il mio danno e impedire che questa mia mano abbia a compiere un delitto!... E con questa preghiera io entro.

(Exeunt.)

Scena VI.-

L’atrio della casa di Frankford.
Nicholas solo.

NICHOLAS
Ecco una circostanza in cui un uomo può esser fatto becco proprio mentre si dà d’attorno a pescar il rivale… E se il caso fosse accaduto a me come è accaduto al mio padrone, ah perdio! ben io sarei entrato là dentro e avrei…

(Entra Frankford.)

FRANKFORD
Oh! oh!

NICHOLAS
Padrone, per Dio, padrone, padrone!

FRANKFORD
O me disgraziato! Li ho trovati là che giacevano strettamente abbracciati, l’uno nelle braccia dell’altra, in chiuso sonno. Ma perché io non volli mandare all’inferno, dannate, quelle due preziose anime, riscattate col sangue di Nostro Signore, mandarle davanti al Suo terribil gudizio, gravate di tutti i loro rossi peccati, le loro due vite si sono fermate sulla punta del mio stocco.

NICHOLAS
Ma, per Dio, padrone, perché li avete lasciati dormire? Vado a svegliarli.

FRANKFORD
Férmati. Lasciami posare un istante… O Dio! o Dio! Che non sia possibile disfare quel che s’è fatto, richiamar indietro l’ieri? Che non sia possibile che il Tempo abbia a capovolgere la sua rapida clessidra per disdire tutti i giorni compiuti e redimere tutte quelle ore? O che il sole abbia a ricondurre indietro il suo cocchio prendendosi dal conto del Tempo tanti minuti finché abbia richiamate a sé tutte queste stagioni, con tutti i minuti e tutte le azioni in essi compite, dal giorno in cui ella primamente m’offese con la sua colpa: per modo ch’io possa riprenderla ancora immacolata fra le mie braccia!... Ma oh, io parlo impossibili cose, cose che stanno oltre la luna… Dio mi dia pazienza… Vo’ entrare e svegliarli.

NICHOLAS
(a sé) Pazienza! Per forza! Meglio che cammini a piedi che straccare il cavallo!

(Exit.)
(Wendoll attraversa la stanza correndo in abito da notte e Frankford lo insegue con la spada sguainata. Ma una cameriera in camicia gli afferra una mano e lo trattiene. Frankford per un istante s’arresta.)

FRANKFORD
Grazie, ragazza. Tu, simile all’angelo, colla tua mano m’hai trattenuto dal compiere un cruento sacrificio. (La cameriera esce.)
E tu vattene, furfante, e il tuo atto vile opprima la tua anima come l’angoscia ha schiacciata la mia. E quando ricorderai le molte cortesie che ti ho usate e le comparerai col tuo bieco cuore, basterà che tu le pesi con equità perché io sia vendicato… Vai, va da Giuda, tuo amico, e prega Dio ch’io non t’abbia a veder come lui, spenzolare a un albero di sambuco!

(Entra Mistress Frankford in abito da notte.)

MISTRESS FRANKFORD
Oh con quali parole, con quali ragioni e con che nome mai potrò io impetrare il tuo perdono? Oh, perdono, perdono! Eppure io sono tanto lontana dall’ottenere una grazia così soave quanto Lucifero dai regni dei Cieli. A chiamarti marito… O me disgraziatissima, che ho perduto pur il diritto di chiamarti con un tal nome, e non son più tua moglie!

NICHOLAS
Perdio, padrone, sviene!

FRANKFORD
Rispàrmiati le lacrime, ch’io piangerò per te e per te mi farò rosso di vergogna, tanto son pieno di ludibrio e d’orrore. È più duro, vedi, per me fissare la tua faccia colpevole che neanche la chiara fronte del sole… Che hai da dirmi?

MISTRESS FRANKFORD
Non vorrei avere più lingua, né occhi, né orecchi, né comprendimento, né capacità… Quando mi frusterai come una cagna? quando mi calpesterai sotto i tuoi piedi? quando mi strascinerai pei capelli? Ancorché io sappia di meritarmi cento e cento altri tormenti maggiori assai di quelli che puoi infliggermi, pure tu, una volta mio marito, per quella femminilità di cui sono ora la vergogna essendone stata un tempo l’ornamento, e anche per Colui che ha redente le nostre anime, oh non colpire, non colpire la mia faccia, non farmi a pezzi con la tua spada: ma lasciami andare perfetta e non deformata alla mia tomba… Non son degna di prevalere in questi momenti, non son degna neanche di parlarti, né di alzare il mio sguardo verso di te, neanche di star in tua presenza. Ma pure, abietta come sono, questa sola cosa io temo. E dopo questo, se questo mi consenti, io sono pronta per la tomba.

(S’inginocchia.)

FRANKFORD
O Dio, armami di pazienza!... Alzati, su, che voglio chiederti qualcosa. È stato per bisogno che ti sei fatta sgualdrina? Non eri tu provvista di ogni utile diletto, di ogni cosa bella, anche al di là del mio possibile?

MISTRESS FRANKFORD
Sì, lo ero.

FRANKFORD
Dipese allora dalla mia incapacità? O sembrò egli ai tuoi occhi un maschio più adatto?

MISTRESS FRANKFORD
Oh no.

FRANKFORD
Non ti avevo io dato dimora nel mio petto? non ti avevo portata qui dentro al mio cuore?

MISTRESS FRANKFORD
Sì, fu così.

FRANKFORD
Fu così, fu così: lo testimoniano le mie lacrime… (Al servo) Va e portami qua i ragazzi.

(Entrano due servi coi due figlioletti.)

FRANKFORD
O Nan, o Nan! se io non ho mai temuta la vergogna né stimati gli onori, né il guasto della mia casa, né che il mio caro amore potesse esser messo a repentaglio da un fatto così turpe, per questi due ragazzi, per le loro giovani anime ignare che ormai portano sulle loro fronti inscritta la tua vergogna, la quale sempre più crescerà con gli anni, guàrdali, guàrdali, e poi effònditi in lacrime… (Al servo) Su, portali via, che i loro corpi potrebbero venir macchiati dal segno dei bastardi, e il tuo fiato d’adultera potrebbe raggelare i loro spiriti e trasmetter loro i tuoi infetti pensieri. Pòrtali via!

(Exeunt i servi coi ragazzi.)

MISTRESS FRANKFORD
In questa sola mia vita vivo cento morti.

FRANKFORD
Lèvati, lèvati su. Non ti farò nulla di male. Soltanto mi ritirerò un poco nel mio studio e tu udrai tra breve quale sarà la tua sentenza.

(Exit.)

MISTRESS FRANKFORD
E se sarà di morte, sarà bene accetta… Ohimé, io vile puttanella, che avendo un tal marito e tali figli non seppi gioirne! Oh per redimere il mio onore mi lascerei piuttosto mozzare questi seni, me li lascerei schiacciare, strappar via, sottoporre ad ogni tortura: anzi anzi, per elidere la mia colpa, giungerei perfino a metter a repentaglio la ricca e cara redenzione dell’anima mia! Egli non può esser così insensato da dimenticarmi, né posso esser io così svergognata da accettare il suo perdono.

(Entrano Cicely, Jenkin e tutti i servi, balzati allora dal letto.)

TUTTI
O padrona, padrona, che avete mai fatto!

NICHOLAS
Perdio! ma che chiasso mi state facendo?

JENKIN
Mio Dio, padrona, ma come siete arrivata a questo? Ho visto il padrone correr via di furia in camicia, che neanche m’ha chiamato indietro a portargli i vestiti.

MISTRESS FRANKFORD
Che castigo! Io qui che ho perfin vergogna di guardar in viso i miei servi!

(Entrano Frankford e Cranwell. Essa cade in ginocchio.)

FRANKFORD
Le mie parole son già registrate in Cielo, e tu ascoltami con pazienza… Io non ti vorrò torturare né bollare col marchio delle sgualdrine ma col trattamento di una maggiore umiltà tormentare l’anima tua e ucciderti con la dolcezza.

CRANWELL
Master Frankford…

FRANKFORD
Mio buon Master Cranwell… Donna, adesso ascolta la tua sentenza… Tu va e véstiti nel tuo modo migliore, poi prendi con te tutte le cose tue, senza lasciar nulla qui che possa dire che tu vi sei stata padrona, che la sola loro vista m’abbia a ricordare quale donna sei stata per me… Scegliti un letto e i parati per la tua camera e prendi con te anche ogni cosa che rechi le tue iniziali: dopo di che ti porterai al mio castello lungi di qua sette miglia, e là vivrai. Quel castello è tuo, io te ne fo dono, liberamente. I miei affittuari ti forniranno un carro per trasportarvi ogni cosa tua entro due ore. Non più oltre questo tempo voglio vederti qui. E prendi con te quello dei tuoi servi che ti piaccia di più: esso è tuo e attenderà alla tua persona.

MISTRESS FRANKFORD
Mite sentenza…

FRANKFORD
Ma poiché tu ancor speri nel Cielo e credi che ancora il tuo nome possa venir ricordato nel libro della vita, t’ingiungo da questo triste giorno in poi che tu non m’abbia più a vedere o cercar d’incontrarmi o inviarmi alcun messaggio o scritto o dono di sorta o altro che sia, onde tentar di commuovermi, o anche d’impietosirmi attraverso i nostri due figlioletti… E così, addio per sempre, Nan: poiché da qui innanzi noi saremo come due che non si fossero mai conosciuti e che non si vedranno più mai.

MISTRESS FRANKFORD
Come gonfio sia il mio cuore tu lo vedi dai miei occhi. Non ho più parole, non ho che lacrime.

FRANKFORD
Ed ora, vai. Prendi il tuo cocchio e la tua roba, e mettiti in via. I tuoi servi, ogni cosa è pronta. E tutto sia finito. Fu colpa della tua mano che, fendendolo pel mezzo, di un sol cuore ch’eravamo ne fece due.


Scena I.-

Ingresso della casa di Sir Francis Acton.
Entrano Sir Charles Mountford e Susan, ambedue ben vestiti.

SUSAN
Fratello, perché m’hai tu abbigliata come una sposa e mi hai acquistata questa veste brillante e questi gioielli?

SIR CHARLES
Non chiamarmi più fratello, ma imagina ch’io sia qualche bandito, o qualche rude bifolco: poiché se tu chiudi gli occhi e ascolti soltanto le parole che ti dirò tu non mi potrai più credere fratello, ma uno scellerato.

SUSAN
Ma che significa tutto ciò?

SIR CHARLES
Tu mi ami, è vero, sorella? e allora vorresti vedermi trascinar la vita come un povero spiantato, in disgrazia a tutto il mondo? e andar al Creatore gravato di debiti verso i miei nemici? Sta in te rendermi libero da tutti questi guai: tu sola puoi strapparmi di dosso il peso di queste obbligazioni.

SUSAN
Volontieri, ma io non ho più nulla, fratello, debbo pagarmi ancora gli abiti che indosso. Io non son degna…

SIR CHARLES
O sorella, non parlare così: da te, da te sola, dipende il poter io sollevarmi da questo vile stato in cui mi trovo e mettermi alla pari del mondo. Là, sorella, tu sei ricca: lo sei, lo sei. È in tuo potere avere senz’indugio cinquecento sterline con cui ripagare il debito ch’io ho verso Acton.

SUSAN
Fino ad ora avevo creduto che tu m’amassi. Sul mio onore, che ho sempre serbato puro come la luna, mai io feci caso della misera somma che usai per sopperire ai tuoi bisogni, e t’imagini ch’io voglia ammassar danaro da te. Ora che conobbi il modo di toglierti dalla schiavitù dei tuoi debiti, in special modo verso quelli di Acton ch’io odio, voglio farlo a costo della mia vita e del mio sangue.

SIR CHARLES
Quanto dobbiamo ad Acton?

SUSAN
Cinquecento sterline: delle quali io ti giuro non posseggo un sol pènni.

SIR CHARLES
Ma non sarà sempre così. Rispondimi in coscienza. Quanto credi tu che darebbe Acton per gioire del tuo letto?

SUSAN
Ma colui non esiterebbe a sborsar mille sterline pur di recare una così grave onta al nome dei Mountford.

SIR CHARLES
Mille sterline! e io ne devo soltanto cinquecento. Ebbene, acconsenti a lui, sorella, gli pagheremo anche gl’interessi.

SUSAN
O fratello!

SIR CHARLES
Altra via non v’è per liquidare il mio debito: pagarlo col gioiello della tua purezza. Lo so, nel dirti questo il mio cuore freme di vergogna. Ma dimmi, dimmi, dovrò io esser debitore in eterno ad Acton, mio grande nemico, mentre tu, tu recherai sempre intatto in te quel tuo gioiello di bellezza, pel quale egli tanto spasima?

SUSAN
Ma il mio onore io l’ho caro e prezioso quanto la mia redenzione stessa.

SIR CHARLES
Ed io appunto ti ho cara per la stessa stima che tu ne fai.

SUSAN
E vuole, mio fratello, ch’io mi mozzi le mani e le mandi ad Acton, vuole ch’io mi squarci il seno e gli faccia presente del mio sanguinante cuore?

SIR CHARLES
O nulla di tutto questo, sorella. Ma ascolta il mio ragionamento. Il tuo onore e la mia anima sono pari agli occhi miei e tuo fratello Charles non vorrebbe giammai sopravvivere alla tua vergogna. La liberalità di Sir Francis mi ha sopraffatto come un grave fardello e sotto quella sua buona azione piega la mia anima orgogliosa. Per poco ch’io fossi rimasto ancora in prigione di certo vi sarei morto. Dunque è ad Acton, che di là mi trasse, ch’io debbo la vita. Ora qual motivo credi tu che abbia spinto quel mio nemico a rendermi libero? Ma il tuo amore, sorella, il tuo amore. Egli con cinquecento sterline ha comperato il tuo amore. E adesso tu vorresti ch’egli non avesse a goderne? Vorresti che tutta questa pesante soma di riconoscenza fosse accollata soltanto a me e che tu non te n’avessi a sobbarcar la tua parte? Tu che condividi con tanta gioia la mia liberazione non vuoi esser solidale con me nel pagare il nostro debito? Debbo esser soltanto io a soffrirne?

SUSAN
Per quanto ne so, tali argomenti provengono da una onesta mente. Nella più estrema ora del tuo bisogno, sprezzando di restar in debito verso una persona che tu odii. Anzi vorresti impegnare il tuo onore senza macchia che esser ritenuto un ingrato. Ti vorrei riprovare, ma ti vedo così deciso nella tua determinazione, che vi acconsento. E così Sir Francis mi avrà e io son contenta.

SIR CHARLES
Per questo ti abbigliai così elegantemente.

SUSAN
Ma ecco qua, guarda, un coltello che per salvare l’onor mio mi strapperà la vita dal cuore.

SIR CHARLES
Ah così mi piaci mille volte più, sorella!... Considerate il suo amore fraterno: pur di liberarmi dal mio debito ella avrebbe fatto getto volontieri del suo onore, ma poi con mano decisa si sarebbe trafitta il cuore. O maraviglia! Piuttosto che macchiare il suo sangue era deliberata a perder la vita… Vieni, vieni qua, mia triste sorella: io voglio recare ad Acton un tale presente da renderlo stupefatto e a indurlo ad ammirarti oltre ogni sua imaginazione.

(Entrano Sir Francis Acton e Malby.)

SIR FRANCIS
Ebbene? Mountford con sua sorella? Qual miracolo?

MALBY
È cosa che induce ad ammirazione.

SIR CHARLES
Non stupite, vi prego, Acton: io vi debbo del danaro ed essendo per me impossibile offrirvi l’intera somma, guardate! a vostra soddisfazione, eccovi in pegno la mia cara sorella, il cui onore io ho più caro di qualunque somma. Prendetevela. Essa è ben degna del vostro danaro.

SIR FRANCIS
Oh come vorrei che fosse vero!

SUSAN
Signore, non imputate la cosa a mia immodestia. Mio fratello essendo di null’altro ricco che del suo affetto per me, come gli consente la sua povertà, vi fa dono della mia persona, ch’è tutta la sua ricchezza. È questo un tal dono che comunque l’apprezziate, egli ha in gran pregio e non avrebbe mai voluto cedere ad alcuno: ma pur di sciogliersi dal vostro debito, ecco ve ne fa dono.

SIR FRANCIS
(a parte) O mio crudo cuore, plàcati: pèntiti alfine della tua prima ferocia. Si vide al mondo e in alcun tempo mai una più pura gentilezza? Terra, onore, vita, e vada in malora il mondo piuttosto che rimaner creditore di un tale incomparabile nemico…

SIR CHARLES
Acton, essa è troppo povera per essere vostra sposa e io ti son troppo avverso per esserti cognato. Prendila, prendila con te: se ti basta il cuore di rapirla o di farne lussuriosa preda per infamare la nostra casa che fu sempre incontaminata, e uccidere lei che non ti fece male e uccider me ora che tu una volta salvasti da morte, fàllo e fàllo sull’istante: che a tutto ella è decisa e perirà nella sua immacolata purezza.

SIR FRANCIS
Ma voi mi soverchiate col vostro affetto, Si Charles. Non voglio più incrudelire contro colei ch’io adoro. E poiché per pagare il vostro debito non avete esitato a mettere a repentaglio l’onore di vostra sorella e con lei tutti gli agi e le gioie che avete sulla terra, pur essendo vostro nemico voglio ricompensare i vostri buoni pensieri. Il vostro nemico accoglie dunque il vostro dono in riparazione di tutti i vostri torti di un tempo. Questo gioiello di vita io porterò dentro al mio cuore e mentre prima d’ora io la reputavo troppo vile per esser mia sposa, ecco che, per venirne a una, io dichiaro voi mio cognato e lei mia moglie.

SUSAN
Adesso siete voi che ci sopraffate. Ma voglio cedere alla sorte: vo’ apprendere l’amore dove sinora era odio.

SIR CHARLES
Avete affascinato la mia anima e m’avete fatto ricco con queste vostre parole. Ed eccomi, in verità, più indebitato di prima. Ma ricco del vostro affetto, Sir Francis, ormai non sarò più povero.

SIR FRANCIS
Tutto ch’è mio è tuo. Siamo pari. Trasfondiamo nell’amore ciò che fu contrasto ed odio. Andiamo! Provvediamo subito alle nostre nozze, beato d’aver acquistato un cognato e una cara sposa.

(Exeunt.)

Scena II.-

Una camera nella casa di Frankford.
Entrano Cranwell, Frankford e Nicholas.

CRANWELL
Perché andate frugando per ogni dove, Master Frankford, ora che avete spedito via vostra moglie?

FRANKFORD
O signore, è per vedere che non sia qui rimasto nulla di suo. L’amai caramente, ma soltanto che m’indugi un poco a ripensare alla sua viltà ecco che i miei pensieri diventano un inferno. Per sfuggire loro non vo’ aver qui né un suo puntale, né una cuffia, né un braccialetto, né una collana, né una gorgeretta; nessuna, nessuna cosa che sia stata sua o che me la possa rammentare.

NICHOLAS
Perdiana, padrone, ecco qua il suo liuto.

FRANKFORD
Dio mio! Sopra questo strumento le sue dita facevano scorrere rapide battute assai più dolci a udirsi di quelle che ora echeggiano nei nostri cuori. O Master Cranwell, spesso questo malinconico legno ch’è ora così muto e chiuso per causa sua, ella ha fatto sussurrare dolcemente in ogni sua nota, congiunto alla sua voce affascinante. Ma adesso portàtelo via! E che nulla più rimanga di lei.

NICHOLAS
La raggiungerò a cavallo e le porterò il vostro messaggio; poi tornerò qui.

CRANWELL
Prendete tempo, Frankford, se non vi spiace, ch’io informerò Sir Francis di quanto è avvenuto fra voi e sua sorella.

FRANKFORD
Fàtelo, se non vi spiace, Master Cranwell. In qual triste sorte mi trovo! Vedovo prima che mia moglie sia morta!

Scena III.-

Strada di campagna.
Entrano Mistress Frankford con Jenkin e Cicely, un cocchiere, tre carrettieri.

MISTRESS FRANKFORD
Ordina al mio cocchio di fermarsi… Come posso posteggiare in pace, scagliata così in basso dalla mano del destino? Ch’io m’abbia luoghi degni della mia disgrazia: la terra per sedere e per letto la tomba.

JENKIN
Dàtevi pace, padrona: ci avete già bagnato il cocchio con tutte le vostre lacrime. Ci restano due miglia sole per arrivare al castello.

CICELY
Padrona mia, fàtevi coraggio. L’affanno, lo vedete, non vi dà sollievo: e pure noi ci affliggiamo a vedervi così desolata.

CARRETTIERE
Padrona, scorgo uno degli uomini di Master Frankford che viene alla nostra volta. È probabile che rechi qualche nuova.

MISTRESS FRANKFORD
Se viene da Master Frankford, sia il benvenuto: e così le sue nuove.

(Entra Nicholas.)

NICHOLAS
(porgendole il liuto) Ecco qua, padrona.

MISTRESS FRANKFORD
Conosco questo liuto. Spesso ho cantato toccando le sue corde. Ma ora ambedue siam fuori di tono, e di tempo.

NICHOLAS
È il peggiore degli strumenti che abbiate mai sonato. Il mio padrone ve lo rimanda: è tutto ciò che ha trovato in casa di vostro. Egli non ha voluto che altro di vostro vi restasse tranne il suo cuore e questo strumento, che vi fa tenere. Tutto quello ch’ho da dire in nome suo è ch’egli vi prega di dimenticarlo, e vi manda il suo addio.

MISTRESS FRANKFORD
Lo ringrazio, lo ringrazio. È gentile, come sempre lo fu. Tutti voi che sentite il mio dolore e conoscete il bene che ho perduto e avete un cuor pietoso stàtemi attorno e fate in modo che le mie lacrime possano lavare il mio triste peccato. Il mio liuto esalerà lamenti; se non piangerà saprà almeno lagnarsi e sospirare.

(Entra Wendoll.)

WENDOLL
(nascosto) Inseguito dall’orrore d’un’anima colpevole, sferzato dallo staffile del rimorso, fuggo la mia ombra. O mie stelle! Ma che cosa han dunque meritato i miei genitori che abbiate a lasciar cadere il vostro pentimento sul loro figlio? Sol ch’io ripensi all’affetto che Master Frankford aveva posto in me e lo paragoni al mio nero tradimento, sol che confronti la mia bramosia d’ucciderlo con la sua d’innalzarmi, mi coglie un terrore simile a schianto di folgore e mi va a fuoco tutto il sangue. E così, pari a gufo che ha in orrore il giorno, vivo per questi ombrosi boschi, temendo ogni foglia che si muova o soffio di vento, eppure tanto desideroso di saper qualcosa del come egli s’è comportato con lei. (Vede Mistress Frankford.) O mio amaro destino! Lei, lei qui e tanto lontana da casa e fra questa gente! Ohimé! Due vere tortore ho separate che vivevano così bene insieme!

MISTRESS FRANKFORD
(a Nicholas) Se ritorni dal mio padrone digli (ma non in mio nome che son indegna io, prostituta, di profferire il suo) digli che tu m’hai visto piangere e augurarmi la morte: anzi tu puoi dirgli pure che la notte scorsa m’hai vista mangiare e bere per l’ultima volta. Questo al tuo signore puoi riferire e giurare: che questo sta scritto in Cielo e qui io ho decretato.

NICHOLAS
Dirò che v’ho vista piangere, giurerò che m’avete tanto afflitto. (A parte) Ebbene, occhi miei, che dobbiamo noi fare? Io decisamente ritorno bambino.

WENDOLL
(a parte) Ma io piangere non posso perché il mio cuore è tutto fuoco. Maledetto il frutto del mio lubrico desio!

MISTRESS FRANKFORD
Prendi il mio liuto e spèzzalo sulla ruota del cocchio e che là vi dia l’ultimo suo concento. È questo il mio addio a ogni gioia terrena. Questo riferisci al mio signore.

NICHOLAS
Se lo potrò, piangendo.

WENDOLL
(a parte) O dolore, trattienmi tu, o, simile a demente, io mi avvento a frenetica corsa.

MISTRESS FRANKFORD
Tu vedi la più miserabile donna che sia al mondo. Una donna fatta di lacrime. Troverai tu parole per raccontarlo al tuo signore? La mia profonda angoscia nessuna lingua potrà dire: pure per quanto è in tua facoltà, narra tutte le mie angosce al tuo triste signore.

NICHOLAS
Lo farò, padrona.

MISTRESS FRANKFORD
Ma non parlarne ai miei bambini: ho ormai rinunciato ad essi. A loro non raccontar nulla, quando incominceranno a balbettare il nome di madre: e sgrìdali se il caso vorrà ch’essi vengano a conoscere quest’odiosa parola: dì loro ch’è una sciocchezza, ch’è un nonnulla: che quand’essi la proferiranno, povere ignare animuccie! non sapranno di arpeggiare sulla loro vergogna!

WENDOLL
(a parte) Ma che potrai fare, Wendoll, per riparare a una tale colpa? L’hai privata del marito e dei figli!

MISTRESS FRANKFORD
Non ho altro a dirti. Non fare mai il mio nome. Riferisci quanto hai veduto.

NICHOLAS
Lo farò.

(Exit.)

WENDOLL
(a parte) Voglio parlarle e confortarla del suo strazio, se le sue ferite fossero di quelle che si curano con parole. Ma non importa, farò del mio meglio per dar qualche sollievo a colei che uccisi.

MISTRESS FRANKFORD
E adesso in carrozza, poi a casa e, così fosse, alla mia tomba: che da questa triste ora in poi io non prenderò più cibo né bevanda né alcuna cosa che mi possa tenere in vita: e non vorrò sorridere né dormire né riposare: ma quando le mie lacrime mi avranno lavata l’anima, o dolce Salvatore, alle tue mani raccomanderò il mio spirito.

WENDOLL
O Mistress Frankford!

MISTRESS FRANKFORD
Per carità di Dio, fuggite, fuggite! Il demonio ha voluto tentarmi ancora prima ch’io muoia… Il mio cocchio! Questo diavolo che con viso d’angelo m’ha rubato l’onore è già ai miei occhi pentiti tutto sconciamente nero!

(Exeunt tutti, tranne Wendoll e Jenkin. I carrettieri fischiano.)

JENKIN
Che? Ma colui è il mio giovin padrone scappato in camicia! Ma come mai ancora vestito?... Ebbene ci avete fatto un bel pasticcio in casa, voi, non vi pare? Ho da servirvi ancora o avete ormai disertato la nostra vecchia dimora?

WENDOLL
Via, via di qui canaglia! Via con le tue facezie fuor di luogo! E a meno che tu possa versar lacrime e sospirare e urlare, maledici la tua triste sfortuna!

JENKIN
Oh là là, se non volete è un’altra faccenda. Addio e impiccàtevi! Però non avreste mai dovuto metter su un tal putiferio in casa nostra: che avremmo voluto farvi filar via a pedate, come uno spirito.

(Exit.)

WENDOLL
(a parte) Essa è andata alla morte. E io vivrò nella miseria e nell’angoscia. La sua vita, il suo peccato tutto sta sopra la mia coscienza. E adesso io dovrò andarmene ramingo come Caino per straniere contrade e remoti climi, dove nessuno ancora conoscerà la mia ingratitudine. Andrò da prima in Francia poi in Germania poi in Italia: e quando mi sarò rimesso e col viaggiare avrò saputo appropriarmi i diversi linguaggi, e quando l’eco di questi rumori si sarà calmato, allora tornerò. Penso che i miei molti meriti e le mie imprese lodati da qualche gran signore al mio ritorno mi gioveranno per occupare qualche posto a corte.

(Exit.)

Scena IV.-

Davanti al Castello.
Entra Sir Francis Acton, Susan, Sir Charles Mountford, Cranwell e Malby.

SIR FRANCIS
Cognato mio, e tu ora mia moglie, penso che tutti questi guai mi son caduti sul capo per giustizia divina, poiché essendo stato congiunto a te, cognato, nelle medesime avversità, ora ci siamo riconciliati. Vorrei che mia sorella riuscisse a superare i suoi affanni come noi abbiamo superati i nostri.

SUSAN
Master Cranwell, voi ci riferite cose sorprendenti sulla pazienza di Master Frankford e sullo strano animo con cui egli sopporta la sua sventura.

CRANWELL
Ve l’ho detto che son stato testimonio. Ebbi la fortuna di alloggiare in casa sua quella notte.

SIR FRANCIS
Ah quel furfante di Wendoll! Fu egli a trascinarla a perdizione. Ch’ella per sé era casta e devota… È questa la casa?

CRANWELL
Sì, signore. Credo che vostra sorella sia qui.

SIR FRANCIS
Mio cognato Frankford si è mostrato troppo debole nel vendicarsi di sì odioso fallo. Meno di quello ch’ei fece nessun uomo di spirito avrebbe potuto mai fare. Ma io son così lungi dal riprovare una tale forma di vendetta che anzi la lodo. Mi fossi trovato io a quel posto ti dico che di colpo le loro anime sarebber state liberate dai loro petti. Solo morte a tali delitti di vergogna è giusta ricompensa.

(Entrano nel castello.)

Scena V.-

Una camera del Castello.
Entrano Sir Francis Acton, Susan, Sir Charles Mountford, Cranwell e Malby.

JENKIN
O mia signora, mia signora, mia povera signora!

CICELY
O non fossi mai nata! Che posso fare per voi, povera signora?

SIR CHARLES
Ebbene, che ha?

JENKIN
Appena ella ebbe udito che suo fratello e i suoi amici erano in procinto di venirla a visitare, cadde in tale deliquio che a stento potemmo ritornarla in vita.

SUSAN
Ahimé, ch’ella non sopporterà un destino così crudo!

SIR FRANCIS
È ella tanto debole?

JENKIN
Vi posso asicurare, signore, che non v’è più speranza di vita in lei, dacché non vuol prender cibo di sorta. In poche parole ella si lascia morire di fame. È sottile come un giunco. Non aspetta che la sua ultima ora. Molti gentiluomini e gentildonne della contrada vengon qui a darle un po’ di conforto.

(Exeunt.)

Scena VI.-

Camera da letto di Mistress Frankford.
Mistress Frankford a letto. Entrano Sir Charles Mountford, Sir Francis Acton, Malby, Cranwell e Susan.

MALBY
Come state, Mistress Frankford?

MISTRESS FRANKFORD
Male, male, oh male! Volete far entrare un poco d’aria?... E ditemi, dite, dov’è Master Frankford? Non vuole egli degnarsi di venirmi a vedere prima ch’io muoia?

MALBY
Sì, Mistress Frankford, diversi gentiluomini vostri vicini, a questo scopo appunto si son recati da lui e gli hanno riferito del vostro debole stato: ed egli ancorché stentasse crederlo, considerando il vostro pentimento e il vostro gran desiderio di rivederlo prima che lasciate il mondo, ci promise che ci avrebbe seguiti, e certo, certo sarà qui fra breve.

MISTRESS FRANKFORD
Mi fate rivivere con queste grate notizie… Alzatemi un poco su, vi prego, su l’origliere… Mi son fatta rossa in viso, cognata? Son io rossa, Sir Charles? Non leggete il mio fallo scritto sul mio viso? Il mio delitto non è là? Ditemi, signori!

SIR CHARLES
Ahimé, buona signora, la malattia non ha lasciato sangue abbastanza sul vostro viso per farlo arrossire.

MISTRESS FRANKFORD
Cosicché se mio marito viene, la mia malattia, come buona amica, vorrà celare il mio peccato… La mia anima cerca di ritardare il suo arrivo, ma io ormai sono pronta per il Cielo.

SIR FRANCIS
Ero venuto per rimproverarti, sorella, ma le mie parole severe si son voltate in pietà e compassione. Ero venuto per giudicarti ma, lo vedi, il mio rimprovero finisce in lacrime… Ma ecco Master Frankford.

(Entra Frankford.)

FRANKFORD
Buon giorno, cognato, buon giorno, signori. Iddio che ha calato questa croce sopra le nostre spalle, poté, che così gli piacque, farci ritrovare sopra un terreno più pacato. Ma Egli ci ha pure fatti a questo dolore.

MISTRESS FRANKFORD
È egli venuto? Mi pareva di udir una voce che conosco…

FRANKFORD
Come stai?

MISTRESS FRANKFORD
Bene, Master Frankford, bene. Ma starò meglio, spero, fra qualche ora. Volete voi concedermi, nella vostra grazia ed umanità, di prendere per una mano questa povera sgualdrina?

FRANKFORD
Questa mano una volta stringeva il mio cuore con un legame più stretto di quanto ora essa stia aggrappata alla mia. Dio perdoni a coloro che per la prima volta la costrinsero a spezzarlo.

MISTRESS FRANKFORD
Amen, amen… Dimenticando il mio ardente desiderio del Cielo a cui io sono ormai avvinta, sono stata così impudente di bramarti qui con me; e ancor una volta ti chiedo perdono. O uomo buono, o padre dei miei bambini, perdonami, oh perdonami, perdonami! Il mio fallo è stato tanto odioso che se in questo mondo non lo dimentichi, neppure i Cieli vorranno mai perdonarmelo nel mondo di là. Tanta debolezza è ormai nelle mie ginocchia che piegarmi davanti a te non posso, ma sulle ginocchia del mio cuore ti giuro che la mia prostrata anima si gitta ai tuoi piedi, e implora il tuo perdono… Perdono, oh perdono!

FRANKFORD
Liberalmente dalle profonde latebre dell’anima, come il Redentore ha perdonato ai suoi uccisori, io ti perdono. Verserò lacrime per te e per te pregherò e nella pura pietà del tuo triste stato vorrò morire con te.

TUTTI
E tutti noi.

NICHOLAS
Ma io no, eh! Sospirerò, e magari, singhiozzerò, ma, in fede mia, di morire proprio non me la sento.

SIR FRANCIS
O Master Frankford, la nostra stretta parentela ch’io perdo in lei, verrà rinnovata in te. Tu mi sei cognato prossimo: la sua parentela dilegua, ma la tua rimane.

FRANKFORD
Anche in vista del perdono che il gran Giudice dei Cieli ci vorrà concedere al giorno supremo, che tu sia perdonata, moglie mia. La tua impudente offesa ha divorziato i nostri corpi, ma le tue lacrime di pentimento hanno ricongiunte le nostre anime.

SIR CHARLES
Voi vedete, Mistress Frankford, ch’egli v’ha perdonato. Sollevate lo spirito, rallegrate la vostra debole anima.

SUSAN
Che cos’avete?

SIR FRANCIS
Come vi sentite, signora?

MISTRESS FRANKFORD
Non son più di questo mondo…

FRANKFORD
Lo vedo, lo vedo, e nel vederlo io piango… Mia moglie, la madre dei miei dolci bambini! Ed ecco, i loro perduti nomi io ti ritorno e con un bacio ti sposo un’altra volta. Ancorché ferito nella mia coscienza, ancorché con tanto tormento ti giaccia sul tuo letto di morte, su l’anima mia ti giuro che onesta nel cuore tu muori.

MISTRESS FRANKFORD
Perdonata in terra, anima mia, sarai libera in Cielo… Baciami, baciami un’altra volta ancora, sposo mio… La tua donna muore così a te abbracciata…

(Muore.)

FRANKFORD
Da poco sposata e già in vedovanza… Oh! è morta, è morta, e fredda tomba sarà il suo letto nuziale.

SIR CHARLES
Signore, dàtevi pace: spartite fra noi il vostro greve dolore. Gli uragani divisi perdon di forza e minor rabbia li guida.

CRANWELL
O fatelo, Master Frankford. Colui che ne subirà la minima parte ne avrà pur sempre abbastanza da annegare un cuore sconvolto.

SIR FRANCIS
Pace, pace a te, Nan. E tutti noi qui, parenti e gentiluomini di Frankford, spargiamo funeree lacrime sul corpo di lei… Cognato mio, avessi tu punito con minaccie e cattivi modi il peccato e il danno ch’ella recò al tuo cuore, lo strazio dell’offesa non le avrebbe toccato il suo con tale verità di dolore.

FRANKFORD
No, non l’avrebbe, ed è perciò che in memoria di lei a lettere d’oro io vorrei che sulla sua tomba fosse scolpito questo epitaffio: «Qui giace colei che il marito uccise con la dolcezza».