Robert Greene, Friar Bacon and Friar Bungay

L’onorevole historia di Fra Bacone e Fra Bungay





Texto utilizado para esta edición digital:
Greene, Robert. L’onorevole istoria di fra Bacone e fra Bungay. Tradotto da Raffaello Piccoli. In: Drammi elisabettiani Vol. 1 Kyd, Greene, Peele, Marlowe. Bari: Gius. Laterza & Figli, 1914. 135-224
Adaptación digital para EMOTHE:
  • Lázaro Lázaro, Francisco

[ DRAMATIS PERSONAE.

Il Re Arrigo terzo
Eduardo, Principe di Galles, suo figliuolo
L’Imperatore di Germania
Il Re di Castiglia
Lacy, conte di Lincoln
Warren, conte di Sussex
Ermsby, gentiluomo
Ralph Simnel, buffone del Re
Fra Bacone
Miles , povero scolaro di Fra Bacone
Fra Bungay
Jaques Vandermast
Burden, }
Mason, }
Clemente, } Dottori di Oxford
Lamberto
Serlsby, } gentiluomini
Due scolari, loro figliuoli
Guardiano
Tomaso, }
Riccardo , } rustici
Birro
Un Corrierre
Signori, Rustici, ecc.
Eleonora, figliuola del Re di Castiglia
Margherita, figliuola del Guardiano, la Bella Fanciulla di Fressingfield
Giovanna, una ragazza del contado
L’Ostessa della Campana ad Henley
Un diavolo
Spirito in sembianza di Ercole ]

[SCENA I]

[Presso Fremingham.]
Entra il Principe Eduardo, triste in aspetto, con Lacy, Warren, Ermsby e Ralph Simnel.

Lacy.
Perchè somiglia il mio signore a un cielo turbato,
quando il lucido splendore del firmamento è ombrato da una nebbia?
Pur ora abbiam cacciato il dàino, e per i prati
raggiunto co’ nostri corsieri i maschi superbi e gai,
5
che fuggivano innanzi ai veltri come il vento:
mai non fu il dàino dell’allegra Fressingfield
così gagliardamente abbattuto da giocondi compagni,
nè divisero i fittaioli una così grassa selvaggina,
tanto liberalmente distribuita, da cent’anni a questa parte;
10
nè ho io mai veduto il mio signore più gaio nella caccia,
ed ora in una melanconica mestizia.

Warren.
Dopo che il principe venne alla capanna del Guardiano,
e fu stato in letizia nella casa per un po’,
tracannando birra e latte in rustici boccali,
15
fosse la dolce contentezza della campagna,
oppure la leggiadra damigella che ci versava da bere,
che pareva così nobile nel suo rosso fustagno,
o che una nausea gli traversasse lo stomaco allora,
ma subito egli cadde nelle sue pene.

Ermsby.
20
Messer Ralph, che dite voi al vostro padrone?
Resterà egli così avvilito nella sua tristezza?

Ralph.
Odi tu, Ned? — No, guarda se mi vuol parlare!

Principe Eduardo.
Che dici tu a me, buffone?

Ralph.
Ti prego, dimmi, Ned, sei tu innamorato della figliuola del Guardiano?

Principe Eduardo.
25
E che dunque, se fossi?

Ralph.
Ebbene, allora, messere, io t’insegnerò come ingannare Amore.

Principe Eduardo.
Come, Ralph?

Ralph.
Perdio, Messer Ned, tu indosserai il mio abito, e il mio berretto, e il mio pugnale, ed io i tuoi panni e la tua spada: e così tu sarai il mio buffone.

Principe Eduardo.
E a che questo?

Ralph.
30
Ebbene, così tu deluderai Amore; perchè Amore è una così superba scabbia, che mai non si mischierà a buffoni o bambini. Non è buono il consiglio di Ralph, Ned?

Principe Eduardo.
Dimmi, Ned Lacy, hai tu notato la fanciulla,
com’ella pareva amabile nelle sue rustiche vesti?
Una più leggiadra ragazza non la dà tutto il Suffolk:
Tutto il Suffolk! no, tutta l’Inghilterra non ne ha una simile.

Ralph.
35
Messer Will Ermsby, Ned è in inganno.

Ermsby.
Perchè, Ralph?

Ralph.
Egli dice che tutta l’Inghilterra non ne ha una simile, ed io dico, e sostengo, che ce n’è una meglio nella contea di Warwick.

Warren.
Come lo provi, Ralph?

Ralph.
Ebbene, non è l’abate un dotto uomo, e che ha letto molti libri, e pensi tu ch’egli non abbia più dottrina di te per scegliere una leggiadra ragazza? sì, te lo garantisco, per tutta la sua grammatica.

Ermsby.
40
Una buona ragione, Ralph.

Principe Eduardo.
Io ti dico, Lacy, che i suoi occhi scintillanti
balenan fuori il seducente fuoco del dolce amore;
e nelle sue trecce ella avvolge gli sguardi
di chi contempla la sua chioma d’oro;
45
il proprio verecondo candore, misto al rosso del mattino,
ostenta la Luna sulle sue amabili guance;
la sua fronte è la tavola su cui la bellezza dipinge
le glorie della sua magnifica eccellenza;
i suoi denti sono banchi di preziose margherite,
50
riccamente cinti da rupi di rubicondo corallo.
Così, Lacy, ella è l’estremo della bellezza,
se tu osservi le sue rare sembianze.

Lacy.
Io riconosco, mio signore, che la damigella è assai bella,
per quanto posson dare i modesti borghi del semplice Suffolk;
55
ma nella corte ci son dame più aggraziate di lei,
i cui volti sono ornati del colore dell’onore,
le cui bellezze stan sulla scena della fama,
e vantano i loro trofei nelle corti d’amore.

Principe Eduardo.
Ah, Ned, ma se tu l’avessi guardata come me,
60
e vedute le segrete bellezze della fanciulla,
la loro cortigianesca ritrosia non ti parrebbe che scioccherìa.

Ermsby.
Perchè, come la guardaste voi, mio signore?

Principe Eduardo.
Quando ella incedeva come Venere per la casa,
e nella sua figura avviluppava i miei pensieri,
65
alla cascina io andai con la fanciulla,
e là tra i vasi di panna ella splendeva
come Pallade tra la sua principesca masserizia:
ella rimboccò la sua camicia sulle sue braccia di giglio,
e le tuffò nel latte per fare il suo cacio;
70
ma, più bianca del latte, la sua pelle trasparente,
screziata di linee azzurre, avrebbe fatto arrossire la donna
che arte o natura avesse osato portare al paragone.
Ermsby, se tu avessi veduto, com’io ho bene osservato,
come la bellezza faceva da massaia, come questa fanciulla,
75
simile a Lucrezia, poneva le sue dita al lavoro,
tu, con Tarquinio, arrischieresti Roma e tutto
per conquistare l’amabile fanciulla di Fressingfield.

Ralph.
Messer Ned, ti piacerebbe d’averla?

Principe Eduardo.
Sì, Ralph.

Ralph.
80
Ebbene, Ned, io ho disposta la trama nella mia testa; tu l’avrai subito.

Principe Eduardo.
Io ti darò un abito nuovo, se tu me l’insegni.

Ralph.
Ebbene, messer Ned, noi cavalcheremo ad Oxford da fra Bacone: o, egli è un gran dotto, messere; dicono ch’egli sia un negromante, ch’egli possa far donne di diavoli, e mutar con prestigio gatti in fruttivendoli.

Principe Eduardo.
E che poi, Ralph?

Ralph.
Perdio, messere, tu andrai da lui; e perchè tuo padre Arrigo non senta la tua mancanza, egli trasformerà me in te; e io andrò alla Corte e farò in tutto il principe; ed egli farà di te o una borsa di seta piena d’oro o altrimenti una camicia finamente ricamata.

Principe Eduardo.
85
Ma come avrò io la fanciulla?

Ralph.
Perdio, messere, se tu sarai una borsa di seta piena d’oro, allora le domeniche ella t’attaccherà al suo fianco, e voi non dovete dire una parola. Ora, signore com’ella viene tra una grande folla di gente, per paura dei tagliaborse, di subito ti ficcherà nella tasca della sua gonnella; allora, messere, essendo là, voi potete dir da voi le vostre ragioni.

Ermsby.
Eccellente accorgimento!

Principe Eduardo.
Ma come farei, s’io fossi una camicia lavorata?

Ralph.
Allora essa ti metterà nel suo forziere, ti porrà nello spigo, e un bel giorno ti indosserà.

Lacy.
90
Consiglio maravigliosamente saggio, Ralph.

Principe Eduardo.
Ralph avrà un abito nuovo.

Ralph.
Iddio vi ringrazî quand’io l’ho sul mio dosso, Ned.

Principe Eduardo.
Lacy, il buffone ha disposto una trama perfetta;
perchè la nostra rustica Margherita è tanto ritrosa,
95
ed è così ferma sul punto della sua onestà,
che, fuor del matrimonio, non c’è nulla da fare con la fanciulla.
Ermsby, voglion essere incanti negromantici,
e fascini d’arte magica, che incatenino il suo amore,
o altrimenti Eduardo mai non conquisterà la fanciulla.
100
Pertanto, miei allegri compagni, noi monteremo a cavallo nella mattinata,
e ci affretteremo ad Oxford da questo giocondo frate:
Bacone con la sua magìa farà questa faccenda.

Warren.
Sta bene, mio signore; e questa è una via spiccia
per svezzare queste cùcciole testarde dalla mammella.

Principe Eduardo.
105
Io sono sconosciuto non preso per il principe;
essi ci credono soltanto gai cortegiani,
che fan baldoria così alla caccia del loro sovrano:
perciò io ho meditato uno stratagemma;
Lacy, tu sai che venerdì prossimo è San Giacomo,
110
e i campagnuoli affluiscono alla fiera di Harlston:
allora la figlia del Guardiano si darà buon tempo colà,
e splenderà su tutta la turba delle fanciulle,
che vanno in quel giorno per vedere ed esser vedute.
Mèscolati travestito tra quei villani,
115
fingi d’esser figlio d’un fittavolo, di quelle parti,
spia i suoi amori, e chi ella ami più;
fatti innanzi, e fa a lei la corte, per tener a freno il bifolco;
di’ che il cortigiano tutto vestito di verde,
che l’aiutò garbatamente a fare il suo cacio,
120
ed empì la capanna di suo padre di selvaggina,
si raccomanda e la manda a salutare.
Compra qualcosa di conveniente al suo parentado,
non alla sua bellezza; perchè, Lacy, in questo caso alla fiera
non troveresti un gioiello adatto alla fanciulla:
125
e quando tu parli di me, osserva s’ella arrossisce:
o, se sì, ella ama; ma se le sue guance impallidiscono,
questo è disdegno. Lacy, mandami a dire com’ella si comporta,
e non risparmiar tempo nè spesa per conquistare il suo amore.

Lacy.
Mio signore, io eseguirò quest’incarico,
130
come se Lacy fosse innamorato di lei.

Principe Eduardo.
Manda subito notizie ad Oxford per lettere.

Ralph.
E, Messer Lacy, comprami mille mille milioni di bei campanelli.

Lacy.
E che vuoi farne, Ralph?

Ralph.
Perdio, ogni volta che Ned sospira per la figlia del Guardiano, io gli appiccherò addosso un campanello: e così entro tre o quattro giorni manderò a dire a suo padre Arrigo, che il suo figliuolo, e mio padrone Ned, è diventato il moreschiere d’Amore.

Principe Eduardo.
135
Bene, Lacy, prenditi cura dell’incarico avuto,
ed io m’affretterò ad Oxford dal frate,
ch’egli con la sua arte e tu con segreti doni
mi possiate far signore dell’allegra Fressingfield.

Lacy.
Iddio conceda a vostro onore il desiderio del suo cuore.

Exeunt.

[SCENA II.]

[La cella di Fra Bacone al Nasodibronzo.]
Entrano Fra Bacone, e Miles con libri sotto il braccio; Burden, Mason e Clemente.

Bacone.
140
Miles, dove siete voi?

Miles.
Hic sum, doctissime et revverendissime doctor.

Bacone.
Attulisti nobis libros meos de necromantia?

Miles.
Ecce quam bonum et quam jucundum habitare libros in unum!

Bacone.
Ora, signori del nostro accademico stato,
145
che governate in Oxford, vicerè nel vostro grado,
le cui teste contengono le mappe delle arti liberali,
e spendete il vostro tempo nelle profondità dell’erudita sapienza,
perchè vi affollate voi così alla segreta cella di Bacone,
un frate da poco installato nel Nasodibronzo?
150
Dite qual’è il vostro animo, che io possa rispondere.

Burden.
Bacone, noi udiamo ciò che da tempo abbiamo sospettato,
che tu sei istruito ne’ misteri della magìa;
in piromanzia, a indovinar dalle fiamme;
a dire, per idromanzia, i flussi e i riflussi;
155
per aeromanzia, a chiarire dubitazioni,
a risolver problemi, come usava Apollo.

Bacone.
Bene, Maestro Burden, e che per tutto ciò?

Miles.
Perdio, signore, egli non fa che porre in atto, con ripetere questi nomi, la favola della volpe e dell’uva: ciò che è sopra di noi non ci concerne in nulla.

Burden.
Io ti dico, Bacone, che per Oxford corre fama,
160
anzi, tutta Inghilterra a la corte d’Arrigo dice
che tu stai facendo per arte magica una testa di bronzo,
che dichiarerà singolari dubbî e aforismi,
e terrà una lettura di filosofia,
e che, con l’aiuto di diavoli e di orrendi demonî,
165
tu intendi, prima che molti anni o giorni sian passati,
di cingere l’Inghilterra d’un muro di bronzo.

Bacone.
E che per ciò?

Miles.
Che per ciò, maestro! ebbene, egli parla alla guisa mistica; perchè egli sa che se la vostra maestrìa non riesce a fare una testa di bronzo, pure la birra forte di Mamma Waters compirà il suo ufficio di fargli avere un naso di rame.

Clemente.
Bacone, noi non veniamo per dolerci della tua maestrìa,
170
ma per rallegrarci che la nostra accademia produca
un uomo ch’è ritenuto la maraviglia del mondo;
perchè se la tua sapienza opererà questi miracoli,
Inghilterra ed Europa ammireranno la tua fama,
ed Oxford in caratteri di bronzo
175
e in statue, come erano alzate in Roma,
eternerà fra Bacone per la sua arte.

Mason.
Dunque, nobile frate, dicci il tuo intento.

Bacone.
Poichè voi venite come amici dal frate,
convincetevi, dottori, che Bacone può co’ suoi libri
180
fare tuonare il tempestoso Borea dalla sua spelonca,
ed oscurare la vaga Luna con un’oscura eclissi.
Il grande arcirettore, sovrano dell’inferno,
trema quando Bacone ingiunge a lui o a’ suoi demonî
di inchinarsi alla forza del suo pentagerone.
185
Ciò che l’arte può operare, sa il gaio frate;
e perciò io scartabellerò i miei libri magici,
e spremerò la negromanzia fino al fondo.
Io ho immaginata e foggiata una testa di bronzo,
(ho fatto martellar la materia da Belcefonte),
190
ed essa per arte leggerà filosofia.
Ed io afforzerò l’Inghilterra con la mia maestria,
così che se dieci Cesari vivessero e regnassero in Roma,
con tutte le legioni che l’Europa contiene,
essi non toccherebbero un filo d’erba della terra inglese;
195
l’opera che Nino elevò in Babilonia,
le mura di bronzo foggiate da Semiramide,
intagliate come la porta del sole,
non sarà pari a quella che circonderà le coste inglesi,
da Dover alla piazza del mercato di Rye.

Burden.
200
È ciò possibile?

Miles.
Io vi porterò due o tre testimoni.

Burden.
Quali?

Miles.
Perdio, signore, tre o quattro dei più onesti diavoli e buoni compagnoni che siano in inferno.

Mason.
Non v’è dubbio che in ciò la magìa possa far molto,
205
perchè colui che studia solo le regole matematiche
troverà conclusioni che valgono a operare
maraviglie che superano il comune intendimento degli uomini.

Burden.
Ma Bacone tira con l’arco oltre il suo segno,
e parla di ciò che la magìa non può eseguire,
210
pensando di farsi una fama con stravaganze.
Non sono io andato innanzi come lui nelle scuole,
e non ho letto di molti segreti? pure, pensare
che teste di bronzo possano mandar fuori alcuna voce,
o più, parlar di profonda filosofia,
215
quest’ è una favola che Esopo aveva dimenticata.

Bacone.
Burden, tu mi fai torto calunniandomi così.
Bacone non ama rimpinzarsi di menzogne.
Ma parlami innanzi a questi dottori, se tu osi,
di certi problemi ch’io ti proporrò.

Burden.
220
Va bene; chiedi ciò che puoi.

Miles.
Perdio, signore, egli ti sarà subito addosso per sapere se è più degno il genere maschile o il femminile.

Bacone.
Non foste voi ieri, Maestro Burden, ad Henley sul Tamigi?

Burden.
Ci fui: e poi?

Bacone.
Qual libro studiaste voi là tutta la notte?

Burden.
225
Io! nessuno affatto; io non lessi colà una linea.

Bacone.
Allora, dottori, l’arte di fra Bacone non sa nulla.

Clemente.
Che dite voi di ciò, Maestro Burden? non vi tocca egli?

Burden.
Io non mi curo de’ suoi frivoli discorsi.

Miles.
No, Maestro Burden, il mio padrone prima di finirla con voi, vi farà, di dottore, balordo, e vi ridurrà così piccolo, che non lascerà in voi più dottrina di quanta ce n’ è nell’asino di Balaam.

Bacone.
230
Signori, poichè la sapienza del dotto Burden è profonda,
e fieramente egli dubita della cabala di Bacone,
io vi mostrerò perchè egli frequenta assai Henley:
non, dottori, per gustar l’aria fragrante,
ma per spender colà le notti colà le notti nell’alchimia,
235
per moltiplicar l’oro con segreti incanti d’arte magica;
così nascostamente egli ruba la dottrina a noi tutti.
Per provar veri i miei detti, io vi mostrerò subito
il libro ch’egli tiene per sè ad Henley.

Miles.
Olà, ora il mio padrone farà gli scongiuri, state attenti.

Bacone.
240
Signori, state quieti, non abbiate paura, io vi mostrerò soltanto il suo libro.
Fa gli scongiuri.
Per omnes deos infernales, Belcephon!

Entra un’Ostessa con una spalla di montone su uno spiedo, e un demonio.

Miles.
O, padrone, cessate i vostri scongiuri, o voi guastate tutto; perchè qui c’ è una diavolessa venuta con una spalla di montone su uno spiedo: voi avete disturbato il pranzo del diavolo; ma senza dubbio egli pensa che la mensa del nostro collegio sia scarsa, e così v’ha mandata la sua cuoca con una spalla di montone, per far che soprabbondi.

Ostessa.
O, dove son io, o che è di me?

Bacone.
Che cosa sei tu?

Ostessa.
245
Ostessa ad Henley, padrona della Campana.

Bacone.
Come sei venuta qui?

Ostessa.
Com’io era nella cucina tra le radazze,
spiedando la carne pel pranzo de’ miei ospiti,
mi sentii spinta a guardato nella corte,
250
che subito un turbine mi issò di colà,
e m’innalzò su tra le nuvole.
Come in un rapimento, io non pensava né temeva nulla,
nè so dove o verso qual luogo io fossi tratta,
nè dove io sia, nè che siano queste persone.

Bacone.
255
No? non conoscete Maestro Burden?

Ostessa.
O sì, buon signore, egli è il mio ospite giornaliero.
Che, Maestro Burden! appena iernotte
voi ed io giocammo a carte ad Henley.

Burden.
Io non so che cosa facessimo. — Cànchero a tutti i frati scongiuratori!

Clemente.
260
Ora, frate giocondo, dicci, è questo il libro
che Burden esamina con tante diligenza?

Bacone.
È questo. — Ma, Burden, dimmi ora,
pensi tu che la sapienza negromantica di Bacone
non possa eseguire la testa e il muro di bronzo,
265
quando egli può recar qui la tua ostessa in così breve tempo?

Miles.
Io vi garantisco, padrone, che se Maestro Burden sapesse scongiurar come voi, egli si farebbe ogni notte venire il suo libro da Henley per studiarvi su ad Oxford.

Mason.
Burden, che, siete voi messo nel sacco da questo gaio frate? —
Guardate com’egli è abbattuto; la sua coscienza colpevole
Io spinge a vergognarsi, e fa arrossire la sua ostessa.

Bacone.
270
Bene, signora, poichè io non voglio che voi manchiate,
voi tornerete ad Henley per rianimare i vostri ospiti,
prima che il pranzo cominci. — Burden, ditele addio;
dite arrivederci alla vostra ostessa prima ch’ella vada. —
Ragazzo, via, e méttila salva a casa sua.

Ostessa.
275
Maestro Burden, quando vi vedremo ad Henley?

Burden.
Il diavolo ti pigli, ed Henley pure.

Exeunt l’Ostessa e il diavolo.

Miles.
Padrone, posso fare una buona proposta?

Bacone.
E che è?

Miles.
Perdio, signore, ora che la mia ostessa è andata a provvedere al pranzo, evocate su un spirito, e mandatele dietro a volo Maestro Burden.

Bacone.
280
Così, reggitori del nostro accademico stato,
voi avete veduto l’arte del frate alla prova;
e come il collegio chiamato Nasodibronzo
è sotto di lui, ed egli n’è il Maestro,
con altrettanta certezza questa testa di bronzo sarà foggiata,
285
e darà fuori singolari e bizzarri aforismi;
e l’inferno ed Ecate potranno abbandonare il frate,
ma io cingerò intorno l’Inghilterra d’un muro di bronzo.

Miles.
Così sia et nunc et semper, amen.

Exeunt omnes.

[SCENA III.]

[La fiera di Harlston.]
Entrano Margherita e Giovanna; Tomaso, Riccardo ed altri rustici; e Lacy travestito in abito campagnuolo.

Tomaso.
In fede mia, Margherita, quest’è un tempo capace di far chiamare a un uomo, bastardo il proprio padre; se questo tempo dura, avremo il fieno a buon mercato, e burro e cacio ad Harlston saran senza prezzo.

Margherita.
290
Tomaso, le ragazze, quando vengono a veder la fiera,
non contan di fare affari per la carestia del fieno:
quando noi abbiamo salato il burro,
e posto il nostro cacio al sicuro su’ palchetti,
poi lasciamo che i nostri babbi lo prezzino come piaccia loro.
295
Noi fraschette campagnole dell’allegra Fressingfield
veniamo a comprare inutili nonnulla per farci belle,
e badiamo che i giovanotti sian generosi oggi,
e ci faccian la corte con le fiere che possono.
Febo è di buon umore, e gaio guarda dal cielo,
300
come quando corteggiava l’amabile Semele,
giurando che i merciaiuoli vuoteranno i loro fardelli,
se il bel tempo può fare che gli avventori comprino.

Lacy.
Ma, amabile Peggy, Semele è morta
e perciò Febo spia dal suo palazzo,
305
e vedendo una così dolce e convenevole santa,
mostra tutte le sue glorie per corteggiar voi.

Margherita.
Quest’ è un donarmi la fiera, gentile signore, davvero,
blandirmi con una così delicata adulazione;
ma, credetemi, la vostra beffa è troppo manifesta. —
310
Bene, Giovanna, le nostre bellezze debbon sopportare i loro scherzi;
noi non ci siamo avvezze, nella gioconda Fressingfield.

Giovanna.
Margherita, la figlia d’un fittaiolo, pel figlio d’un fittaiolo:
io ti garantisco che la più meschina di noi due
avrà un damo per menarci in chiesa.
Lacy sussurra a Margherita in un orecchio.
315
Ma, Tomaso, che c’ è di nuovo? che, di mal umore?
Datemi la mano, siam vicini alla bottega d’un merciaiuolo;
fuori la vostra borsa, ora vogliam le fiere.

Tomaso.
Affè, Giovanna, e le avrete, vi comprerò la fiera e poi andremo alla taverna, a tracanneremo una pinta o due di vino.

Margherita.
Di dove siete voi, signore? del Suffolk? perchè le vostre parole
320
son più fini di quelle della comune sorta d’uomini.

Lacy.
Affè, amabile fanciulla, io son qui di Beccles,
vostro vicino, non più di sei miglia di qua,
figliuolo d’un fittaiolo, e non fui mai tanto lezioso
se non per poter fare una cortesia a dame come voi.
325
Ma fidatevi di me, Margherita, io son mandato e posta
da colui che fece baldoria nella casa di vostro padre,
ed empi la sua capanna di vivande e di selvaggina,
vestito di verde: egli vi manda questa ricca borsa,
per ricordo d’avervi aiutata a fare il vostro cacio,
330
e d’aver ciarlato con voi nella cascina.

Margherita.
A me? Voi vi sbagliate.

Lacy.
Le donne sono spesso deboli di memoria.

Margherita.
O, scusate, signore, io ho in mente la persona:
sarebbe mala grazia rifiutar il suo dono,
335
e pure io spero ch’egli non lo mandi per amore;
perchè noi abbiamo poco agio per occuparci di ciò.

Giovanna.
Che, Margherita! non arrossire: bisogna bene che le ragazze abbiano i loro amori.

Tomaso.
No, per la messa, ella è pallida come se fosse arrabbiata.

Riccardo.
Messere, siete voi di Beccles? Vi prego, come sta il Bonomo Cob? mio padre comprò un cavallo da lui. — Io vi dico, Margherita, e ‘sarebbe buono a esser la rozza d’un signore, perchè tra l’altro la brutta bestia non tira nemmeno la carretta del letame.

Margherita.
340
[a parte]
Com’è differente questo tittaiolo dagli altri,
che prima d’ora eran piaciuti al mio sguardo vagabondo!
le sue parole sono argute, animate da un sorriso;
la sua cortesia è nobile, sente della corte;
affabile e benigno in tutti i suoi atti;
345
bello di membra com’era Paride quando, in bigio,
corteggiava Enone nella valle presso Troia.
Gran signori son venuti a richiedermi del mio amore:
ed io non sono che la figliuola del Guardiano di Fressingfield;
e pur mi pare che questo giocondo figlio di fittaiolo,
350
passi il più bello che sia piaciuto ai miei occhi.
Ma, Peg, non palesare che tu sia innamorata,
e non mostrargli ancora alcun segno d’amore;
sebbene tu ben vorresti averlo per il tuo amore;
tien questo per te, finchè il tempo ti darà l’occasione
355
di mostrare il travaglio in cui brucia il tuo cuore.
Venite, Giovanna e Tomaso, andiamo alla fiera? —
Voi, uomo di Beccles, non ci abbandonerete ora?

Lacy.
No, finch’ io possa avere così graziose fanciulle come voi.

Margherita.
Bene, se v’avvien di venire dalle parti di Fressingfield,
360
fate un passo solo nella capanna del Guardiano,
e quella povera mensa che posson dare i boscaioli,
burro e cacio, crema e grassa selvaggina,
voi l’avrete in abbondanza, e il benvenuto insieme.

Lacy.
Gran mercè, Peggy; attendetemi tra poco.

Exeunt omnes.

[SCENA IV.]

[La corte nel palazzo di Hampton.]
Entrano il re Arrigo Terzo, l’Imperatore, il Re di Castiglia, Eleonora e Vandermast.

Re Arrigo.
365
Grandi uomini d’Europa, monarchi dell’occidente,
cinti dalle mura del vecchio Oceano,
i cui superbi marosi sono come i baluardi,
che circondano con le loro torri l’alto-edificata Babele,
benvenuti, miei signori, benvenuti, valorosi re occidentali,
370
alla spiaggia d’Inghilterra, i cui dirupati promontorî
mostrano che Albione è un altro piccolo mondo;
benvenuti, dice a voi tutti l’Inglese Arrigo;
specialmente all’amabile Eleonora,
che ha osato per amor d’Eduardo attraversare i mari,
375
e avventurarsi come la figlia d’Agenore sull’oceano,
per ottener l’amore del vivace figlio d’Arrigo.

Re di Castiglia.
Magnifico monarca d’Inghilterra, valoroso Plantageneto,
i Monti Pirenei che s’elevano sopra le nubi,
e proteggon di mura la doviziosa Castiglia,
380
non poterono trattenere la bella Eleonora;
ma udendo la fama della giovinezza d’Eduardo,
ella osò sopportare l’altera superbia di Nettuno,
e reggere all’impeto d’Eolo ostinato:
dunque possa la vaga Inghilterra tanto più darle il benvenuto.

Eleonora.
385
Dopo che l’Inglese Arrigo per mezzo dee’ suoi signori
ebbe mandato l’amabile ritratto del Principe Eduardo
in dono ad Eleonora di Castiglia,
la leggiadra effigie d’un uomo tanto valoroso,
il racconto della fama delle sue virtuose azioni,
390
il coraggioso ardimento d’Eduardo,
in Terra Santa, innanzi alle mura di Damasco,
condussero insieme i miei occhi e i miei pensieri con eguali legami,
a aver così in grazia il figlio del monarca inglese,
ch’io sfidai i pericoli per amor suo.

Imperatore.
395
Dov’ è il principe, mio signore?

Re Arrigo.
Egli partì, non ha gran tempo, dalla corte
per le terre del Suffolk, per l’allegra Fremingham,
per sollazzarsi tra i miei falbi dàini;
di là, per pieghi spediti al palazzo di Hampton,
400
noi udiamo che il principe cavalca co’ suoi signori
verso Oxford, per quella accademia,
a udire la dispute di quei dotti uomini.
Ma noi spediremo lettere a mio figlio,
perchè venga da Oxford alla corte.

Imperatore.
405
No, piuttosto, Arrigo, facci, come siamo,
cavalcare a visitare Oxford col nostro seguito.
Mi piacerebbe vedere le vostre università,
e quali dotti uomini la vostra accademia produce.
Io ho condotto da Asburgo un dotto chierico,
410
per sostener la disputa con gli oratori inglesi:
questo dottore, nominato Jaques Vandermast,
nato in Germania, passò a Padova,
a Firenze a nella bella Bologna,
a Parigi, a Reims a nella maestosa Orleans;
415
e, parlando quivi con uomini dell’arte, vinse
i più valenti di loro tutti in aforismi,
in magia, e nelle regole matematiche.
Ora, Arrigo, proviamolo nelle vostre scuole.

Re Arrigo.
Così faremo, mio signore; questa proposta mi piace molto.
420
Noi viaggeremo subito per Oxford coi nostri sèguiti,
e vedremo quali uomini dà la nostra accademia.
E, maraviglioso Vandermast, sii il benvenuto presso di me:
in Oxford tu troverai un giocondo frate,
chiamato Fra Bacone, unico fiore d’Inghilterra:
425
confondilo ne’ suoi incanti magici,
e fa ch’ egli la ceda a te nelle regole matematiche,
e per la tua gloria, io legherò le tue tempie,
non con una ghirlanda da poeta fatta d’alloro,
ma con una coroncina dell’oro più fino.
430
Prima però di partire per Oxford con le nostre brigate,
entriamo e banchettiamo nella nostra corte inglese.

Exit.

[SCENA V.]

[Una via in Oxford.]
Entra Ralph Simnel nei panni di Eduardo; e il Principe Eduardo, Warren ed Ermsby, travesti.

Ralph.
Dove son questi servi vagabondi, che non attendon meglio al loro padrone?

Principe Eduardo.
Se piace a vostro onore, noi siam tutti pronti in un momento.

Ralph.
Messer Ned, io non vo’ più aver cavalli da posta per cavalcare: userò un altro artifizio.

Ermsby.
435
Vi prego, e quale, mio signore?

Ralph.
Perdio, signore, io manderò all’ isola d’Ely per quattro o cinque dozzine d’oche, e le attaccherò a sei a sei con cordicella da fruste: poi sulle loro spalle io avrò un bel letto da campo con un baldacchino; e così, quando m’è in piacere, volerò in qual luogo mi piaccia. Questo sarà facile.

Warren.
Vostro onore ha detto bene; ma andiamo al collegio del Nasodibronzo prima di cavarci gli stivali?

Ermsby.
Warren, ben proposto! noi andremo dal frate
prima di far baldoria in città. —
440
Ralph, vedete di tenere un contengo da principe.

Ralph.
Perchè ho io una tal compagnia di bravi al mio servizio, se non per mantenere e difendere il mio contengo, contro tutti i miei nemici? Non avete voi buona spada e scudi?

Ermsby.
Aspetta, chi vien qua?

Warren.
Qualche scolare, e noi gli chiederemo dov’è Fra Bacone.

Entrano Fra Bacone e Miles.

Bacone.
Ebbene, balordo matricolato, io non farò mai di te un buono scolare? non proclama e dice tutta la città che pensionario di Fra Bacone è più grande testa di legno di tutta Oxford? infatti tu non sai parlare una sola parola di vero latino.

Miles.
445
No, signore? pure, che altro è questo? Ego sum tuus homo, ‘Io sono il tuo uomo’; vi garantisco, signore, ch’è una frase tulliana buona come nessun’altra in Oxford.

Bacone.
Vien qua, messere; che parte del discorso è Ego?

Miles.
Ego, cioè ‘io’; perdio nomen substantivo.

Bacone.
Come lo dimostrare?

Miles.
Ma lasciate che si dimostri da sè, se vuole; ‘io’ posso essere udito, sentito, compreso.

Bacone.
450
O gran balordo!

Qui lo batte.

Principe Eduardo.
Venite, interrompiamo questa disputa tra questi due. Giovine, dov’è il Collegio del Nasodibronzo?

Miles.
Non lontano dall’Aula dei Fabbridelrame.

Principe Eduardo.
Che, ti fai beffe di me?

Miles.
Non io, signore: ma che volete voi al Nasodibronzo?

Ermsby.
455
Perdio, vorremmo parlare con Fra Bacone.

Miles.
Di chi siete gli uomini voi?

Ermsby.
Perdio, scolare, questi è il nostro padrone.

Ralph.
Messere, io sono il padrone di questa buona gente; non puoi tu conoscere ch’io sono il padrone dal mio abbigliamento?

Miles.
Allora qui c’è buona caccia per il falcone; perchè c’è un padron buffone e una covata di creste di gallo; un sol uomo savio, io penso, vi farebbe saltar su tutti.

Principe Eduardo.
460
Piaghe di Dio! Warren, ammazzalo!

Warren.
Ma, Ned, io penso che il diavolo sia nella guaina; io non posso tirar fuori il mio pugnale.

Ermsby.
Nè io il mio; piaghe di Dio, Ned, io credo d’esser stregato.

Miles.
Una brigata di rognosi! il più prode di voi sguaini la sua arma se può. — [A parte] Vedete con che baldanza parlo, ora che il mio padrone è vicino!

Principe Eduardo.
465
Invano io mi sforzo; ma se la mia spada è chiusa e fissa nella guaina per scongiuri di magia, furfante, questo è il mio pugno.

Colpisce Miles con un pugno sull’orecchio.

Miles.
O, io vi supplico d’incantargli anche le mani, ch’egli non passa alzar le braccia al capo, perch’egli è leggero di dita!

Ralph.
Ned, battilo; io ti guarantisco sul mio onore.

Bacone.
Perchè vuole il principe inglese far torto al mio uomo?

Principe Eduardo.
A chi parli tu?

Bacone.
470
A te.

Principe Eduardo.
Chi sei tu?

Bacone.
Non potevate voi giudicare, quando tutte le vostre spade stettero fisse,
che Fra Bacone non era lontano di qui?
Eduardo, figlio di Re Arrigo, Principe di Galles,
475
il tuo buffone travestito non riesce a nasconderti:
io conosco anche Ermsby e il Conte di Sussex:
altrimenti Fra Bacone non avrebbe che poca perspicacia.
Tu giungi in gran fretta dall’allegra Fressingfield,
forte invaghito della leggiadra figliuola del guardiano,
480
per implorar qualche soccorso dal giocondo frate:
e Lacy, conte di Lincoln, tu l’hai lasciato
per pregare la bella Margherita di cedere al tuo amore;
ma gli amici son uomini, e l’amore delude anche i signori;
il conte la sèguita e corteggia per se stesso.

Warren.
485
Ned, questo è singolare; il frate sa tutto.

Ermsby.
Apollo non potrebbe palesar più di questo.

Principe Eduardo.
Io resto stupefatto in udire questo giocondo frate
dir anche i più segreti de’ miei pensieri. —
Ma, dotto Bacone, poichè tu sai la causa
490
perchè io venni così in fretta da Fressingfield,
aiutami, frate, in questo frangente, ch’io possa avere
per me l’amore dell’amabile Margherita;
e, com’io sono il vero Principe di Galles, io darò
benefizî e terre per accrescer il patrimonio del tuo collegio.

Warren.
495
Buon frate, aiuta il principe in questo.

Ralph.
Ebbene, servo Ned, non vuole il frate far ciò? Se la mia spada non fosse incollata nel fodero per forza d’incanti, io gli taglieri la testa, e glielo farei fare per forza.

Miles.
In fede, mio signore, il vostro coraggio e la vostra spada sono nelle stesse condizioni; son incantati così saldi che mai non li vedremo.

Ermsby.
Che, dottore, di malumore? orsù, aiuta il principe,
e tu vedrai com’egli si mostrerà liberale.

Bacone.
500
Non chiedono tali azioni più gravi unori di questi?
Io sforzerò, mio signore, i miei incanti magici;
perchè oggi si reca il conte a Fressingfield,
e prima che la notte chiuda il giorno nell’oscurità,
essi saran subito fidanzati l’uno all’altra.
505
Ma vieni con me; andremo subito nel mio studio,
e in uno specchio prospettivo io mostrerò
che cosa si fa oggi a Fressingfield.

Principe Eduardo.
Gran mercè, Bacone; io compenserò il tuo travaglio.

Bacone.
Ma mandate il vostro seguito, mio signore, in città;
510
il mio scolare li accompagnerà alla loro locanda;
intanto noi vedremo la furfanteria del conte.

Principe Eduardo.
Warren, lasciami: — e, Ermsby, conduci via il buffone;
lasciato fare il padrone, e andate a far baldoria,
mentre io e Fra Bacone discorriamo un poco.

Warren.
515
Così faremo, mio signore.

Ralph.
Affè, Ned, ch’io la farò da signore finchè tu vieni:
io sarò Principe di Galles su tutti i boccali di Oxford.

Exeunt.

[SCENA VI.]

[La cella di Fra Bacone.]
Fra Bacone e il Principe Eduardo entrano nello studio.

Bacone.
Ora, gaio Eduardo, ben venuto alla mia cella!
qui tempra Fra Bacone di molte bagatelle,
520
e tien questo luogo per sua corte concistoriale,
dove i diavoli fanno omaggio alle sue parole.
Entro questo specchio prospettivo tu vedrai
quel che si fa oggi nell’allegra Fressingfield
tra l’amabile Peggy e il conte di Lincoln.

Principe Eduardo.
525
Frate, tu mi rendi felice: ora Eduardo proverà
come Lacy è disposto verso il suo sovrano signore.

Bacone.
Poniti là, e guarda diritto nello specchio.
Entrano Margherita e Fra Bacone.
Che cosa vede il mio signore?

Principe Eduardo.
Io vedo apparire l’amabile figliuola del guardiano,
530
splendete come l’amante di Marte,
solo accompagnata da un giocondo frate.

Bacone.
State tranquillo, e tenete il cristallo nell’occhio.

Margherita.
Ma dimmi, Fra Bungay, è egli vero
che questo bel cortese contadino,
535
che dice che suo padre è un fittavolo qui vicino,
sia Lord Lacy, conte della Contea di Lincoln?

Bungay.
Peggy, è vero, è Lacy, per la mia vita,
o altrimenti la mia arte e la mia sagacia insieme falliscono,
lasciato dal Principe Eduardo per far da mezzano al suo amore;
540
poichè quel tale in verde, che v’aiutò a fare il vostro cacio,
è figliuoli d’Arrigo, e Principe di Galles.

Margherita.
Sia chi si vuole, egli non mi desidera che per lussuria;
ma se a Lord Lacy piacesse la povera Margherita,
o s’egli si degnasse sposare una ragazza di campagna,
545
frate, io sarei la sua umile ancella,
e della sua grande ricchezza lo ripagherei in cortesia.

Bungay.
Perchè, Margherita, tu lo ami?

Margherita.
La sua figura, come il vanto della superba Troia,
ben sarebbe sufficiente a scusare la fuga d’Elena:
550
il suo spirito è vivace e pronto di fantasia,
come ne produceva la Grecia nel suo miglior fiore:
cortese, ah frate! pieno di piacevoli sorrisi!
Credimi, io amo troppo per dir altro;
basta a me ch’egli è l’amore d’Inghilterra.

Bungay.
555
Non t’ha ogni occhio che abbia visto il tuo piacevole viso,
soprannominata la Bella Fanciulla di Fressigfield?

Margherita.
Sì, Bungay, e volesse Iddio che l’amabile conte
avesse in essa quel che tanti han cercato.

Bungay.
No temere, il frate corteggi la leggiadra ragazza:
560
Bacone, mi par ch’ei si un villan lussurioso.

Bacone.
Ora guarda, mio signore.

Entra Lacy travestito come prima.

Principe Eduardo.
Per le piaghe di Dio, Bacone, ecco Lacy!

Bacone.
Sta tranquillo, mio signore, e osserva la commedia.

Bungay.
Ecco Lacy, Margherita; mettiti un po’ da una parte.

Essi si ritirano.

Lacy.
565
Dafne, la donzella che prese stretto Febo,
e lo serrò nello splendore de’ suoi sguardi,
non era tanto bella agli occhi d’Apollo,
quant’è la vaga Margherita per il conte il Lincoln.
Disdiciti, Lacy, la tua fede è posta alla prova:
570
Eduardo, il figlio del tuo sovrano, ha scelto te,
suo amico intimo, perchè tu le facessi la corte per lui,
ed osi tu far torto al tuo principe con un tradimento?
Lacy, l’amore non fa eccezione per un amico,
nè fa conto d’un principe se non come d’un uomo.
575
L’onore t’impone di frenarlo nella sua lussuria;
egli non corteggia la ragazza per farla sua sposa,
ma per trappolarla e ingannarla.
Lacy, tu ami, dunque non tollerare questo sopruso,
ma sposala, e sopporta la collera del tuo principe;
580
perch’è meglio morire che veder lei vivere nella sventura.

Margherita.
Vieni, frate, io voglio scuoterlo dalle sue malinconie.
Viene innanzi.
Come vi sentite, signore? Un penni per i vostri pensieri!
voi siete levato preso, prego Dio ch’essi siano i più lieti.
Che, venuto da Beccles così mattutino?

Lacy.
585
Così vigilanti sono gli uomini che vivono in amore,
i cui occhi soffrono pel loro sonno rotti assopimenti.
Io ti dico, Peggy, che dall’ultima fiera di Harlston
il mio animo ha provato un cumulo di passioni.

Margherita.
Un uomo di fede, che fate la corte pel vostro amico!
590
Mi vagheggiate ancora per quel cortegiano tutto in verde? —
Io mi meraviglio ch’egli non agisca per se stesso.

Lacy.
Peggy, io prima supplicai per ottenere la vostra grazia per lui;
ma quando i miei occhi mirarono i vostri belli sguardi,
Amore, quasi per beffa, subito si tuffò nel mio cuore,
595
e quivi pose come in un santuario l’Idea di voi.
Abbi pietà di me, benchè io non sia che il figlio d’un fittaiuolo,
e considera non le mie ricchezze ma il mio amore.

Margherita.
Voi andate assai di fretta; per coltivare bene,
i semi hanno a aver tempo di germogliare prima di spuntare:
600
l’amore dovrebbe strisciar come l’ombra dello gnomone,
perchè ciò che matura innanzi tempo marcisce prestissimo.

Bungay.
[venendo innanzi]
Deus hic; fate luogo a un allegro frate!
Che, giovinotto di Beccles, con la figliuola del guardiano?
Bene sta; ma dimmi, sai tu la novella?

Lacy.
605
No, frate: che novella?

Bungay.
Non hai udito come i banditori s’affrettano
con le loro proclamazioni per tutti i borghi?

Lacy.
Per che cosa, frate gentile? di’ la novella?

Bungay.
Tu abiti in Beccles, e non hai udito questa novella?
610
Lacy, il conte di Lincoln, è ultimamente fuggito
dalla corte di Windsor, travestito da villano,
e si nasconde qui per la campagna sconosciuto.
Arrigo lo sospetta di qualche tradimento,
e perciò proclama in ogni modo
615
che chi prenderà il conte di Lincoln avrà,
pagate nello Scacchiere, ventimila corone.

Lacy.
Il conte di Lincoln! frate, tu sei matto:
sarà qualcun altro; tu sbagli di persona.
Il conte di Lincoln! Ebbene, non può essere.

Margherita.
620
Sì, benissimo, mio signore, perchè voi siete lui:
la figlia del Guardiano v’ha fatto prigioniero.
Lord Lacy, arrendetevi, io sarò il vostro carceriere questa volta.

Principe Eduardo.
Come son familiari, Bacone!

Bacone.
Sta tranquillo, e osserva il seguito dei loro amori.

Lacy.
625
Allora io son tuo prigioniero doppiamente:
Peggy, m’arrendo. Ma queste novelle sono uno scherzo?

Margherita.
Uno scherzo per voi, ma serie per me;
perchè questi torti mi straziano il cuore.
Ah, come questi conti e nobiluomini di nascita
630
lusingano e fingono per procurare il danno delle povere donne!

Lacy.
Credimi, figliuola, io sono il conte di Lincoln:
io non lo nego, ma così abbigliato di stracci,
io viveva travestito per guadagnar l’amore di Peggy.

Margherita.
Che amore c’è quando il matrimonio non n’è la fine?

Lacy.
635
Io intendeva, bella fanciulla, farti moglie di Lacy.

Margherita.
Io credo poco che un conte voglia abbassarsi tanto.

Lacy.
Di’, vuoi che ti faccia contessa prima ch’io dorma?

Margherita.
Ancella del conte, se così a lui piace:
moglie per nome, ma serva per obbedienza.

Lacy.
640
Contessa di Lincoln, perchè così sarà:
io te ne fo promessa e per suggello ti dò un bacio.

Principe Eduardo.
Per le piaghe di Dio, Bacone, si baciano! Io li truciderò!

Bacone.
O, giù le mani, mio signore, è lo specchio!

Principe Eduardo.
La collera nel vedere i traditori così ben accordati
645
mi fa prendere l’ombre per sostanze.

Bacone.
Ci vorrebbe un lungo pugnale, mio signore, per giungere
da Oxford a Fressingfield! ma sta tranquillo, e vedi dell’altro.

Bungay.
Bene, conte di Lincoln, se i vostri amori sono annodati,
e insieme le vostre lingue e i vostri pensieri s’accordano,
650
per evitare i contrasti di poi, io stringerò il matrimonio.
Io prenderò il mio breviario e vi piace?

Lacy.
Frate, sta bene. — Peggy, come vi piace?

Margherita.
Ciò che aggrada al mio signore a me piace.

Bungay.
Allora datevi la mano, e io vo’ pel mio libro.

Bacone.
655
Che cosa vede ora il mio signore?

Principe Eduardo.
Bacone, io vedo che gli amanti si dan la mano,
e il frate è pronto là col suo breviario
per sposarli: dunque io son spacciato.
Bacone, aiutami ora, se mai la tua magia giovò;
660
aiuta, Bacone; arresta ora il matrimonio,
se i diavoli o la negromanzia possono bastare,
ed io ti darò quarantamila corone.

Bacone.
Non temer, mio signore, io impedirò al giocondo frate
di biasciar tutte le sue orazioni oggi.

Lacy.
665
Perchè non parli, Bungay? Frate, va pel tuo libro.

Bungay è muto, e grida ‘Hud, Hud’.

Margherita.
Come sembri, frate, un uomo sconvolto?
Privo dei tuoi sensi, Bungay? mostra per segni,
se tu sei muto, quali passioni ti turbano.

Lacy.
Egli è muto, davvero. Bacone l’ha co’ suoi diavoli
670
Incanto, o altimetri qualche strana malattia
o l’apoplessia gli occupa i polmoni:
ma, Peggy, s’egli non può col suo libro,
noi tra noi due faremo quest’unione nel cuore.

Margherita.
Altimetri, mio signore, fammi morire come una miscredente.

Principe Eduardo.
675
Perchè Fra Bungay sta così sbalordito?

Bacone.
Io l’ho reso muto, mio signore; e, se a vostro onore piace,
io porterò questo Bungay subito via da Fressingfield,
ed egli pranzerà con noi qui in Oxford.

Principe Eduardo.
Bacone, fa questo, e tu mi fai contento.

Lacy.
680
Per cortesia, Margherita, conduciamo il frate
alla capanna di tuo padre, per confortarlo
con un po’ di brodo, e cavarlo di questo disgraziato rapimento.

Margherita.
O altrimenti, mio signore, noi saremmo estremamente ingenerosi,
abbandonando così il frate nella sua sventura.
Entra un Diavolo e porta via Bungay in groppa.
685
O aiuto, mio signore! un diavolo, un diavolo, mio signore!
Guardate come egli si porta Bungay in groppa!
Andiamo via di qui, perchè gli spiriti di Bacone son fuori.

Exit con Lacy.

Principe Eduardo.
Bacone, io rido vedendo il giocondo frate
montato sul diavolo, e come il conte
690
fugge con la sua leggiadra ragazza per paura.
Non appena Bungay sarà al Nasodibronzo,
ed io avrò chiacchierato con l’allegro frate,
io in gran fretta mi recherò a Fressingfield,
e ripagherò Lacy di questi torti in breve ora.

Bacone.
695
Così sia, mio signore: ma andiamo pel nostro pranzo;
perchè prima che noi abbiam preso per un po’ il nostro pasto,
noi avremo Bungay portato al Nasodibronzo.

Exeunt.

[SCENA VII.]

[La casa dei Reggenti in Oxford.]
Entrano Burden, Mason e Clemente.

Mason.
Ora che noi siamo raccolti nella casa dei Reggenti,
ci conviene parlare della venuta del re;
700
perchè egli, seguito da tutti i re;
che stan lungo i mari di Danzica verso oriente,
a settentrione del clima della ghiacciata Germania,
il monarca Alemanno e il duca Sassone,
Castiglia e con lui l’amabile Eleonora,
705
hanno risoluto per loro diporto di venire nella città di Oxford.

Burden.
Noi dobbiamo preparare intrecci di solenni tragedie,
e singolari spettacoli comici, quali il superbo Roscio
ostentava innanzi agli imperatori Romani,
per accogliere tutti i sovrani occidentali.

Clemente.
710
Ma più; il re ha per lettere preannunziato
che Federigo, l’imperatore Alemanno,
ha condotto con sè un tedesco di fama,
il cui nome è Don Jaques Vandermast,
sapiente nella magia e nelle arti segrete.

Mason.
715
Allora noi tutti dobbiamo far istanza al frate,
a Fra Bacone, ch’egli assuma questo còmpito,
e s’impegni a tener testa con la sua sapienza
al tedesco; altrimenti non v’è alcuno in Oxford che possa
stare a fronte a disputare col dotto Vandemast.

Burden.
720
Bacone, se si misurerà col tedesco,
gli insegnerà che cosa un frate inglese può fare:
il diavolo, io penso, non osa disputare con lui.

Clemente.
Veramente, Maestro dottore, egli vi spiacque
in ciò che portò la vostra ostessa con la sua spalla,
725
da Henley, diritto al Nasodibronzo.

Burden.
Vendetta sul frate per suo castigo!
Ma lasciando star questo, corriamo subito da Bacone,
per vedere s’egli vuol prendere nelle sue mani questo còmpito.

Clemente.
Aspetta, che rumore è questo? La città è in rivolta: che tumulto è questo?

Entra un Connestabile, con Ralph Simnel, Warren, Ermsby, tutti e tre travesti come prima, e Miles.

Connestabile.
730
No, signori, per buoni che voi siate, voi andrete innanzi ai dottori per rispondere del vostro mal portamento.

Burden.
Di che si tratta, amico?

Connestabile.
Perdio, signore, quest’è una brigata di malandrini, che, bevendo alla taverna, han fatto una gran rissa e quasi ammazzato il vinattiere.

Miles.
Salve, Dottor Burden!
Questo villan poltrone,
735
brutto di forma e di faccia,
disprezzato e disgraziato,
ciò ch’egli dice vobis
mentitur de nobis.

Burden.
Chi è il padrone e capo di questa ciurma?

Miles.
740
Ecce asinum mundi
figura rotundi,
netto, lindo e bello,
vivace come una tazza di vino.

Burden.
Chi siete voi?

Ralph.
745
Io son, padre dottore, come si direbbe, il montone del campano, di questa brigata; questi sono i miei baroni, ed io il Principe di Galles.

Clemente.
Siete voi Eduardo, il figlio del re?

Ralph.
Messer Miles, porta qua il garzone che spillò il vino, e, garantisco, quando vedono come gagliardamente io gli ho rotta la testa, essi diranno che non è azione da minor uomo che un principe.

Mason.
Io non posso credere che questo sia il Principe di Galles.

Warren.
E perché, signore?

Mason.
750
Perchè dicono che il principe sia un valoroso e saggio gentiluomo.

Warren.
Ebbene, e pensi tu, dottore, ch’egli non sia tale?
Osi tu calunniarlo e diminuirlo,
mentr’egli è un così amabile e valoroso giovine?

Ermsby.
E la sua faccia, splendente di molti zuccherati sorrisi,
755
svela ch’egli è generato di razza principesca.

Miles.
E ancora, maestro dottore,
per parlare come un procuratore,
e per dire a voi
quel che è vero e sincero;
760
per por fine a questa lite,
soltanto guarda il suo abbigliamento;
poi poni mente ai miei detti,
egli è il grande Principe di Galles,
il capo del nostro gregis,
765
e filius regis;
poi bada a quel che fai,
perchè egli è il diletto figlio d’Arrigo.

Ralph.
Dottori, i cui barbogi berretti da notte non son capaci di comprendere la mia nobile dignità, sappiate che io sono Eduardo Plantageneto, al quale se voi spiacete, egli farà un vascello che conterrà tutti i vostri collegi, e così porterà via la niniversità con un buon vento alla Banchina di Southwark. — Che ne dici tu, Ned Warren, non farò questo?

Warren.
Sì, mio buon signore; e, se piace a vostra signoria, io raccoglierò tutte le vostre vecchie pantofole, e col sughero farò una goletta di cinquecento tonnellate, che farà all’uopo maravigliosamente bene, mio signore.

Ermsby.
770
Ed io, mio signore, avrò pionieri per por le mine sotto alla città, che anche i giardini e gli orti sian portati via per le vostre passeggiate estive.

Miles.
Ed io, con scientia
e gran diligentia,
farò scongiuri e fascini,
per guardarvi dal male;
775
che utrum horum mavis,
la vostra grandissima navis,
come il vascello di Bartlet,
salti da Oxford
con collegi e scuole,
780
carico zeppo di matti.
Quid dicis ad hoc,
rispettabile Domine Cornacchione?

Clemente.
Ebbene, cortegiani dal cervello di lepre, siete voi ubbriachi o pazzi,
per farvi beffe di noi così villanamente?
785
Ci stimate voi uomini vili e di poco conto
per portarci un tal cialtrone come figlio d’Arrigo?
Chiamate i bidelli e portate costoro da qui
subito a Bocardo: lasciate questi scapestrati
bene stretti in catena, finchè i loro spiriti sian domati.

Ermsby.
790
Ebbene, andremo in prigione, mio signore?

Ralph.
Che dici, Miles, onorerò io la prigione della mia presenza?

Miles.
No, no: fuori le vostre lame,
e ricacciate queste rozze;
fate uno sberleffo e uno sconquasso,
795
poi irrompete gioiosamente
e insegnate a questi Sacerdos
che i Bocardi,
come per bifolchi e streghe,
son fatti per loro.

Mason.
800
Alla prigione con loro, connestabile.

Warren.
Bene, dottori, poichè io mi son divertito
ridendo di questi pazzi e allegri burloni,
sappiate che il principe Eduardo è al Nasodibronzo,
e che costui vestito come il Principe di Galles,
805
è Ralph, il buffone prediletto di Re Arrigo;
io, il Conte di Sassex, e questi Ermsby,
uno dei ciambellani del re;
i quali, mentre il principe sta con Fra Bacone,
abbiam fatto baldoria in Oxford come voi vedete.

Mason.
810
Mio signore, perdonateci, non sapevamo chi voi foste:
ma a cortegiani son lecite più grosse scappate di queste.
Gradirà vostro onore di pranzare con me quest’oggi?

Warren.
Sì, maestro dottore, e soddisferò il vinattiere per la sua ferita; solo io debbo pregarvi di considerar lui come Principe di Galles per tutta questa mattina.

Mason.
Così, farò signore.

Ralph.
815
E pertanto io vivrò primo; solo voglio che Miles vada prima di me, perchè io ho udito dire da Arrigo che la saggezza deve andar innanzi alla maestà.

Exeunt omnes.

[SCENA VIII.]

[Fressingfield.]
Entrano il Principe Eduardo col suo pugnale in mano. Lacy e Margherita.

Principe Eduardo.
Lacy, tu non puoi nascondere i tuoi pensieri di tradimento,
nè coprire, come fece Cassio, tutte le tue perfidie;
perchè Eduardo ha un occhio che guarda lontano,
come Linceo dalla spiaggia della Grecia.
820
Non stavo io in Oxford presso il frate,
e vedevo che tu corteggiavi la fanciulla di Fressingfield,
suggellando le tue lusinghiere fantasie con un bacio?
Non tirò fuori il bravo Bungay il suo breviario,
e congiungendo le vostre mani vi avrebbe sposati,
825
se Fra Bacone non l’avesse ammutolito,
e fatto montar sul dorso d’uno spirito,
che noi potessimo chiacchierare in Oxford col frate?
Traditore, non rispondi? non è vero tutto questo?

Lacy.
Tutta verità, mio signore; e così io dò riposta.
830
Alla fiera di Harlston, facendo la corte per vostra grazia,
quando il mio occhio contemplò la sua squisita forma,
e trasse la magnifica gloria de’ suoi sguardi
a penetrare nel centro del mio cuore,
Amore m’insegnò che vostro onore solamente scherzava,
835
che i principi han capricci come gli altri uomini;
e come l’amabile fanciulla di Fressingfield
era più adatta per esser la moglie sposata di Lacy,
che la concubina del principe di Galles.

Principe Eduardo.
Insolente Lacy, non t’amavo io più
840
che Alessandro il suo Efestione?
Non ho io svelate le passioni del mio amore,
e serratele nel gabinetto de’ tuoi pensieri?
Non eri tu per Eduardo il secondo dopo di lui,
unico amico, e compagno de’ suoi segreti amori?
845
E potè un baleno di fuggitiva bellezza rompere
i ferri e le catene di così intimi amici?
Vile cordato, falso e troppo effemminato
per essere a parte de’ pensieri d’un principe!
Da Oxford son io accorso appena ebbi pranzato,
850
per ripagare un traditore prima che Eduardo dorma.

Margherita.
Fui io, mio signore, non Lacy fece mal passo:
perchè spesso egli mi seguì e corteggiò per voi,
e sempre pregava per il cortegiano tutto in verde;
ma io, cui Amore fece troppo appassionata,
855
mi mostrai con sguardi innamorati;
io cibava il mio occhio mirando la sua faccia,
e giunsi a stregare l’amato Lacy co’ miei sguardi:
il mio cuore con sospiri, i miei occhi si dichiaravan con lagrime,
la mia faccia mostrava insieme dolore e contentezza,
860
e più non poteva io dare a divedere per segni,
se non che io amava Lord Lacy col mio cuore.
Dunque, valoroso Eduardo, considera nella tua mente,
se le grazie delle donne non costringon gli uomini a cadere,
se la bellezza, se i dardi d’un pungete amore,
865
non son di fora da seppellire i pensieri dell’amicizia.

Principe Eduardo.
Io ti dico, Peggy, io avrò il tuo amore:
Eduardo o nessuno conquisterà Margherita.
Su fregate carenate con ricche tavole di Sethin,
armate coi sublimi abeti del Libano,
870
con le prore e le coverte di avorio brunito,
e incastrate di lamine d’oro di Persia,
come Teti tu folleggerai sopra l’onde,
e trarrai i delfini co’ tuoi amabili occhi
a ballare la volta nelle correnti porporine;
875
la Sirene con arpe e salterî d’argento,
faran musica intorno alla poppa della tua fregata,
e diletteranno la bella Margherita co’ loro lai.
L’Inghilterra e la ricchezza d’Inghilterra saranno al tuo servizio,
la Britannia s’inchinerà all’amore del suo principe,
880
e farà il dovuto omaggio alla tua eccellenza,
se tu sarai soltanto la Margherita d’Eduardo.

Margherita.
Perdono, mio signore: se la grande maestà do Giove
mi mandasse tali presenti quali mandò a Danae;
se Febo, rivestito delle tele di Latona,
885
venisse a corteggiarmi dalla sua splendida dimora;
i soavi toni del gaio Mercurio,
nè tutte le ricchezze che il tesoro del cielo fornisce,
non mi farebbero abbandonare Lord Lacy o il suo amore.

Principe Eduardo.
Io ho imparato ad Oxford, allora, questo punto delle scuole, —
890
Ablata causa, tollitur effectus:
Lacy, la causa per cui Margherita non può amare,
nè porre il suo affetto sul principe Inglese,
toglilo di mezzo, e poi gli effetti cadranno.
Villano, preparati; perch’io bagnerò
895
il mio pugnale nel cuore d’un conte.

Lacy.
Piuttosto ch’io viva, e perda l’amore della bella Margherita,
Principe Eduardo, non t’arrestare nella fatale sentenza,
ma ferisci nel segno: finisci insieme il mio amore e la mia vita.

Margherita.
Valoroso Principe di Galles, onorato per gesta reali,
900
sarebbe peccato macchiare di sangue le corti della bella Venere;
le vittorie d’Amore finiscono, mio signore, in cortesia;
risparmia Lacy, nobile Eduardo; fa morir me,
perchè così insieme voi e lui ponete termine ai vostri amori.

Principe Eduardo.
Lacy morirà come traditore del suo signore.

Lacy.
905
Io l’ho meritato, Eduardo; eseguisci la sentenza.

Margherita.
Che spera il principe di guadagnare dalla morte di Lacy?

Principe Eduardo.
Di por fine agli amori di lui e Margherita.

Margherita.
Ebbene, crede il figlio di re Arrigo che l’amore di Margherita
penda sull’incerta bilancia del tempo superbo?
910
Che la morte farà discordare i nostri pensieri?
No, colpisci il conte, e prima che il sol mattutino
s’estolla tre volte sull’eccelso oriente,
Margherita s’unirà al suo Lacy nei cieli.

Lacy.
Se nulla accada all’amabile Margherita,
915
che noccia o strappi la felicità al suo onore,
nè le grandi ricchezze la felicità al suo onore,
nè le grandi ricchezze d’Europa, nè la monarchia d’Inghilterra
non alletterebbero Lacy a sopravvivere.
Dunque, Eduado, accorcia la mia vita e finisci il suo amore.

Margherita.
920
Liberati di me, e conserva un amore, che vale molti amori.

Lacy.
No, Eduardo, conserva un amore, che vale molti amici.

Margherita.
Se il tuo animo è quale la fama divulga,
allora nobile Eduardo, fa che insieme noi soffriamo
la fatale risoluzione della tua rabbia:
925
bandisci l’amore, e abbraccia la vendetta,
e in una sola tomba riunisci i nostri cadaveri,
i cui cuori eran avvinti in un solo perfetto amore.

Principe Eduardo.
[a parte]
Sei tu quel famoso Principe di Galles,
che a Damasco battè i Saraceni,
930
e portasi in patria il trionfo sulla punta della tua lancia?
e saran le tue penne abbattute da Venere?
È egli da principe scindere le leghe degli amanti,
dividere tali amici che si glorian de’ loro amori?
Lascia, Ned, e fa di questa colpa una virtù,
935
e favorisci Peg e Lacy nei loro amori:
così nel sottomettere la passione d’amore,
vincendo te stesso, tu porti la più opima spoglia. —
Lacy, levati. Bella Peggy, eccoti la mia mano:
il Principe di Galles ha vinto tutti i suoi pensieri,
940
e tutto il suo amore egli rinuncia al conte.
Lacy, godi la fanciulla di Fressingfield,
fa di lei in chiesa la tua Contessa di Lincoln,
e Ned, com’egli è un vero Plantageneto,
la darà a te liberamente per tua moglie.

Lacy.
945
Umilmente io la ricevo dal mio sovrano,
come se Eduardo mi desse la signoria d’Inghilterra,
e mi facesse ricco del diadema d’Albione.

Margherita.
E il principe Inglese dice il vero?
Si degnerà egli di por fine al suo antico amore,
950
e cederà i suoi diritti, su una fanciulla campagnuola
a Lord Lacy?

Principe Eduardo.
Sì, bella Peggy, com’io son vero signore.

Margherita.
Allora, magnifico signore, la cui vittoria è così grande,
in vincere amore, come i trionfi di Cesare,
955
Margherita, così mansueta ed umile ne’ suoi pensieri
come fu Aspasia verso Ciro,
porge le sue grazie, e, presso Lord Lacy, consacra
a Eduardo il secondo posto dentro il suo cuore.

Principe Eduardo.
Gran mercè, Peggy: — ora che le promesse sono state scambiate,
960
e che i vostri amori non saran più rovesciati,
dunque, Lacy, amici di nuovo. Vieni, noi partiremo subito
per Oxford: perchè oggi il re è colà,
e conduce per Eduardo Eleonora di Castiglia.
Peggy, io debbo andare a veder mia moglie:
965
prego Dio ch’ella mi piaccia quanto io amava te.
Inoltre, Lord Lincoln, noi vedremo disputare
Fra Bacone e il dotto Vandermast.
Peggy, noi ti lasceremo per una o due settimane.

Margherita.
Come piace a Lord Lacy: ma i folli sguardi d’amore
970
stimano i passi miglia ed i minuti ore.

Lacy.
Io mi affetterò, Peggy, per far ritorno in breve. —
Ma piaccia a vostro onore entrare nella capanna,
avremo burro, cacio e selvaggina;
ed ieri io portai per Margherita
975
una generosa bottiglia di puro claretto:
così possiam noi festeggiare e accogliere vostra grazia.

Principe Eduardo.
È un trattamento, Lord Lacy, per un imperatore,
se egli considera la persona e il luogo.
Vieni, entriamo perchè tutta questa notte
980
io cavalcherò di fretta per giungere alla cella di Bacone.

Exeunt.

[SCENA IX.]

[Oxford.]
Entrano Re Arrigo, l’Imperatore, il Re di Castiglia, Eleonora, Vandermast e Bungay.

Imperatore.
Credimi, Plantageneto, queste scuole di Oxford
son superbamente assise sulla riva del fiume:
i monti pieni di grassi e falbi dàini,
le pingui pasture cariche di mandre e di greggi,
985
la città magnifica per gli alti edifici dei collegi,
e scolari decorosi nel loro grave abbigliamento,
dotti nella ricerca dei principî delle arti. —
Qual’è il tuo giudizio, Jaques Vandermast?

Vandermast.
Che signori sono gli edifici della città,
990
spaziosi i luoghi, e pieni di piacevoli passeggi;
ma quanto ai dottori, ch’essi siano sapienti,
mediocremente può essere, per quel ch’io odo.

Bungay.
Io ti dico, Tedesco, che Asburgo non n’ha alcuno
così profondamente dotto come quelli di Oxford;
995
vi sono nel nostro stato accademico
uomini che potrebbero dar lezioni in Germania
a tutti i dottori delle vostre scuole Belgiche.

Re Arrigo.
Tiengli testa, Bungay, incanta questo Vandermast,
ed io ti tratterò com’un re di corona.

Vandermast.
1000
Su che osi tu disputare con me?

Bungay.
Su quel che un dottore e un frate può.

Vandermast.
Innanzi ai grandi della ricca Europa, propini tu
il dubitoso problema a Vandermast.

Bungay.
E sia questo, — Se nella magìa sian predominanti
1005
gli spiriti della piromanzia o quelli della geomanzia.

Vandermast.
Io dico della piromanzia.

Bungay.
Ed io, della geomanzia.

Vandermast.
I cabalisti che scrivono degli incanti magici,
come Ermete, Malco e Pitagora,
1010
affermano che, tra la quadruplicità
dell’essenza elementare, la terra è semplicemente considerata
come un punctum al paragone del rimanente;
e che le dimensioni degli elementi ascendenti
eccedono in grandezza come in altezza;
1015
giudicando che il concavo circolo del sole
contenga il resto nella sua circonferenza.
Se, dunque, come Ermete dice, il fuoco è grandissimo,
purissimo, e solo dà forma agli spiriti,
debbono i dèmoni che frequentano quel luogo
1020
essere in tutti i modi superiori agli altri.

Bungay.
Io non ragiono di forme elementari,
nè parlo delle concave latitudini,
notando la loro essenza e la loro qualità,
ma degli spiriti che la piromanzia evoca,
1025
e del vigore dei dèmoni geomantici.
Io ti dico, Tedesco, la magia risiede nel suolo,
e quei singolari incanti negromantici,
che operando tanti spettacoli e meraviglie nel mondo,
sono eseguiti da quegli spiriti geomantici,
1030
che Ermete chiama terrae filii.
Gli spiriti ignei non sono che ombre trasparenti,
che lievi passando come araldi portatori di novelle;
ma i dèmoni terrestri, chiusi nell’infima profondità,
spaccano le montagne, solo che ne sian comandati,
1035
essendo più densi e massicci nella loro potenza.

Vandermast.
Piuttosto questi terrestri spiriti geomantici
sono tardi e simili al luogo dov’essi dimorano;
perchè quando il superbo Lucifero cadde dai cieli,
gli spiriti e gli angeli che avevan peccato con lui,
1040
conservarono, come le loro colpe, la loro essenza locale,
tutti sottoposti alla sfera della Luna:
quelli che meno offesero, furon sospesi nel fuoco,
e le colpe seconde rimasero nell’aria;
ma Lucifero e i suoi dèmoni superbi di cuore
1045
furon gittati al centro della terra,
avendo meno intendimento degli terra,
come quelli che avean maggior peccato e minor grazia.
Pertanto tali grossi e terrestri spiriti servono
a giocolieri, streghe e spregevoli sortieri;
1050
mentre i genii piromantici
son gagliardi, veloci e forniti d’un potere che giunge lontano.
Ma supposto che la geomanzia abbia la maggior forza;
Bungay, per compiacere a questi possenti sovrani,
prova con qualche esempio che cosa la tua arte può fare.

Bungay.
1055
Lo farò.

Imperatore.
Ora, Arrigo Inglese, qui comincia la partita;
noi vedremo giocare questi due dotti uomini.

Vandermast.
Che cosa farai?

Bungay.
Ti mostrerò l’albero, fronzuto d’oro fino,
1060
su cui teneva il suo seggio lo spaventoso dragone,
che vigilava il guardino chiamato Esperide,
soggiogato e vinto da Ercole vittorioso.

Vandermast.
Ben fatto!
Qui Bungay fa gli scongiuri, e l’albero appare col dragone che gitta fuoco.

Re Arrigo.
1065
Che dite voi, regali signori, del mio frate?
Non ha egli dato un saggio di sapiente abilità?

Vandermast.
Ogni studioso di incanti negromantici
può fare altrettanto di quel che Bungay ha eseguito.
Ma come il bastardo d’Alcmena atterò l’albero,
1070
così io evocherò lui come quando viveva,
e gli farò strappare il dragone dal suo luogo,
e lacerare i rami a pezzo a pezzo dalla radice. —
Ercole! Prodi, prodi, Ercole!

Ercole appare nella sua pelle di leone.

Ercole.
Quis me vult?

Vandermast.
1075
Figliuolo bastardo di Giove, Ercole Libio,
strappa via le fronde dall’albero Esperio,
come una volta facesti per acquistare il frutto d’oro.

Ercole.
Fiat.

Comincia a spezzare i rami.

Vandermast.
Ora, Bungay, se tu puoi per magico incanto
1080
distorre il dèmone, che apparisce nella forma del grande Ercole,
dall’abbattere i rami dell’albero,
allora tu sei degno di esser tenuto per sapiente.

Bungay.
Io non posso.

Vandermast.
Cessa Ercole, fichè io ti comandi. —
1085
Potente sovrano di quest’isola d’Inghilterra,
Arrigo, discendente dei gagliardi Plantageneti,
Bungay è dotto abbastanza per un frate;
ma per competere con Jaques Vandermast,
Oxford e Cambridge debbono andar cercando nelle loro celle
1090
per trovare un uomo che lo uguagli nella sua arte.
Io ho confusi i Padovani
e quei di Siena, Firenze e Bologna,
Reims, Louvain e la bella Rotterdam,
Francoforte, Lutezia ed Orleans:
1095
ed ora deve Arrigo, se mi rende giustizia,
coronarmi d’alloro, come tutti coloro han fatto.

Entra Bacone.

Bacone.
Ogni saluto a questa regale brigata,
che siede per udire e vedere questa singolare disputa! —
Bungay, perchè stai tu com’un uomo sbigottito?
1100
che, il Tedesco ha fatto più di te?

Vandermast.
Chi sei tu che interroghi così?

Bacone.
Gli uomini mi chiamano Bacone.

Vandermast.
Nobile tu sembri, come se tu fossi sapiente;
il tuo sembiante è quale se la scienza avesse il suo seggio
1105
tra gli archi rotondi delle tue sopracciglia.

Re Arrigo.
Ora, monarchi, il Tedesco ha trovato il suo avversario.

Imperatore.
Industriali, Jaques, non ti lasciar battere,
altrimenti perdi ciò che prima avevi guadagnato.

Vandermast.
Bacone, vuoi tu disputare?

Bacone.
1110
No, se non con chi fosse più dotto di Vandermast.
Perchè finora, dimmi, che hai tu fatto?

Vandermast.
Evocato Ercole per rovinar quell’albero,
che Bungay ha innalzato co’ suoi incanti magici.

Bacone.
Poni Ercole a lavorare.

Vandermast.
1115
Ora, Ercole, io t’assegno la tua bisogna:
strappa gli aurei rami dalla radice.

Ercole.
Io non oso. Non vedi tu qui il grande Bacone,
il cui cipiglio è più potente della tua magìa?

Vandermast.
Per tutti i troni e le dominazioni,
1120
le virtù, le potestà, e le possenti gerarchie,
io ti comando d’obbedire a Vandermast.

Ercole.
Bacone, che tiene a freno l’ostinato Belcefonte,
e signoreggia Asmenoth, reggitore del Settentrione,
mi impedisce di cedere a Vandermast.

Re Arrigo.
1125
Ebbene, Vandermast? avete incontrato il vostro avversario?

Vandermast.
Non mai per l’innanzi seppe Vandermast
che gli uomini tenessero i dèmoni in tale obbediente soggezione.
Bacone fa più che arte magica, o io m’inganno.

Imperatore.
Dunque, Vandermast, sei tu vinto? —
1130
Bacone, disputa con lui e prova la sua sapienza.

Bacone.
Io non venni, monarchi, per tener disputa
con un novizio come Vandermast.
Io venni per invitare le vostre maestà a pranzare
con Fra Bacone qui nel Nasodibronzo;
1135
e poichè questo Tedesco è importuno in questo luogo,
e tien quest’udienza lungamente sospesa,
io lo manderò di qui alla sua Accademia. —
Tu, Ercole, che Vandermast ha evocato,
trasporta subito ad Asburgo il Tedesco,
1140
ch’egli possa imparare col suo travaglio, prima della primavera,
più segreti giudizî ed aforismi dell’arte.
Svanisca l’albero, e tu via con lui!

Exit Ercole con Vandermast e l’albero.

Imperatore.
Ebbene, Bacone, dove lo mandi tu?

Bacone.
Ad Asburgo: quivi vostra altezza al ritorno
1145
troverà il Tedesco salvo nel suo studio.

Re Arrigo.
Bacone, tu hai onorato l’Inghilterra con la tua sapienza,
e fatta la bella Oxford famoso per la tua arte:
io sarò per te l’Inglese Arrigo.
Ma dimmi, pranzeremo con te quest’oggi?

Bacone.
1150
Con me, mio signore; e mentre io preparo le accoglienze,
ecco che il Principe Eduardo viene a darvi il benvenuto,
grazioso come la stella mattutina in cielo.

Entrano il Principe Eduardo, Lacy, Warren, Ermsby.

Imperatore.
È questo il Principe Eduardo, il reale figlio d’Arrigo?
Come marziale è l’aspetto del suo volto!
1155
Eppure amabile e ornato d’amorosi sguardi.

Re Arrigo.
Ned, dove sei tu stato?

Principe Eduardo.
A Fremingham, mio signore, per provare se i vostri dàini
potessero sfuggire ai veltri o alla rete.
Ma udendo che questi nobili sovrani
1160
avean preso terra e proceduto alla città di Oxford,
io m’affrettai per fare ad essi accoglienza:
prima al monarca Alemanno; dopo di lui,
e insieme a lui, Castiglia e Sassonia
son benvenuti quant’è possibile alla corte inglese.
1165
Tanto per gli uomini: ma ecco, Venere apparisce,
o una che è superiore a Venere nella sua forma!
Dolce Eleonora, alto ornamento della bellezza,
gloria e ricchezza insieme della superba natura,
bella fra la belle, ben venuta in Albione;
1170
ben venuta a me, e ben venuta a te stessa,
se tu degni il benvenuto da me.

Eleonora.
Marziale Plantageneto, figliuolo d’Arrigo, dall’alto animo,
il segno a cui Eleonora pose la sua mira,
io mi piacqui di te prima di vederti: ora io amo,
1175
e tanto quanto in così breve tempo io posso,
pur tanto che il tempo mai non spezzerà questo tanto;
e perciò tanto accetta da Eleonora.

Re di Castiglia.
Non temere, mio signore, questa coppia andrà d’accordo,
se l’amore può insinuarsi nei loro occhi vivaci: —
1180
e perciò, Eduardo, io qui t’accento,
senza indugio, per mio figliuolo d’adozione.

Re Arrigo.
Lasciate ch’io, che gioisco di queste concordi accoglienze
e mi glorio di questi onori fatti a Ned,
renda grazie di tutti questi favori per mio figlio,
1185
e mi serbi un vero Plantageneto per tutti.

Entra Miles con una tovaglia e taglieri e sale.

Miles.
Salvete, omnes reges,
che governate i vostri greges
in Sassonia e Spagna,
in Inghilterra e in Alemagna!
1190
Per tutta questa gaia marmaglia,
io debbo coprire la tavola
con taglieri, sale e tovaglia;
e por cercarvi il bordo.

Imperatore.
Chi è questo piacevole figliuolo?

Re Arrigo.
1195
Egli, mio signore, il povero scolare del Dottor Bacone.

Miles.
[a parte]. Il mio padrone m’ha fatto lo scalco di questi grandi signori; e, Dio sa, io son così buono a servire ad una tavola, com’è una scrofa sotto un mulo: non importa; il loro trattamento non sarà lauto, e perciò che differenza fa dove sia il sale, dinnanzi o di dietro?

Exit.

Re di Castiglia.
Questi scolari son più esperti in assiomi,
e in usar motti e cavilli di sofistica,
che in apparecchiare per un re come s’usa a corte.

Rientra Miles con una portata di minestra e brodo, e, dopo di lui, Bacone.

Miles.
1200
Versarne, signore? Ebbene voi credete ch’io non abbia mai portato prima in vita mia una braciuola da due penni?
ErrorMetrica
Con vostra licenza, nobile decus,
chè qui viene il pecus del Dottor Bacone,
il quale è in età maggiore
per portare un piatto di minestra.

Bacone.
1205
Signori, non vi maravigliate se questo è il vostro pasto,
perchè noi dobbiamo serbare la nostra mensa accademica;
nessuno stravizzo dove regna la filosofia:
e perciò, Arrigo, dà il loro pasto a questi sovrani,
e invitali ad abbassarsi sulle loro frugali vivande.

Imperatore.
1210
Frate presuntuoso! che, ti fai beffe d’un re?
che, tu ci oltraggi con la tua mensa da bifolco,
e ci dài vivande buone per villani? —
Arrigo, procede questa burla dal tuo consentimento,
di farci l’insulto d’una pietanza di tai prezzo?
1215
dimmelo, e Federigo non ti graverà a lungo.

Re Arrigo.
Per l’onore d’Arrigo e per la fede regale,
che il monarca porta al suo amico,
io non sapevo nulla dell’umile mensa del frate,
nè mi compiaccio ch’egli vi faccia un tale trattamento.

Bacone.
1220
Sta tranquillo, Federigo, perchè io ho mostrato queste vivande,
per farti vedere come gli scolari son usi nutrirsi;
come poco cibo raffini i nostri spiriti inglesi. —
Miles, porta via, e sia questo il tuo pranzo.

Miles.
Perdio, signore, bene sta; questo giorno sarà per me un giorno di festa;
1225
perchè io farò la maggior gozzoviglia del mondo.

Exit.

Bacone.
Io ti dico, monarca, che tutti i pari di Germania
non potrebbero farti un tal trattamento,
così regale e così pieno di maestà,
come quello che Bacone presenterà a Federigo.
1230
Il più vile domestico addetto alle tue coppe,
avrà onori maggiori de’ tuoi stessi;
e per le tue vivande, le ricche droghe d’Alessandria,
recate in caravelle dai più ricchi stretti d’Egitto,
trovate nel dovizioso lido dell’Africa,
1235
faran regale la tavola del mio re;
vini più saporosi di quelli che la cortigiana Egiziana
bevve al regale rivale d’Augusto,
saran tracannati nel festino dell’Inglese Arrigo;
Candy darà le più squisite delle sue canne;
1240
Persia, giù pel suo Volga in canotti,
manderà i segreti della sua spezieria;
i datteri africani, i mirabolani di Spagna,
conserve e susine candide dalla Tiberiade,
leccornie di giudea, più rare della murena,
1245
che incendiò Roma con faville di ghiottoneria,
abbelliranno il desco di Federigo:
e perciò non vi lagnate del festino d’un frate.

Exeunt.

[SCENA X.]

[Fressingfield, presso la capanna del gurdiano.]
Entrano Lambert e Serlsby, col Guardiano.

Lambert.
Vieni, gaio guardiano della caccia del nostro signore,
la cui tavola apparecchiata ha sempre selvaggina
1250
e boccali di vino per far accoglienza ai passeggeri,
sappi ch’io sono innamorato della gioconda Margherita,
che vince di splendore le nostre donzelle come la luna
oscura le più brillanti faville della notte.
Qui in Laxfield ho io la mia terra e i miei beni;
1255
io farò la tua figliuola partecipe di tutto ciò,
purchè tu consenta di darmele in moglie;
ed io posso spendere cinquecento marchi all’anno.

Serlsby.
Io sono, Guardiano, il proprietario delle tue tenute,
e il tuo mantenimento dipende da me per contratto;
1260
Laxfield non mi vide mai alzare i miei fitti:
io farò di tutto padrone la bella Margherita,
purchè ella voglia darsi a un gagliardo scudiere.

Guardiano.
Ora, cortesi gentiluomini, se la figlia del Gaudiano
è in piacere all’amorosa fantasia di tutti e due voi,
1265
e con la sua bellezza ha soggiogato i vostri pensieri,
è dubbio come si possa decidere la questione.
Mi dà gioia che tali persone d’alto affare
abbian posto il lor gradimento in così umile stato,
e che la sua condizione debba crescere in tanta fortuna,
1270
quale sarebbe se anch’ella s’ammogliasse a uomini da meno di voi:
ma poiché tali scudieri s’abbassano al grado d’un guardiano,
io, per evitare che alcuno di voi si dispiaccia,
chiamerò fuori Margherita, ed ella farà la sua scelta.

Lambert.
Sta bene, Gaurdiano, mandala da noi.
Exit il Gaurdiano.
1275
Ebbene, Serlsby, tua moglie è morta da poco,
e tutto il tuo amore s’è così di leggeri dileguato,
che tu puoi ammogliarti prima che l’anno sia scorso?

Serlsby.
Io non vivo, Lambert, per dar piacere ai morti,
nè io era sposato a lei se non per la vita:
1280
la tomba dà fine e principio allo stato coniugale.

Entra Margherita.

Lambert.
Peggy, amabile fiore di tutte le città,
bella Elena del Suffolk, e stella della ricca Inghilterra,
la cui bellezza congiunta alle sue doti di massaia,
fa che l’Inghilterra ragioni dell’allegra Fressingfield!

Serlsby.
1285
Io non so mascherar di poesia le mie parle,
nè dipingere la mia passione con similitudini,
nè narrar la favola di Febo e de’ suoi amori:
ma questo credimi, — Laxfield qui è mia,
con un’antica rendita di settecento sterline all’anno,
1290
e se tu puoi pur amare uno scudiero di campagna,
io ti farò signora, Margherita, di tutto:
io non so lusingarti; mettimi alla prova, se ti piace.

Margherita.
Bravi scudieri del vicinato, sostegno della terra del Suffolk,
la figliuola d’un guardiano è in troppo basso stato,
1295
per sposare uomini di tanta ricchezza;
ma s’io potessi non dispiacere, io risponderei.

Lambert.
Di’, Peggy; nulla ci farà scontenti.

Margherita.
Allora, gentiluomini, notate che l’amore ha breve durata,
nè posson le fiamme che Venere fa ardere,
1300
esser accese se non da un moto della fantasia:
pertanto perdonate, gentiluomini, se la risposta d’una fanciulla
è dubbia, finchè io non abbia discusso con me stessa,
quale di voi l’amore mi costringerà a preferire.

Serlsby.
Sia io questi; e credimi, Margherita,
1305
i prati cinti dalle correnti argentine,
le cui pingui pasture ingrassan tutti i miei greggi,
producendo velli ricchi di tal lana
che Lempster non produce merce più fina,
e quaranta vacche con bei capi lucenti,
1310
con turgide mammelle pendenti fino al suolo,
serviranno alla tua cascina, se tu ti sposi con me.

Lambert.
Lascia andare la rustica ricchezza, come greggi e vacche,
e le terre ondeggianti per gli aurei covoni di Cerere,
ch’empiono i miei granai dell’abbondanza dei campi:
1315
ma, Peggy, se tu mi sposi,
tu avrai vestimenta de seta ricamata,
rense e ricche reti per l’acconciatura della testa:
di gran prezzo saranno i tuoi belli abbigliamenti,
se tu pure sarai l’amorosa moglie di Lambert.

Margherita.
1320
State contenti, gentiluomini, voi avete fatte grandi profferte,
e maggiori che non convengano alla condizione d’una fanciulla campagnuola:
ma datemi licenza di consigliarmi un poco,
perchè l’amore non fiorisce al primo assalto;
datemi tempo soli dieci giorni, ed io risponderò,
1325
in quale di voi io ponga il mio affetto.

Serlsby.
Lambert, ti dico che tu sei importuno;
una tale bellezza non conviene a un così umile scudiere:
a Serlsby è destinata Margherita.

Lambert.
Pensi tu di soverchiarmi con le tue ricchezze?
1330
Serlsby, io sdegno di soffrire le tue rustiche bravate:
io ti sfido, codardo, a sostener questo torto
a colpi di spada, a singolar tenzone.

Serlsby.
Io risponderò, Lambert, si ciò che ho affermato, —
Margherita, arrivederci; sarà per un’altra volta.

Exit.

Lambert.
1335
Io lo seguirò. — Peggy, arrivederci;
ascolta come bene io risponderò pel tuo amore.

Exit.

Margherita.
Come la fortuna contempera i casi prosperi con le sventure,
e mi fa torto con le stesse dolcezze della mia gioia!
Amore è la mia beatitudine, e amore è ora la mia rovina.
1340
Sarò io Elena nei miei fati avversi,
com’io sono Elena nella mia forma senza pari,
e metterò in fiamme col mio volto il ricco Suffolk?
Solo che l’amabile Lacy fosse con la sua Peggy,
la tempestosa oscurità del suo amaro cipiglio,
1345
terrebbe a freno l’orgoglio di questi scudieri ambiziosi.
Prima che il termine di dieci giorni sia spirato,
quando essi cercheranno la risposta ai loro amori,
il mio signore verrà nell’allegra Fressingfield,
e porrà fine insieme ai loro amori e alle loro follie;
1350
sino ad allora, Peggy, sii gioconda e di buona cera.

Entra un Corriere con una lettera ed un sacco d’oro.

Corriere.
Bella amabile donzella, dove conduce questo sentiero?
Come potrei io recarmi a Fressingfield?
Quale sentiero conduce alla capanna del Guardiano?

Margherita.
La vostra via è questa, ed il sentiero è giusto:
1355
io stessa abito qui presso in Fressingfield:
e se il guardiano è l’uomo che voi cercate,
io sono la sua figliuola: potrei io conoscer la causa?

Corriere.
Amabile, e una volata amata dal mio signore, —
nessuna maraviglia se il suo occhio si posasse così in basso,
1360
quando più splendida bellezza non v’è nei cieli, —
il Conte di Lincoln vi manda questa lettera,
e con essa cento sterline giuste in oro.
Dà la lettera e il sacco.
Dolce, leggiadra ragazza, leggila e rispondi.

Margherita.
1365
I rotoli che Giove mandò a Danae,
involti in ricche custodie di fino oro polito,
non furono più accenti che queste lince a me.
Dimmi, mentre io rompo i suggelli,
sta bene Lacy? come vive il mio amabile signore?

Corriere.
1370
Bene, se la ricchezza fa che gli uomini vivan bene.

Margherita.
(Legge) I fiori del mandorlo crescono in una notte e vaniscono in un mattino; le effimere, bella Peggy, predon vita col sole, e muoiono con la rugiada; l’amore che s’insinua con uno sguardo, esce in un batter d’occhio; e gli amori troppo subitanei son sempre i più brevi. Io scrivo questo per il tuo affanno, e la mia follìa, che amava a Fressingfield ciò che il tempo ci ha insegnato non esser che mediocri delizie: gli occhi sono ingannatori, e la fantasia presto sente fastidio; pertanto sappi, Margherita, che io ho scelto per moglie una dama spanguola, la prima cameriera della principessa Eleonora; una dama bella, e non meno bella di te, d’alto lignaggio e ricca. Com’io ti abbandono, io ti lascio al tuo piacere; e per tua dote t’ho mandato cento sterline; e sempre sii sicura del mio favore, che molto gioverà a te e ai tuoi. Addio. Il non tuo, nè suo proprio, Eduardo Lacy.
ErrorMetrica
Folle Ate, giudicatrice de’ fati di tristo presagio,
che avvolgi la fortuna orgogliosa ne ‘tuoi riccioli serpentini,
1375
faceti tu al mio giorno natala un’incanto di tali stelle
che raggiassero sventura dalla loro infanzia?
Se i cieli avean fatto voto e le stelle decretato
di mostrar su di me il loro contrario influsso,
purchè Lacy avesse amato, cieli, inferno e tutto
1380
non avrebbero potuto far torto alla pazienza dell’animo mio.

Corriere.
Mi duole, damigella; ma il conte è costretto
a amar la dama per ordine del re.

Margherita.
La ricchezza raccolta entro le coste inglesi,
il sovrano dell’Europa, nè il re inglese,
1385
non avrebber rimosso l’amore di Peggy dal suo signore.

Corriere.
Quale risposta ripoterò io al mio signore?

Margherita.
Prima, poichè tu sei venuto da parte di Lacy, ch’io amava, —
ah, dammi licenza di sospirare al solo pensarci! —
prendi tu, amico mio, le cento sterline, ch’egli ha mandate;
1390
poichè la risoluzione di Margherita non esige il compenso d’una dote:
il mondo per lei sarà come cosa vana;
la ricchezza, marciume; l’amore, odio; il piacere, disperazione:
perchè io andrò subito alla superba Fremingham,
e quivi nell’abbazia sarò tonduta e fatta monaca,
1395
e cederò il mio amore e la mia libertà a Dio.
Amico, io ti dò questo, non per le nuove,
ch’esse sono odiose per Margherita,
ma perchè tu sei l’uomo di Lacy, che una volta era l’amore di Margherita

Corriere.
Di quel che ho udito, delle sofferenze che ho vedute,
1400
io farò relazione al conte.

Margherita.
Di’ ch’ella gode che gli amori di lui sian paghi,
e prega che la sventura di lui possa esser sua.

Exeunt.

[SCENA XI.]

[La cella di Fra Bacone.]
Entra Fra Bacone, scostando le cortine, con una verga magica, un libro in mano, ed una lampada accesa presso di lui; e la Testa di Bronzo, e Miles con armi, presso di lui.

Bacone.
Miles, dove siete?

Miles.
Qui, signore.

Bacone.
1405
Com’è che avete indugiato tanto?

Miles.
Credete che il guardar la Testa di Bronzo non richieda uno speciale guarnimento? Io vi garantisco, signore, io mi son armato in tal modo che se vengono tutti i vostri diavoli, io non li temerò nemmeno un pocolino.

Bacone.
Miles, tu sai ch’io mi son profondato nell’interno,
ed ho ricercato i più oscuri palagi de’ demoni;
e che per i miei magici incanti il grande Belcefonte
1410
ha lasciato la sua dimora e s’è inginocchiato alla mia cella;
le travi della terra si staccavano dai pali,
e la Luna triforme nascondeva i suoi raggi d’argento,
tremando nella sua cava sfera,
quando Bacone leggeva nel suo libro di magia.
1415
Compulsando per sette anni fàscini negromantici,
meditando sui principi della oscura Ecate,
io ho foggiato una mostruosa testa di bronzo,
la quale, per le forze incantatrici del diavolo,
pronuncerà singolari e bizzarri aforismi,
1420
e ricingerà la bella Inghilterra d’un muro di bronzo.
Bungay ed io abbiam vegliato per questi sessanta giorni,
ed ora i nostri spiriti vitali esigono un po’ di riposo:
se Argo vivesse, e avesse i suoi cent’occhi,
non potrebbero questi vigilare oltre la notte di Fobètore.
1425
Ora, Miles, in te riposa ogni bene di Fra Bacone:
l’onore e la rinomanza di tutta la sua vita,
dipendono dal vigilare queste Testa de Bronzo;
perciò io ti comando per il Dio immortale,
che tiene in pugno l’anime degli uomini,
1430
veglia questa notte; perchè prima che la stella del mattino
mandi fuori il suo glorioso luccichio nel settentrione,
la testa parlerà: allora, Miles, sulla tua vita,
svegliami; perchè allora per arte magica io opererò
in modo da finire con eccellenza il mio còmpito di questi sette anni:
1435
se solo un istante tu socchiudi il tuo vigile occhio,
addio allora alla gloria e alla fama di Bacone!
Serra le cortine, Miles: ora per la tua vita,
veglia, e —

Qui si addormenta.

Miles.
Bene; io pensava che voi vi sareste addormentato subito parlando; e non è maraviglia, perchè Bungay di giorno ed egli di notte han vegliato quest’ultimi sessanta giorni: ora questa è la notte, questo è il mio còmpito, e nulla più. Ora, che Gesù mi benedica, che leggiadra testa è questa! e che naso! Voi dite nos autem glorificare; ma quest’è un naso che vi garantisco si potrebbe chiamare nos autem popelare, per il popolo della parrocchia. Bene, io son munito d’armi: ora, signore, io mi porrò giù appoggiato a uno stipite, e me ne servirò come d’una sentinella, per svegliarmi, se m’accadesse di sonnecchiare. Io pensava, Testa Buonuomo, di togliervi dal vostro memento. Passione di Dio, mi son quasi rotta la zucca! Su, Miles, al vostro ufficio; prendete in mano la vostra alabarda; qui c’è fuori qualcuno dei folletti del vostro padrone.

Un grande rumore. La Testa parla.

Testa.
1440
È tempo.

Miles.
È tempo! Come, messer Testa di bronzo, voi avete un naso di quella fatta, e rispondete a sillabe, ‘È tempo’? È questa la sapienza del mio padrone, spendere sette anni di studio per un ‘È tempo’? Bene, signore, forse ne avremo fra poco qualche miglior discorso: bene, io vi guarderò così strettamente come mai non foste guardato, e vi tratterò come l’usignuolo la serpe; mi metterò una spina sul petto. Ora appòggiati qua, Miles. Il Signore m’usi misericordia, io mi son quasi ammazzato. Su, Miles; odi che rumore fanno.

Testa.
Fu tempo.

Miles.
Bene, Fra Bacone, voi avete bene spesi i vostri sette anni di studio, per far che la vostra testa non dica più di due parole a una volta, ‘Fu tempo’! Sì, perdio, fu tempo quando il padrone era un uomo savio, ma questo fu prima che cominciasse a fare la Testa di bronzo. Voi potete giacere tanto che il culo vi dolga, se la vostra testa non parla meglio. Bene, io veglierò, e camminerò in su e in giù, e sarò un peripatetico, e un filosofo dello stampo d’Aristotele. Che, un nuovo rumore? Prendi in mano le tue pistole, Miles.

Testa.
Tempo è passato.

Balena un lampo, ed apparisce una mano che spezza la Testa con un martello.

Miles.
1445
Padrone, padrone, su! l’inferno s’è scatenato; la vostra testa parla; e c’è tali tuoni e lampi, che garantisco che tutta Oxford è su in armi. Fuori del vostro letto, e prendete un’alabarda in mano; l’ultimo giorno è venuto.

Bacone.
Miles, vengo. O assai avvedutamente vigilato!
Bacone ti avrà per prossimo suo in amore.
Quando ha parlato la testa?

Miles.
Quando ha parlato la testa? Non avevate voi detto che avrebbe detto singolari principî di filosofia? Ebbene, signore, essa non dice che due parole alla volta.

Bacone.
1450
Come, scellerato, ha parlato più volte?

Miles.
Più volte! Sì, perdio, tre volte! ma in tutt’e tre queste volte non ha pronunciato che sette parole.

Bacone.
Cioè?

Miles.
Perdio, signore, la prima volta ha detto ‘È tempo’, come se Fabio Cumentatore avesse emesso una sentenza; la seconda volta ha detto, ‘Fu tempo’; e la terza, con tuoni e lampi, come in grande collera, ha detto, ‘Tempo è passato’.

Bacone.
È passato davvero! Ah, scellerato, tempo è passato:
1455
la mia vita, la mia fama, la mia gloria, tutto è passato. —
Bacone, le torri della tua speranza son rovinate,
il tuo studio di sette anni giace nella polvere:
la Testa di bronzo è rotta per colpa d’uno schiavo,
che vegliava, e non ha voluto quando la testa voleva.
1460
Che cosa disse prima la testa?

Miles.
Appunto, signore, ‘È tempo’,

Bacone.
Scellerato, se tu avessi chiamato Bacone allora,
se tu avessi vegliato il frate che dormiva,
la Testa di bronzo avrebbe pronunciato i suoi aforismi,
1465
e l’Inghilterra sarebbe stata cinta tutt’intorno di bronzo:
ma il superbo Asmenoth, rettore del settentrione,
e Demogorgone, signore del fati,
invidiano che un mortale possa operar tanto.
L’inferno tremava al miei incanti che comandavan nel profondo,
1470
i demoni vedean di mal occhio che un uomo li vincesse;
Bacone potrebbe vantarsi più che nessun uomo,
ma ora i vanti di Bacone han fine,
la stima dell’Europa per Bacone ha fine,
il suo esercizio di sette anni viene a cattiva fine:
1475
e, scellerato, poichè la mia gloria ha fine,
io ti destinerò a una fina fatale.
Scellerato, va via! tògliti dalla vista di Bacone!
Vagabondo, va ramingando in giro pel mondo,
e muori come un accattone sulla terra!

Miles.
1480
Come, signore, voi mi vietate di servirvi?

Bacone.
Sì, scellerato, con una fatale maledizione,
che orrendi tormenti e mali cadano su di te.

Miles.
Non importa, io sto contro di voi col vecchio proverbio, — Più la volpe è maledetta, meglio vive. Dio sia con voi, signore: io non prenderà che un libro nella mano, e in dosso una veste dalle larghe maniche, e un berretto coronato in capo, e vedrò se potrò chieder la promozione.

Bacone.
Qualche demonio o spettro infesti i tuoi stanchi passi,
1485
finchè non ti trasportino rapidi all’inferno:
perchè Bacone non avrà mai un giorno d’allegrezza,
avendo perduta la fama e l’onore della sua Testa.

Exeunt.

[SCENA XII.]

[A Corte.]
Entrano l’Imperatore e il Re di Castiglia, Re Arrigo, Eleonora, il Principe Eduardo, Lacy e Ralph Simnel.

Imperatore.
Ora, amabile principe, fiore della ricchezza d’Albione,
Come sta la Signora Eleonora, e voi?
1490
Avete voi corteggiata e trovata acconcia la Castiglia
a rispondere all’Inghilterra con egual valore?
Vi sarà un accordo tra la leggiadra Nell e te?

Principe Eduardo.
Potrebbe Paride entrar nelle corti di Grecia,
e non restare incatenato dagli sguardi della bella Elena?
1495
O Febo sfuggire a quelle occhiate penetranti,
che Dafne lanciava alla sua deità?
Può dunque Eduardo gelare presso una fiamma,
il cui calore vince Elena e la bella Dafne?
Ora, monarchi, chiedete alla dama se noi c’intendiamo.

Re Arrigo.
1500
Dite, signora, ha il mio figliuolo trovato grazia o no?

Eleonora.
Vedendo, mio signore, la sua amabile immagine,
e vedendo come s’accordavano il suo animo e la sua forma,
io non son venuta, accompagnata da tutto questo sèguito guerriero,
dubitando dell’amore, ma così affezionata,
1505
che Eduardo ha ora in Inghilterra ciò che egli s’era già guadagnato in Ispagna.

Re di Castiglia.
Un perfetto accordo, mio signore; questi di necessità debbono amare:
gli uomini debbono aver moglie, e le donne sposarsi:
affrettiamo il giorno cui saràn celebrati i riti.

Ralph.
Harry, Ned sposerà Nell?

Re Arrigo.
1510
Sì Ralph; e che perciò?

Ralph.
Perdio, Harry, segui il mio consiglio: manda a chiamare Fra Bacone per maritarli, perch’egli farà a lui e a lei tali scongiuri con la sua negromanzia, ch’essi s’ameranno come il porco a l’agnello per tutta la vita.

Re di Castiglia.
Ma odi, Ralph, sei tu contento d’aver Eleonora per tua signora?

Ralph.
Sì, purch’ella mi prometta due cose.

Re di Castiglia.
Quali cose, Ralph?

Ralph.
1515
Ch’ella non garrirà mai con Ned, né s’azzufferà con me. — Harry, io la ho vinta con una cosa impossibile.

Re Arrigo.
Che cosa è, Raplh?

Ralph.
Ebbene, Harry, hai tu mai veduto che una donna sapesse insieme frenare la sua lingua e le sue mani? No, ma quando le frittate cresceranno sui muli, allora la tua cavalla grigia saprà sonar la cornamusa.

Imperatore.
Che cosa dicono il Sire di Castiglia e il Conte di Lincoln, che stanno parlando così gravemente in segreto?

Re di Castiglia.
Io resto, mio signore, stupefatto alle sue parole,
1520
com’egli discorre della costanza
d’una soprannominata, per l’eccellenza della sua bellezza,
la Bella Fanciulla dell’allegra Fressingfield.

Re Arrigo.
È vero, mio signore, è meraviglioso a udirsi;
la sua bellezza supera quella dell’amante di Marte,
1525
la sua verginità è pura come quella di Vesta.
Lacy e Ned me n’han detto meraviglie.

Re di Castiglia.
Che dice Lacy non saprà più vivere.

Lacy.
Piaccia a vostra Altezza darmi licenza di recarmi
a Fressingfield, io condurrò la leggiadra ragazza,
1530
e mostrerò alla corte, nella vera apparenza,
ciò che spesso io ho attestato con la mia lingua.

Re Arrigo.
Lacy, va dallo scudiere della mia scuderia,
e prendi tali corsieri che convengano al tuo scopo:
affréttati verso Fressingfield, e conduci qui la donzella;
1535
e, poichè la sua fama vola per la terra inglese,
se così piacerà alla Signora Eleonora,
in un sol giorno si sposeranno vostra eccellenza e lei.

Eleonora.
Noi dame de Castiglia non siamo molto ritrose:
vostra altezza potrebbe richiedere anche una grazia maggiore:
1540
ed io sarei felice di favorire il Conte di Lincoln
con fargli compagnia nel suo giorno nuziale.

Principe Eduardo.
Gran mercè, Nell, perché io amo il signore,
come quegli che è secondo a me stesso in amore.

Ralph.
Voi l’amate? — Signora Nell, non gli credete mai, benchè egli giuri d’amarvi.

Eleonora.
1545
Perché Ralph?

Ralph.
Ebbene, il suo amore è come un bicchiere da bettola, che si rompe appena toccato; perché egli amava la bella fanciulla di Fressingfield una volta oltre ogni dire. No, Ned, non mi ammiccar cogli occhi; io non ei bado, io.

Re Arrigo.
Ralph dice tutto; voi avrete in lui un buon confidente,
Ma, Lacy, affréttati alla volta di Fressingfield;
perchè prima che tu abbia acconciate tutte le cose per la sua nuova condizione,
1550
il solenne giorno nuziale sarà giunto.

Lacy.
Io vo, mio signore.

Imperatore.
Come passeremo noi questo giorno, mio signore?

Re Arrigo.
A cavallo, mio signore; la giornata è bellissima,
noi leveremo la pernice, e scoveremo il dàino.
1555
Seguite, miei signori; la caccia non vi farà difetto.

Exeunt.

[SCENA XIII.]

[La cella di Fra Bacone.]
Entra Fra Bacone con Fra Bungay nella sua cella.

Bungay.
Che vuol dire che il frate, il quale era pur ora tanto gaio,
segga così melanconico nella sua cella,
come s’egli non avesse nè vinto nè perduto oggi?

Bacone.
Ah! Bungay, la mia Testa di bronzo è sciupata,
1560
la mia gloria andata, il mio studio di sette anni perduto!
la fama di Bacone, il cui rumore già correva il mondo,
finirà e perirà con questa profonda disgrazia.

Bungay.
Bacone ha edificato le fondamenta della sua fama
così sicuramente sulle ali della vera reputazione,
1565
operando singolari e bizzarri miracoli,
che ciò non può spezzare quel ch’egli merita.

Bacone.
Bungay, siedi, perchè per sapienza prospettiva
io trovo che questo giorno risulterà fatale:
qualche tremendo fatto m’accadrà prima ch’io dorma;
1570
ma che cosa, e dove, poco posso indovinare.
Il mio animo è triste, qualunque cosa sia per accadere.
Entrano due Scolari figliuoli di Lambert e Serlsby. Bussano.
Chi è che bussa?

Bungay.
Due scolari che desiderano parlare con voi.N
X
Nota del editor digital

Dopo questo verso viene aggiunto nel quarto e nelle edizioni moderne: “Bac. Bid thẽ come in, Now my youths what would you haue.”

1o Scolaro.
Signore, noi siamo uomini del Suffolk, vicini ed amici;
1575
i nostri padri ne’ loro paesi gagliardi scudieri;
le loro terre si toccano; il mio abita in Crackfield,
e il suo in Laxfield. Noi siamo compagni di collegio,
fratelli giurati, poichè i nostri padri vivon da amici.

Bacone.
A che mira tutto ciò?

2o Scolaro.
1580
Udendo che vossignoria teneva nella sua cella
Uno specchio prospettivo, in cui gli uomini posson vedere
qualunque cosa vogliano i loro pensieri o il desiderio de’ loro cuori,
noi veniamo per sapere come stanno i nostri padri.

Bacone.
Il mio specchio è libero per ogni onest’uomo.
1585
Sedete, e voi vedrete tra breve, come
O in quale stato o vostri amici padri vivano.
Intanto, ditemi i vostri nomi.

1o Scolaro.
Il mio è Lambert.

2o Scolaro.
E il mio Serlsby.

Bacone.
1590
Bungay, io fiuto che sarà una tragedia.

Entrano Lambert e Serlsby con spade e pugnali.

Lambert.
Serlsby, tu sei venuto da uomo all’ora stabilita;
tu meriti il titolo di scudiere,
come quegli che osa, per prova del suo affetto,
e per il favore della sua dama, porre a prezzo il suo sangue.
1595
Tu sai quali parole passarono a Fressingfield,
tali sfacciate braverie che un uomo non può sofferirle:
sì, perchè io sdegno di sopportare così penetranti oltraggi;
prepàrati, Serlsby; uno di noi morrà.

Serlsby.
Tu vedi che da solo io t’affronto in campo,
1600
e quel ch’io dissi manterrò con la mia spada:
sta in guardia, io non m’accontento di ciance.
Se tu m’uccidi, pensa ch’io ho un figlio,
che vive in Oxford alla Porta Larga,
il quale vendicherà col sangue il sangue di suo padre.

Lambert.
1605
E, Serlsby, io ho quivi un gagliardo ragazzo,
che osa in armi star a fronte del tuo figliuolo;
e vive alla Porta Larga anch’egli come il tuo;
ma trai la spada, perchè noi ci batteremo.

Bacone.
Ora, gagliardi giovanotti, guardate dentro allo specchio,
1610
e ditemi se potete discernere i vostri genitori.

1o Scolaro.
Serlsby, è dura cosa: tuo padre a torto s’offre
a combattere con mio padre in campo.

2o Scolaro.
Lambert, tu menti, mio padre è l’offeso,
e tu lo proverai, se mio padre n’avrà danno.

Bungay.
1615
Come va, signori?

1o Scolaro.
I nostri padri sono in aspro combattimento presso Fressingfield.

Bacone.
Sedete tranquilli, amici miei, e guardate l’esito.

Lambert.
Perchè t’arresti, Serlsby? temi per la tua vita?
Una stoccata, uomo! la bella Margherit tanto richiede.

Serlsby.
1620
Allora questa per lei!

1o Scolaro.
Ah! ben colpito!

2o Scolaro.
Ma osserva la parata.

Essi si battono ed uccidono l’un l’altro.

Lambert.
O, io sono ucciso!

Serlsby.
Ed io, — il Signore abbia misericordia di me.

1o Scolaro.
1625
Mio padre ucciso! — Serlsby, para questa!

2o Scolaro.
E il mio pure! — Lambert, io te ne ripagherò bene.

I due scolari si trucidano l’un l’altro.

Lambert.
O straordinaria catastrofe!

Bacone.
Vedi, frate, dove i padri insieme giacciono morti! —
Bacone, la tua magia compie questo massacro:
1630
questo specchio prospettivo opera molti guai;
e perciò vedendo che questi bravi gagliardi bruti,
questi giovani amici, son periti per la tua arte,
poni fine a tutta la tua magia e alla tua arte insieme.
Il pugnale che pose fine alle loro vite secondo il destino,
1635
spezzerà la causa efficiente de’ loro guai.
Così sparisca lo specchio, e finiscano con esso le parvenze
che la negromanzia infondeva nel cristallo.

Spezza lo specchio.

Bungay.
Che vuol dire che il dotto Bacone spezzi così lo specchio?

Bacone.
Io dico, Bungay, amaramente mi pento
1640
che mai Bacone s’impacciasse di quest’arte.
Le ore da me spese in incanti piromantici,
il pauroso compulsar nell’ultima notte
carte piene di fàscini negromantici,
scongiurando in ogni modo diavoli e demonî,
1645
con la stola e il camice e lo strano pentagono;
il corrompere il sacro nome di Dio,
come Sotèr, Eloim ed Adonai,
Alpha, Manoth e Tetragrammaton,
pregando le quintuplici potenze dell’inferno,
1650
son motivi per cui Bacone dev’esser dannato,
per essersi valso de’ diavoli per eguagliare il suo Dio. —
Pure, Bacone, fa’ cuore, non annegare nella disperazione:
i peccati hanno i loro rimedi, il pentimento può far molto:
pensa che la Misericordia siede dove la Giustizia ha il suo seggio,
1655
e che da quelle ferite che quegli scellerati Giudei aprirono,
e che per la tua magìa spesso sanguinarono novellamente,
da quelle per te stilla la rugiada della misericordia,
per lavare il cruccio dell’ira dell’alto Jehovah,
e far di te come un bambino nuovo nato, senza peccato. —
1660
Bungay, io spenderò il rimanente della mia vita
in pura devozione, pregando il mio Dio
ch’egli voglia salvare ciò Bacone vanamente ha perduto.

Exeunt.

[SCENA XIV.]

[Fressingfield: un prato presso la capanna del Guardiano.]
Entrano Margherita in abito da monaca, il Guardiano suo padre ed il loro Amico.

Guardiano.
Margherita, non esser così in questi voti:
o, non seppellire in una cella una tale bellezza,
1665
che l’Inghilterra ha tenuto famosa pel suo splendore.
La chioma di tuo padre, simile ai fiori d’argento
che abbelliscono gli arboscelli dell’Africa,
cadrà prima del tempo segnato per la morte,
per dover egli rinunziare alla sua amabile Margherita.

Margherita.
1670
Ah, padre quando l’armonia del cielo
Fa risuonare le note d’una vivace fede,
le vane illusioni di questo mondo lusinghiero
appaiono odiose ai pensieri di Margherita.
Io amava una volta, — Lord Lacy era il mio amore;
1675
ed ora io odio me stessa per aver amato,
e per essermi appassionata di lui più che del mio Dio, —
per questo io mi flagello con acuti pentimenti.
Ma ora il saggio di tali superbi peccati
mi dice che ogni amore è lussuria fuori dell’amore celeste;
1680
che la bellezza al servizio dell’amore è vanità:
il mondo non contiene se non esche allettatrici,
orgoglio, lusinghe e pensieri incostanti.
Per cansare le spine della morte, io abbandono il mondo,
e mi voto a meditare sulla celeste beatitudine,
1685
a vivere in Fremingham come una sante monaca,
santa e pura nella coscienza e negli atti;
nel desiderio che tutte le fanciulle apprendano de me
a ricercar la gioia del cielo innanzi alla vanità della terra.

Amico.
E dunque, Margherita, voi sarete consacrata monaca, e così ci abbandonerete tutti?

Margherita.
1690
Ora addio, mondo, strumento di tutti i mali!
Addio agli amici e al padre! Benvenuto Cristo!
Addio alle vesti graziose! questo vil vestimento
meglio conviene a un animo che s’umilia a Dio,
che tutta la pompa de’ ricchi abbigliamenti!
1695
Addio, o amore! e, col folle amore, addio,
dolce Lacy, ch’io amava una volta così caramente!
Sempre stii bene, ma non mai ne’ miei pensieri,
perchè io non pecchi pensando all’amore di Lacy:
ma anche a questo, come al resto, addio!

Entrano Lacy, Warren ed Ermsby, con stivali e speroni.

Lacy.
1700
Venite, miei allegri compagni, noi siam presso alla capanna del Guardiano.
Qui ho io spesso passeggiato pe’ prati irrigui,
e conversato con la mia amabile Margherita.

Warren.
Ned, non è questo il Gaurdiano?

Lacy.
È proprio lui.

Ermsby.
1705
Il vecchio libertino s’è procacciato una vacca benedetta; una monarca, mio signore!

Lacy.
Guardiano, come stai? olà, buon uomo, come va?
Che fa Peggy, la tua figliuola e il mio amore?

Guardiano.
Ah, mio buon signore! Oi me infelice per Peggy!
Vedetela costà vestita del suo abito da monaca,
1710
pronta per esser consacrata in Fremingham:
ella abbandona il mondo perchè ha perduto il vostro amore.
O, mio buon signore, persuadetela se potete!

Lacy.
Ebbene, e come, Margherita! che, disperata?
Monaca? qual santo padre vi insegnò
1715
a dedicarvi ad una così fastidiosa vita,
da morir fanciulla? sarebbe un’ingiuria per me,
soffocare in una cella una tale bellezza!

Margherita.
Lord Lacy, pensando alla mia prima colpa,
come follemente il fiore degli anni allegri fu speso
1720
in amore, (o, vergognaa quella folle fantasia,
la cui natura ed essenza dipendon dall’occhio!)
io abbandono insieme l’amore e la gioia dell’amore,
ricorrendo a colsi ch’è vero amore,
e abbandonando tutto il mondo per amore di lui.

Lacy.
1725
Da che, Peggy, viene questa metamorfosi?
Che, tu ti fai monaca, ed io dalla corte mi sono
affrettato con corsieri per condur te di qui
a Windsor, dove si celebrerà il nostro, matrimonio?
Le vesti nuziali sono nelle mani del sarto.
1730
Vieni, Peggy, lascia questi voti assoluti.

Margherita.
Non aveva il mio signore dimesso il suo impegno,
e fatto divorzio tra Margherita e lui?

Lacy.
Fu solo per mettere a prova la costanza della dolce Peggy.
Ma vorrà la bella Margherita abbandonare il suo amore e signore?

Margherita.
1735
Non sta la gioia del cielo innanzi alla caduca felicità terrestre?
E la vita di lassù non è più dolce della vita in amore?

Lacy.
Ebbene, dunque, Margherita sarà consacrata monaca?

Margherita.
Margherita ha fatto un voto che non può esser revocato.

Warren.
Non possiamo restare, mio signore; s’ella è così rigida,
1740
il nostro tempo non ci concede di corteggiarla da capo.

Ermsby.
Scegliete, bella donzella, — ancora è in voi la scelta, —
o un solenne monastero o la corte,
Dio o Lord Lacy: che cosa vi contenta meglio,
essere una monaca o pure la moglie di Lord Lacy?

Lacy.
1745
Ben proposto! — Peggy, la vostra riposta dev’esser breve.

Margherita.
La carne è fragile: il mio signore sa bene,
che quando egli viene col suo volto incantatore,
qualunque cosa accada, io non gli posso dire di no.
S’allontana la tonaca da un cuor di fanciulla,
1750
e, poichè fortuna vuole, bella Fremingham,
e tutta la pompa delle sante monache, addio!
Lacy per me, s’egli vuol essere il mio signore.

Lacy.
Peggy, il tuo signore, il tuo amore, il tuo marito.
Credimi, in fede di cavaliere, che il re
1755
aspetta per maritare la incomparabile Eleonora,
finchè io non ti porti in ricche vesti alla corte,
che un sol giorno possa insieme maritar lei e te.
Che ne dici tu, Guardiano? sei tu felice di ciò?

Guardiano.
Come il re d’Inghilterra avesse dato
1760
il parco e la caccia di Fressingfield a me.

Ermsby.
Ti prego, mio Lord del Sussex, perchè sei tu così pensieroso?

Warren.
Considero la natura delle donne; che per vicino ch’esse siano a Dio, pure amano morire fra le braccia d’un uomo.

Lacy.
Che avete di buono per colazione? Noi abbiamo viaggiato
di fretta tutta notte per Fressingfield.

Margherita.
1765
Burro e cacio, e corata di dàino,
come hanno o poveri guardiani nelle loro capanne.

Lacy.
E nemmeno una bottiglia di vino?

Margherita.
Ne troveremo una pel mio signore.

Lacy.
Vieni, Sussex, entriamo: noi avremo anche di più,
1770
perchè essa dice meno, per esser sicura di tenere la sua promessa.

Exeunt.

[SCENA XV.]

[La cella di Fra Bacone.]
Entra un Diavolo.

Diavolo.
Come son senza riposo gli spettri degli spiriti infernali,
quando ogni incantatore co’ suoi magici incanti
ci chiama su dalle nove fosse di Flegetonte,
per correre e traversare la terra in fretta,
1775
sulle rapide ali dei venti più veloci!
Ora Bacone m’ha evocato dalla più oscura tenebra,
per andar cercando pel mondo Miles,ilsuo uomo,
Miles, e per tormentare le sue pigre ossa,
avendo egli trascuratamente vigilato la sua Testa di bronzo.
1780
Eccolo che viene, o, egli è mio.

Entra Miles in’ toga e berretto quadrato.

Miles.
Uno scolare, dite voi! perdio, signore, io vorrei che m’avessero fatto bottigliaio quando mi fecero scolare; perchè io non posso riuscire ad essere nè un diacono o lettore, nè un maestro di scuola, no, nemmeno un chierico di parrocchia. Alcuni mi chiamano balordo: altri dice che la mia testa è piena di Latino come un uovo è pieno di farina d’avena: così io son tormentato, che il diavolo e Fra Bacone mi perseguitano. — Buon Signore, ecco uno dei diavoli del mio padrone! Io gli voglio parlare. — Ebbene, Mastro Pluto, come vi sentite?

Diavolo.
Mi conosci tu?

Miles.
Conoscervi, signore? ebbene, non siete voi uno dei diavoli del mio padrone, di quelli che erano usi venir dal mio padrone, il Dottor Bacone, al Nasodibronzo?

Diavolo.
Sì, perdio, son io.

Miles.
1785
Buon Signore, Mastro Pluto, io v’ho veduto un migliaio di volte dal mio padrone, e pure io non ebbi mai modo di offrirvi da bere. Ma, signore, io son felice di vedere come voi vi conformate agli statuti. — Vi garantisco ch’egli è il più modesto borghese che voi possiate vedere: osservate, signori, questo è un semplice onest’uomo, senza mostre nè guarniture. — Ma vi prego, signore, siete voi appena giunto dall’inferno?

Diavolo.
Sì, perdio: e che perciò?

Miles.
Affè, gli è un luogo che da gran tempo desideravo vedere: non avete voi colà buone taverne? non vi si può avere un gagliardo fuoco, un boccale di buona cervogia, un mazzo di carte, un grosso pezzo di creta, ed una bruna fetta di pane abbrustolito, che t’aggiusti un giubbetto bianco su una coppa di buona bevanda?

Diavolo.
Tutto ciò voi potete avere colà.

Miles.
Voi siete per me, amico, ed io sono per voi. Ma vi prego, non potrei io avere un ufficio colà?

Diavolo.
1790
Sì, mille: che cosa vorresti essere?

Miles.
In fede mia, signore, vorrei avere un posto che mi desse qualche profitto. Io so che l’inferno è un posto caldo, e gli uomini vi son secchi a maraviglia, e che molto vi si beve; vorrei essere il bettoliere.

Diavolo.
Sarai.

Miles.
Non c’è nulla che mi tenga dal venir con voi, se non ch’è un lungo viaggio, e che io non ho pur un cavallo.

Diavolo.
Tu cavalcherai sul mio dorso.

Miles.
1795
Ora per certo questo è un diavolo cortese, che, per far piacere al suo amico, non esiterà a tramutarsi in una rozza. — Ma vi prego, amico buon uomo, lasciate ch’io vi faccia una domanda.

Diavolo.
E che è?

Miles.
Vi prego, il vostro passo è un trotto o un ambio?

Diavolo.
Un ambio.

Miles.
Bene sta; ma bada non che sia un trotto: ma non importa, io l’impedirò.

Calza gli speroni.

Diavolo.
1800
Che fai?

Miles.
Perdio, amico, mi metto gli speroni; perchè se trovo che il vostro passo è un trotto o è altrimenti difficile, io vi metterò al piccolo galoppo; vi farò sentire il beneficio de’ miei speroni.

Diavolo.
Montami sul dorso.

Miles.
O signore, questa è pure una bella maraviglia, che un uomo cavalchi all’inferno in groppa a un diavolo!

Exeunt, il Diavolo ruggendo.

[SCENA XVI.]

[Alla Corte.]
Entra l’Imperatore con una spada senza punta; poi il Re di Castiglia che porta una spada con la punta; Lacy che porta il globo; il Principe Eduardo; Warren che porta una verga d’oro con una colomba sopra; Ermsby con la corona e lo scettro; la Regina; la Principessa Eleonora con la Bella Fanciulla di Fressingfield alla sua sinistra; Re Arrigo; Bacone; ed altri signori del seguito.

Principe Eduardo.
Grani Sovrani, miracoli della terra per la vostra potenza,
1805
pensate che il Principe Eduardo s’umilia ai vostri piedi,
e per questi favori, sulla sua spada di guerra
egli vota perpetuo omaggio a voi,
che rendete questi onori ad Eleonora.

Re Arrigo.
Gran mercè, signori; il vecchio Plantageneta,
1810
che governa e regge il diadema d’Albione,
con lagrime scorge queste gioie da lui concepite,
e fa voto di ricambiarle, se i suoi uomini d’arme,
la fortuna dell’Inghilterra, o i dovuti onori resi
ad Eleonora, possono compensare coloro che lo favoriscono.
1815
Ma frattanto che dite voi alle dame,
che splendono come lampade cristalline del cielo?

Imperatore.
Se sola una terza fosse aggiunta a queste due,
esse supererebbero quelle superbe immagini,
che fecero glorioso l’Ida col tesoro della loro opulenta bellezza.

Margherita.
1820
A me spetta, miei signori, umilmente su’ miei ginocchi
porgere le mie orazioni al potente Giove
per aver elevato la sua ancella a questo grado;
portatala dal suo modesto tugurio alla corte,
e fattala onorare da re, principi e imperatori,
1825
ai quali (dopo che al nobile conte di Lincoln)
io prometto obbedienza, e quell’umile amore
che può un ancella a così potenti uomini.

Principessa Eleonora.
Tu uomo guerriero che porti la corona d’Alemagna,
e voi potenti sovrani occidentali,
1830
la Principessa d’Albione, moglie d’Eduardo d’Inghilterra,
orgogliosa che l’amabile stella di Fressingfield,
la bella Margherita, consorte del conte di Lincoln,
sia al seguito di Eleonora, — gran mercè, signore, per lei, —
io rendo grazie per Margherita, a voi tutti,
1835
e resto per il suo debito obbligata a voi.

Re Arrigo.
Vedendo che il matrimonio è stato celebrato,
marciamo in trionfo alla festa reale. —
Ma perchè sta qui fra Bacone così muto?

Bacone.
Contrito per le follie della mia giovinezza,
1840
che i segreti misteri della magia traviarono,
e lieto che questo regale matrimonio
presagisca tante felicità a questo incomparabile reame.

Re Arrigo.
Perchè, Bacone, quale singolare evento accadrà questa terra?
O che cosa nascerà da Eduardo, e dalla sua regina?

Bacone.
1845
Io trovo per la profondo prescienza della mia arte,
che una volta io temperava nella mia segreta cella,
che qui dove Bruto edificò la sua Troia Nuova,
fuori dal regale giardino d’un re
fiorirà un così ricco e bel bocciolo,
1850
il cui splendore farà sfigurare il magnifico flore di Febo,
e coprirà d’ombra Albione con le sue foglie.
Fino ad allora Marte sarà signore del campo,
ma allora le tempestose minacce della guerra cesseranno:
il cavallo scalpiterà come incurante della picca,
1855
i tamburi saran mutati in cembali di piacere;
con doviziosi favori l’abbondanza arricchirà
la piaggia che rese felice a vederla l’errante Bruto,
e pace dal cielo ricovererà fra queste foglie,
che superbe abbelliscono questo incomparabile fiore:
1860
l’eliotropio d’Apollo allora s’abbasserà,
e il giacinto di Venere chinerà la sua cima,
e Giunone chiuderà le sue violacciocche,
e l’allora di Pallade umilierà il suo verde più brillante;
il garofano di Cerere, in compagnia con questi,
1865
s’inchinerà ed ammirerà la rosa di Diana.

Re Arrigo.
Questa profezia è musica. —
Ma, gloriosi sovrani dell’amore dell’Europa,
che fate la bella Inghilterra simile a quella ricca isola
cinta dal Gihen e dal rapido Eufrate,
1870
rendendo regali onori all’Albione d’Arrigo,
con la presenza della vostra principesca possanza, —
marciamo: le tavole son tutte apparecchiate,
e vivande, quali offre la ricchezza d’Inghilterra,
sono pronte per fornire appieno le mense.
1875
Voi avrete il benvenuto, potenti sovrani:
resta, per compiere questa festa regale,
solo che i vostri cuori siano gai; perchè il tempo
richiede che non assaporiamo altro che gioia.
Così si gloria l’Inghilterra su tutto l’occidente.

Exeunt omnes.
Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci.