SCENA II
La strada presso Gadshill.
Entrano il PRINCIPE ENRICO e POINS.
Poins.
Venite; nascondiamoci, nascondiamoci: ho portato via il cavallo di Falstaff ed egli si logora come il velluto gommato.
Principe Enrico.
Tienti nascosto.
Entra FALSTAFF.
Falstaff.
Poins! Poins! ti possano impiccare! Poins!
Principe Enrico.
[avanzando] Silenzio, birbante dagli arnioni lardosi! Cosa vai sbraitando?
Falstaff.
Dov’è Poins, Rigo?
Principe Enrico.
È andato su in cima al colle: andrò a cercarlo
[Fa finta di cercare Poins.
Falstaff.
Io son maledetto perché rubo in compagnia di quel ladro. Il briccone ha portato via il mio cavallo e lo ha legato non so dove. Se devo camminare ancora quattro piedi precisi, misurati con la squadra, non avrò più fiato. Ecco, non dubito di morire d’una bella morte, dopo tutto, se sfuggo alla forca per aver ucciso quel furfante. Son vent’anni che tute le ore giuro di abbandonare la sua compagnia, eppure eccomi qui ammaliato dalla compagnia di questo furfante. Se il briccone non mi ha dato qualche pozione per farsi amare da me, vuo’ essere impiccato. Non può essere diversamente: io ho bevuto qualche pozione. Poins! Rigo! Che la peste vi colga tutti e due! Bardolfo! Peto! Voglio morir di fame se faccio un passo di più per rubare. Se diventare un galantuomo e piantare questi furfanti non è un’azione buona quanto bere un bicchier di vino, io mi riconosco per il più gran mariolo che abbia mai masticato con un dente. Otto metri di terreno malpari fan per me come settanta miglia a piedi, e quei birbanti dal cuore di pietra lo sanno bene. Accidenti a tutto! Quando i ladri non sanno essere fedeli l’uno all’altro!
[Fischiano] Che vi prenda la peste a tutti! Datemi il mio cavallo, furfanti, e che v’impicchino!
Principe Enrico.
[venendo avanti] Silenzio, pancione! Sdraiati giù, metti l’orecchio a terra, e ascolta se senti il passo di viaggiatori.
Falstaff.
Avete delle leve per rialzarmi quando sarò giù? Pel sangue d’Iddio, non porterò più la mia carne così lontana a piedi, per tutto il denaro che è nelle casse di tuo padre. Che canchero vi piglia di uccellarmi così?
Principe Enrico.
Tu menti; tu non sei uccellato; sei scavalcato.
Falstaff.
Ti prego, buon principe Righetto, aiutami a ritrovare il mio cavallo, buon figlio di re!
Principe Enrico.
Ma va via, briccone! Sono forse il tuo stalliere?
Falstaff.
Va, appiccati con le tue giarrettiere di erede presuntivo! Se non preso, vi farò la spia. Se non farò fare delle ballate su tutti voi, contate su arie da trivio, vuo’ che un bicchier di vin di Spagna mi sia di veleno. Quando uno scherzo è così spinto, e a piedi per di più, io lo detesto.
Entra GADSHILL.
Falstaff.
Così faccio mio malgrado.
Poins.
Oh! ecco il nostro palo; conosco la sua voce.
Gadshill.
Imbacuccatevi, imbacuccatevi, mettetevi le maschere: c’è denaro del re che scende dalla collina; va alle casse del re.
Falstaff.
Menti, furfante, va alla taverna del re.
Gadshill.
Ce n’è abbastanza per tutti.
Falstaff.
Già, di forche.
Principe Enrico.
Messeri, voi quattro li affronterete nello stretto sentiero; Edoardo Poins ed io andremo più in giù; se sfuggono al vostro attacco s’imbatteranno in noi.
Gadshill.
Circa otto o dieci.
Falstaff.
Perdio! Non ruberanno essi a noi?
Principe Enrico.
Che! Sareste un codardo, ser Giovanni Pancia?
Falstaff.
In verità, non sono Giovanni di Gand, vostro nonno, ma però non sono un codardo, Rigo.
Principe Enrico.
Bene, lo vedremo alla prova.
Poins.
Compare Gianni, il tuo cavallo è dietro la siepe; quando ne avrai bisogno lo troverai là. Addio e tieni fermo.
Falstaff.
Oh, poterlo picchiare, dovessi essere appiccato.
Principe Enrico.
[a parte a Poins.] Ned, dove sono i nostri travestimenti?
Poins.
Qui vicino: seguitemi.
[Escono il principe Enrico e Poins.
Falstaff.
Ora, padroni miei, buona fortuna, dico io, e ognuno badi alle sue faccende.
Entrano i viaggiatori.
Primo viaggiatore.
Vieni, compare; il ragazzo condurrà i nostri cavalli giù dalla cllina e noi ce n’andremo un po’ a piedi per sgranchirci le gambe.
Viaggiatori.
Gesù ci benedica!
Falstaff.
Colpite! Accoppateli, tagliategli il collo a questi birbanti! Ah! bruchi figli di bagasce! Bricconi ingrassati a prosciutto! Costoro ci odiano, noialtri giovani; accoppateli! Tosateli!
Viaggiatori.
Oh! Siamo rovinati per sempre, noi e tutto quello che possediamo.
Falstaff.
Appiccatevi! Bricconi panciuti! Siete rovinati? No, grassi marrani, magari aveste qui tutti i vostri tesori! Avanti, coticoni! Avanti! E che, furfanti! I giovani devoo pur campare. Voi siete grandi giurati, non è vero? Vi faremo giurar noi, in fede mia.
[Esce Falstaff ecc. Spingendo avanti i viaggiatori.
Rientrano il PRINCIPE ENRICO e POINS travestiti.
Principe Enrico.
I ladri hanno legato i galantuomini. Se tu ed io potessimo ora derubare i ladri e andarcene allegramente a Londra, sarebbe argomento di conversazione per una settimana, di risate per un mese, e ce ne ricorderemmo sempre come di un bello scherzo.
Poins.
State nascosto; li sento venire.
Rientrano i ladri.
Falstaff.
Venite, padroni miei, dividiamo, e poi a cavallo prima che venga giorno. Se il principe e Poins non sono due codardi matricolati, non c’è giustizia al mondo: non c’è più valore in quel Poins che in un’anatra selvatica.
Principe Enrico.
Fuori il denaro!
[Mentre stanno dividendo, il Principe e Poins saltano loro addosso. Scappano tutti, e Falstaff, dopo aver scambiato un colpo o due, fugge anche lui abbandonando il bottino.
Principe Enrico.
Preso con molta facilità. Ora saltiamo allegramente a cavallo; i ladri sono dispersi e così presi da paura che non osano incontrarsi l’un l’altro; ognuno prende il compagno per un ufficiale. Andiamo, buon Edoardo. Falstaff suda a morte e ingrassa la terra sterile mentre cammina. Se non mi facesse ridere lo compiangerei.
Poins.
Come ruggiva il furfante!
[Escono.
SCENA IV.
La taverna della Testa di Cinghiale a Eastcheap.
Entrano il PRINCIPE ENRICO e POINS
Principe Enrico.
Edoardo, ti prego, esci fuori da quella stanza appiccicosa e aiutami a ridere un poco.
Poins.
Dove sei stato, Rigo?
Principe Enrico.
Con tre o quattro indòtti, fra tre o quattro ventine di botti. Ho toccato la corda più bassa dell’umiltà- Sor tale, io son fratello giurato di un terzetto di tavernai e posso chiamarli coi loro nomi di battesimo, come Maso, Riccardo e Cecco. Essi giurano già sulla loro salute eterna che, sebbene io sia soltanto principe di Galle, pure sono il re della cortesia; e mi dicono chiaramente che non sono uno Zanni superbo come Falstaff, ma un corinzio, un giovanotto di temperamento ardente, un buon ragazzo – perdio! mi chiamano così – e quando sarò re d’Inghilterra comanderò tutti i buoni ragazzi di Eastcheap. Bere molto essi lo chiamano tingere in scarlatto, e se voi nel bagnarvi la gola prendete fiato, essi gridano «Hem!» e vi dicono di tirar giù d’un colpo. Per concludere, ho fatto tanti progressi in un quarto d’ora che posso bere per tutta la vita con qualunque calderaio, parlando il suo proprio gergo. Ti dirò, Edoardo, che tu hai perduto molto onore per non essere stato con me in questa azione. Ma, dolce Edoardo, per raddolcire il qual nome di Edoardo io ti do questi due soldi di zucchero che mi mise or ora tra le mani un sottotavernaio, uno che non parlò mai altro inglese in vita sua che «otto scellini e sei denari» e «siete il benvenuto», con quest’aggiunta squillante, «subito, subito, signore! Segnate una pinta di moscato per la Mezzaluna» e così via. Ma, Edoardo, per far passare il tempo finché Falstaff non venga, ti prego, appostati in qualche stanza qui accanto, mentr’io domanderò al mio garzoncello per qual motivo mi ha dato lo zucchero; e tu non smetter mai di chiamare «Cecco!» affinché egli non possa farmi altro racconto che «subito». Fatti da parte e io ti mostrerò come si fa.
[Esce Poins.
Principe Enrico.
A meraviglia.
Entra CECCO.
Cecco.
Subito, subito, messere. Guarda se occorre niente nella stanza della Melagrana, Dolfo.
Principe Enrico.
Vieni qui, Cecco.
Principe Enrico.
Quanto tempo hai da servire, cecco?
Cecco.
In fede mia, cinque anni e altrettanto da...
Poins.
[di dentro] Cecco!
Cecco.
Subito, subito, messere.
Principe Enrico.
Cinque anni! Per la Madonna! Una lunga ferma per far risonare le stoviglie di peltro. Ma, Cecco, oserai esser così valoroso da fare il codardo col tuo impegno e mostrargli un bel paio di tacchi e fuggir via da lui?
Cecco.
O Dio, messere, io giungerei su tutti i libri d’Inghilterra ch’io avrei cuore...
Poins.
[di dentro] Cecco!
Cecco.
Subito, subito, signore.
Principe Enrico.
Quanti anni hai, Cecco?
Cecco.
Lasciate che veda... verso il prossimo San Michele avrò...
Poins.
[di dentro] Cecco!
Cecco.
Subito, messere. Vi prego, mio signore, aspettate un momento.
Principe Enrico.
Sì, ma ascoltate, Cecco: per lo zucchero che tu mi hai dato, erano due soldi, non è vero?
Cecco.
O Dio, vorrei che fossero stati quattro!
Principe Enrico.
Ti darò per esso mille sterline; domandamele quando vuoi e tu le avrai.
Poins.
[di dentro] Cecco!
Principe Enrico.
Subito, Cecco? No, Cecco; ma domani, Cecco; oppure, Cecco. Giovedì, oppure, in verità, Cecco, quando tu vuoi. Ma, Cecco...
Principe Enrico.
Vuoi tu derubare questa giubba di cuoio coi bottoni di cristallo, questa testa rapata, quest’anello d’agata, queste calze cenerognole con giarrettiere di saia, questa lingua melata e borsa spagnola....
Cecco.
O Dio, messere, cosa volete dire?
Principe Enrico.
Ebbene dunque, il vostro moscato scuro è la vostra sola bevanda; poiché, vedete, Cecco, il vostro farsetto di tela bianca diventa sudicio. In Barbaria, messere, non può costar tanto.
Poins.
[di dentro] Cecco!
Principe Enrico.
Vattene, briccone! Non senti che ti chiamano?
[Qui tutti e due lo chiamano: il garzone resta imbarazzato non sapendo da che parte andare.
Entra l’Oste.
Oste.
Che! Te ne stai lì fermo mentre tutti ti chiamano? Attendi agli ospiti là dentro.
[Esce Cecco]
Mio signore, il vecchio sir Giovanni con un’altra mezza dozzina è alla porta: li devo fare entrare?
Principe Enrico.
Lasciali lì un momento e poi apri la porta.
[Esce l’Oste]
Poins!
Rienta POINS.
Poins.
Subito, subito, messere.
Principe Enrico.
Compare, Falstaff e gli altri ladri sono alla porta: staremo allegri?
Poins.
Allegri come grilli, ragazzo mio. Ma dite su: che sugo ci avete cavato da questo scherzo fatto al garzone? Sentiamo a che v’è servito?
Principe Enrico.
Ora ho addosso tutti i ghiribizzi che sono stati ghiribizzi dagli giorni del buon padre Adamo fino alla giovinezza di questa presente mezzanotte. Che ore sono, Cecco?
Cecco
[di dentro]. Subito, subito, messere.
Principe Enrico.
Ma che questo ragazzo debba aver sempre meno parole di un pappagallo, eppur esser figlio di donna! Tutta la sua industria sta nell’andar su e giù per le scale, tutta la sua eloquenza nel dire la cifra di un conto. Io non la penso ancora come Percy, l’Hotspur del nord; quegli che mi uccide sei o sette dozzine di scozzesi a colazione, si lava le mani e dice alla moglie: «Accidenti a questa vita tranquilla! ho bisogna di lavorare» : «O mio dolce Arrigo», dice lei, «quanti ne hai uccisi quest’oggi?», «Dai da bere al mio cavallo roano», dice lui; e risponde «Circa quattordici», un’ora dopo; «un’inezia, un’inezia». Ti prego, fa entrare Falstaff: io farò la parte di Percy a quel dannato maiale farà dama Mortimer, sua moglie. «Trinca!» dice l’ubriaco. Fa entrare Buzzo, fa entrare Sego.
Entrano FALSTAFF, GADSHILL, BARDOLFO e PETO seguiti da CECCO con vino.
Poins.
Benvenuto, Gianni, dove sei stato?
Falstaff.
Peste a tutti i codardi, dico io, e di quella buona pure! Per la Madonna e amen! Dammi un bicchiere di vin di Spagna, garzone. Piuttosto che condurre a lungo questa vita, voglio far calze, rammendarle e anche farci il piede. Peste a tutti i codardi! Dammi un bicchiere di vin di Spagna, briccone. Non c’è dunque più coraggio a questo mondo?
[Beve.
Principe Enrico.
Hai veduto mai Febo baciare un panino di burro? Quella creatura di cuor tenero, che si liquefaceva alla dolce dichiarazione del sole? Se tu l’hai veduto, guarda allora quella mantèca.
Falstaff.
Briccone che sei, c’è anche della calce in questo vin di Spagna: in un briccone non si può trovare che della furfanteria: pure un codardo è peggiore di un bicchiere di vin di Spagna con dentro della calce. Un briccone codardo. Va per la tua strada, vecchio Gianni, muori quando vuoi; se la forza virile, la vera forza virile non è cosa dimenticata sulla faccia della terra, io sono allora un’aringa senza latte. Non vi sono tre galantuomini in Inghilterra che non siano ancora stati impiccati, e un di loro è grasso e sta invecchiando. Dio ci aiuti intanto! Un brutto mondo, dico io. Vorrei essere un tessitore; potrei cantar salmi o qualunque altra cosa. Peste a tutti i codardi, non mi stanco di ripetere.
Principe Enrico.
Ebbene, dunque, sacco di lana? Cosa vai brontolando?
Falstaff.
Un figlio di re! Se non ti batto fuori dal tuo regno con una spada di legno e caccio tutti i tuoi sudditi innanzi a te come un gregge di oche selvatiche, non vuo’ più portare peli sul viso. Voi, principe di Galles!
Principe Enrico.
Ma insomma, pallone figlio di una bagascia, che è successo?
Falstaff.
Non siete voi un codardo? Rispondete a questo; e anche Poins là.
Poins.
Pel sangue di Dio! Pancione, se mi chiamate codardo, pel Signore, ti pugnalerò.
Falstaff.
Io chiamarti codardo! Ti voglio veder dannato prima di chiamarti codardo; ma darei mille sterline se potessi correre veloce come te. Avete le spalle abbastanza diritte e non v’importa se vi vedono il dorso. E chiamate questo spalleggiare i vostri amici? Il canchero a codesto spalleggiare! Datemi gente che mi sappia star di fronte. Dammi un bicchiere di vin di Spagna: sono un briccone se oggi ho bevuto.
Principe Enrico.
O furfante! Le tue labbra non sono ancora asciutte dell’ultimo sorso.
Falstaff.
Non importa nulla.
[Beve] Peste a tutti i codardi, dico ancora.
Principe Enrico.
Che c’è?
Falstaff.
Che c’è? C’è che quattro di noi qui hanno preso mille sterline questa mattina.
Principe Enrico.
Dove sono, Gianni? Dove sono?
Falstaff.
Dove sono? Portate via ci sono state! Centro addosso a noi poveri quattro.
Principe Enrico.
Che! Cento, amico mio?
Falstaff.
Sono un birbante se non ho incrociato la spada con una dozzina di loro per due ore di seguito. L’ho scampata per miracolo. Ho avuto otto puntate attraverso il mio giustacuore, quattro attraverso le brache, il mio brocchiere è stato passato da parte a parte; la mia spada intaccata come una sega: ecce signum! Non combattei mai meglio dacché son uomo: tutto è stato inutile. Peste a tutti i codardi! Che parlino: se dicono più o meno della verità, sono dei furfanti e figli delle tenebre.
Principe Enrico.
Parlate, messeri; com’è andata?
Gadshill.
Noi quattro piombammo addosso a circa una dozzina…
Falstaff.
Sedici almeno, signor mio.
Peto.
No, no, non furono legati.
Falstaff.
Briccone! Furon tutti quanti legati, tutti, o io sono un giudeo, un ebreo giudeo.
Gadshill.
Mentre stavamo dividendo, un sette o otto uomini freschi ci piombarono addosso.
Falstaff.
E slegarono gli altri, e poi ne vennero ancora.
Principe Enrico.
Che! Avete combattuto contro tutti?
Falstaff.
Tutti? Non so cosa vogliate dir con tutti, ma se io non ho combattuto con cinquanta di loro, sono un mazzo di radici. Se non ce n’erano cinquantadue o cinquantatré sul povero vecchio Gianni, non sono allora una creatura a due gambe.
Principe Enrico.
Pregate Iddio di non averne ucciso qualcuno.
Falstaff.
Che! Oramai le preghiere non giovan più! Ne ho cucinati due; son sicuro di averne serviti due, due bricconi in abito di bucherame. Io ti dico il vero, Rigo; se ti dico una bugia, sputami in faccia, chiamami rozza. Tu conosci la mia vecchia messa in guardia… io stavo così e tenevo la punta a questo modo: quattro bricconi in bucherame mi piombarono addosso…
Principe Enrico.
Come! Quattro? Tu hai detto or ora soltanto due.
Falstaff.
Quattro, Rigo; ti ho detto quattro.
Poins.
Sì, sì, ha detto quattro.
Falstaff.
Questi quattro venivano di fronte e puntarono con gran vigore contro di me. Io non mi scomposi per questo, ma presi le loro sette punte sul mio scudo, così.
Principe Enrico.
Sette? Ma se or ora non ce n’eran che quattro?
Poins.
Sì quattro in abiti di bucherame.
Falstaff.
Sette per quest’elsa! o io sono uno scellerato.
Principe Enrico.
Ti prego, lascialo dire; tra poco ce ne saranno di più.
Falstaff.
Mi stai a sentire, Rigo?
Principe Enrico.
Sì, e sono anche tutto orecchi, Gianni.
Falstaff.
Fai bene poiché questo val la pena di essere ascoltato. Questi nove in bucherame, dei quali ti parlavo…
Principe Enrico.
Bene, già due di più.
Falstaff.
Essendosi spezzate le loro punte…
Poins.
Giù caddero le loro brache.
Falstaff.
Cominciarono a cedermi terreno; ma io li incalzai da presso, li attaccai a corpo a corpo, e rapido come il pensiero, sette degli undici ne servii.
Principe Enrico.
O mostruoso! Undici uomini in bucherame scaturiti fuori da due!
Falstaff.
Ma, come volle il diavolo, tre malnati bricconi vestiti di verde di Kendal mi vennero dietro e si buttarono su di me… perché era così buio, Rigo, che tu non avresti potuto veder la tua mano.
Principe Enrico.
Queste menzogne son simili al padre che le genera: grosse come montagne, evidenti, palpabili. Ma come, trippone dal cervello di creta, sciocco zuccone, figlio di puttana, svergognato, barile di sego bisunto…
Falstaff.
Che! Sei pazzo? Sei pazzo? La verità non è verità?
Principe Enrico.
Ma come hai potuto conoscere questi uomini vestiti di verde di Kendal, se era così buio che tu non potevi veder la tua mano? Andiamo, dicci la tua ragione: cosa rispondi a questo?
Poins.
Andiamo, fuori la vostra ragione, Gianni! la vostra ragione!
Falstaff.
Che! per forza? Sanguediddio; fossi alla corda o su tutti i cavalletti del mondo non ve la direi per forza. Darvi un grano di ragione per forza! Se codesti grani fossero abbondanti come le more, non darei a nessun uomo una ragione per forza, io.
Principe Enrico.
Non voglio più a lungo esser colpevole di questo peccate. Questo florido codardo, questo pigialetto, questo ammazzacavalli, questa enorme montagna di carne…
Falstaff.
Va là, tisichello, pelle d’anguilla, lingua di bue disseccata, nerbo di toro, stoccafisso – oh, datemi fiato per dir tutto quello che ti somiglia! – auna da sartore, fodero di spada, turcasso, tu, vile stocco incantato…
Principe Enrico.
Benone! Piglia fiato e poi ricomincia. Quando ti sarai stancato di questi volgari paragoni, lascia che ti dica soltanto queste due parole.
Poins.
Sta attento, Gianni.
Principe Enrico.
Noi due vedemmo voi quattro piombare su altri, quattro, legarli e impadronirvi del loro denaro. Sta’ ora a sentire, come un racconto assai semplice ti tapperà la bocca. Allora noi due piombammo su voialtri quattro e in un battibaleno vi spaventammo, facendovi abbandonare il bottino che teniamo con noi, sissignore, e che possiamo mostrarvi qui in questa casa. E voi, Falstaff, portaste via la vostra trippa assai alla svelta, con sì agil destrezza, e mugliavate chiedendo misericordia, e continuavate a correre e a mugliare come non ho mai sentito fare a un torello. Manigoldo che non sei altro, intaccare la tua spada come hai fatto e poi contare che fu nel combattimento! Che gherminella, che invenzione, quale scappatoia potrai ora tirar fuori per sottrarti a questa evidente e manifesta vergogna?
Poins.
Via! sentiamo, Gianni, che gherminella inventerai?
Falstaff.
Per Iddio! Io vi riconobbi come colui che vi ha fatti. Ecco qua, ascoltatemi, padroni miei. Toccava a me uccidere l’erede apparente? Dovevo io volgermi contro il principe legittimo? Tu sai bene ch’io sono valoroso come Ercole, ma badate all’istinto; il leone non toccherà mai il vero principe. L’istinto è una gran cosa; ecco, io sono stato codardo per istinto. Non ne avrò che migliore opinione di te e di me finché vivrò; di me, come leone coraggioso; di te, come vero principe. Ma, per Iddio! ragazzi, io son lieto che voi abbiate il denaro. Ostessa, chiudete le porte: vegliate stanotte, pregherete domani. Galanti, cavalieri, giovani, ragazzi, cuori d’oro, a voi tutti i titoli della cordiale amicizia! Che! Non staremo allegri? Improvviseremo una commedia?
Principe Enrico.
Accetto e l’argomento sarà… la tua fuga.
Falstaff.
Oh! Non parlar più di questo, Rigo, se mi vuoi bene!
Entra l’Ostessa.
Ostessa.
O Gesù, monsignore il principe…
Principe Enrico.
Che c’è, madonna ostessa? Che mi dici?
Ostessa.
Per la Vergine! signor mio, c’è alla porta un nobile uomo della corte che vorrebbe parlar con voi. Dice che viene da parte di vostro padre.
Principe Enrico.
Dagli quello che gli manca per diventare un reale uomo e rimandalo da mia madre.
Falstaff.
Che sorta d’uomo è?
Falstaff.
Cosa fa la gravità fuor dal letto a mezzanotte? Gli darò la sua risposta?
Principe Enrico.
Fallo, ti prego, Gianni.
Falstaff.
In fede mia, gli farò far fagotto alla svelta.
[Esce.
Principe Enrico.
Ora a voi, messeri: per la Madonna! vi siete battuti bene! voi Peto, e voi pure Bardolfo! Anche voialtri siete leoni che fuggite via per istinto; non volete toccare il vero principe, eh no, vergogna!
Bardolfo.
In fede mia! Io son fuggito quando ho visto fuggir gli altri.
Principe Enrico.
In fede mia! Ditemi, sul serio, come è successo che la spada di Falstaff è così intaccata?
Peto.
Ecco, l’ha intaccata lui con il suo pugnale e ha detto che avrebbe, a forza di giuramenti, cacciato la verità fuori dell’Inghilterra, se non vi avesse fatto credere che ciò era avvenuto combattendo, e ha persuaso noi pure a fare altrettanto.
Bardolfo.
Sì, e a fregarci i nasi col ranuncolo delle passere per farli sanguinare, a imbrattarci gli abiti e giurare ch’era sangue di galantuomini. Io ho fatto quel che non facevo da sette anni: ho arrossito ascoltando i suoi mostruosi inganni.
Principe Enrico.
O briccone! Tu rubasti un bicchiere di bin di Spagna diciotto anni fa e colto in flagrante e, d’allora in poi, hai sempre avuto dei rossori estemporanei. Tu avrei fuoco e spada al tuo fianco eppure sei fuggito: quale istinto ti spinse a farlo?
Bardolfo.
[mostrando il viso] Signor mio, vedete queste meteore? Osservate questi fuochi?
Principe Enrico.
Li vedo.
Bardolfo.
Cosa pensate che ciò significhi?
Principe Enrico.
Fegato caldo e borsa fredda.
Bardolfo.
Collera, mio signore, se giustamente compresa.
Principe Enrico.
No, se preso giustamente, capestro.
Rientra FALSTAFF.
Ecco che viene il magro Gianni, ecco che viene osso scarnito, Ebbene, mia dolce creatura imbottita di vento? Quanto tempo è, Gianni, dacché ti sei veduto il ginocchio?
Falstaff.
Il mio ginocchio? Quando avevo press’a poco i tuoi anni, Rigo, avevo la vita più sottile d’un artiglio d’aquila; sarei potuto passare attraverso l’anello di un anziano. Al diavolo i sospiti e i dispiaceri! Fan gonfiare un uomo come una vescica. Ci son brutte notizie in giro: c’è stato qui sir Giovanni Bracy da parte di vostro padre; in mattinata dovete andare alla corte. Quel pazzo del nord, Percy, e quello di Galles, che bastonò Amaimon e fece cornuto Lucifero e fece giurare al diavolo sulla croce di una alabarda gallese d’essere suo fedele vassallo… cànchero! come se chiama?
Falstaff.
Owen, Owen – proprio lui – e suo genero Mortimer e il vecchio Northumberland e quel vivacissimo scozzese tra tutti gli scozzesi, Douglas, che corre a cavallo su una collina a perpendicolo…
Principe Enrico.
Quello che cavalca a gran carriera e con la pistola uccide un passero che vola.
Falstaff.
Avete colpito giusto.
Principe Enrico.
Ma lui non colpì mai il passero.
Falstaff.
Ma quella granbestia ha del coraggio; non sa darsela a gambe.
Principe Enrico.
E allora, granbestia che sei, perché lo lodi per esser così destro a correre?
Falstaff.
A cavallo, allocco che sei! Ma a piedi non si sposta d’un passo.
Principe Enrico.
Sì, Gianni, per istinto.
Falstaff.
Siam d’accordo, per istinto. Dunque c’è anche lui, e un certo Mordake, e mille altri berretti azzurri. Worcester è partito di nascosto questa notte; la barba di tuo padre è diventata bianca a queste notizie: e ora si può acquistar terreni a buon mercato come dello sgombra andato a male.
Principe Enrico.
Allora è probabile, se viene un giugno caldo e queste zuffe civili continuano, che noi compreremo musi di tinca come si comprano le bullette; tanto al cento.
Falstaff.
Per la messa! Ragazzo, tu dici il vero; è probabile che avremo un buon traffico in quel genere. Ma dimmi, Rigo, non hai tu una terribile paura? Nella tua condizione di erede apparente poteva il mondo sceglierti the nemici come quel demonio di Douglas, quello spiritato di Percy e quel diavolo di Glendower? Non hai una terribile paura? Non ti si ghiaccia il sangue solo a pensarci?
Principe Enrico.
Neppure per ombra; in fede mia, mi manca un po’ del tuo istinto.
Falstaff.
Be’, tu sarai tremendamente sgridato domani quando vai da tuo padre; se mi vuoi bene, preparati a rispondergli.
Principe Enrico.
Tu fa la parte di mio padre, e interrogami sui particolari della mia vita.
Falstaff.
Devo farlo? Acconsento! Questa sedia sarà il mio trono, questo pugnale il mio scettro, e questo cuscino la mia corona.
Principe Enrico.
Il tuo trono è preso per un trespolo, il tuo scettro d’oro per un pugnale di latta, e la tua preziosa e ricca corona di calvizie!
Falstaff.
Ebbene, se il fuoco della grazia non si è in te completamente spento, tu ora ti sentirai commosso. Dammi un bicchiere di vin di Spagna, ché i miei occhi diventino rossi, onde si possa credere che io ho pianto, perché devo parlare appassionatamente, e lo farò nel tono del re Cambise.
Principe Enrico.
Ecco qui la mia riverenza.
Falstaff.
Ed ecco qui il mio discorso. Fate ala, nobili signori.
Ostessa.
O Gesù! Questo è davvero un bel divertimento!
Falstaff.
Dolce regina, omai più non piangete;
vano è questo di pianti stillicidio.
Ostessa.
O, il padre! Come sta contegnoso!
Falstaff.
Per Dio, signori, la regina afflitta
via conducete, ché le cateratte
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degli occhi suoi l’onda del pianto occlude.
Ostessa.
O Gesù! Egli recita proprio come uno di quegli scalzacani di commedianti ch’io ho veduto.
Falstaff.
Pace! mio buon quartino; pace! mio buon cicchetto. Rigo, non solo mi meraviglia dove tu passi il tuo tempo, ma anche con chi ti accompagni; poiché sebbene la camomilla più è calpestata e più cresce rigogliosa, pure la gioventù, più è sciupata, più presto si consuma. Che tu sia mio figlio, io ho in parte la parola di tua madre, in parte la mia opinione, ma soprattutto me ne assicura un certo vezzo perverso del tuo occhio, e un certo lascivo penzolare del labbro inferiore. Se dunque tu mi sei figlio, ecco qui il punto difficile: perché essendomi figlio sei tu così segnato a dito! L’almo figlio da domandarsi. Il figlio del re d’Inghilterra diverrà un ladro e ruberà le borse? È una domanda che uno può fare. Vi è una cosa, Arrigo, di cui tu hai spesso sentito parlare, e che è conosciuta a molti della nostra terra col nome di pece. Questa pece, come ci riferiscono antichi scrittori, insudicia assai; così fa la compagnia che tu frequenti, poiché, Arrigo, ora non ti parlo tra i fumi del vino, ma tra le lacrime; non con gioia, ma con noia; non con le parole soltanto, ma anche con le querele... Eppure c'è un uomo virtuoso, ch'io ho spesso osservato in tua compagnia, ma non ne conosco il nome.
Principe Enrico.
Che sorta d'uomo è, piaccia a Vostra Maestà?
Falstaff.
Un bell'uomo aitante, in fede mia, e corpulento, dall'aspetto gioviale, dall'occhio simpatico e di portamento nobilissimo; penso che la sua età sia di circa cinquant'anni, o, per Nostra Donna, tenda alla sessantina, e, ora che mi sovvengo, si chiama Falstaff. Se quell'uomo fosse dato alla dissolutezza, m'ingannerebbe di molto, ché, Arrigo, nei suoi sguardi io vedo la virtù. Se dunque l'albero si può conoscere dal frutto, come il frutto dall'albero, allora io dico perentoriamente che c'è virtù in quel Falstaff. Sta' con lui, bandisci gli altri. E dimmi ora, vassalletto che non sei altro, dimmi, dove sei stato questo mese?
Principe Enrico.
Parli tu come un re? Via! mettiti al mio posto e io farò la parte di mio padre.
Falstaff.
Mi deponi? Se tu lo saprai fare soltanto con la metà della serietà e maestà mia, tanto nelle parole che nel contenuto, voglio essere appeso per le calcagna come un coniglietto di latte o un leprotto nella bottega d'un pollaiolo.
Principe Enrico.
Ebbene, eccomi qui seduto.
Falstaff.
Ed io son qui in piedi. Giudicate, padroni miei.
Principe Enrico.
Dunque, Arrigo, da dove venite?
Falstaff.
Mio nobile signore, da Eastcheap.
Principe Enrico.
Le lagnanze che odo sul conto tuo sono gravi.
Falstaff.
Pel sangue di Dio, mio signore! sono false. – Ora vi sollazzerò io nella parte di principino, in fede mia!
Principe Enrico.
Tu bestemmi, perverso ragazzo? D'ora innanzi non alzar più gli occhi su di me. Tu sei violentemente trasportato lontano dalla grazia divina: v'è un diavolo che ti sta ai panni sotto le sembianze di un vecchio uomo grasso: una botte d'uomo è il tuo compagno. Perché ti associ con quella cassa di umori, quel moggio di bestialità, quel gonfio fagotto d'idropisia quell'enorme otre di vin di Spagna, quella valigia zeppa di budella, quel bove arrostito di Manningtree, dal ventre infarcito, con quel venerando vizio, quella grigia iniquità, quel padre ruffiano, quell'annosa vanità? A che cosa è egli buono se non a gustare il vin di Spagna e a berlo? In che cosa è accurato e pulito, se non a trinciare un cappone e a mangiarlo? In che cosa è abile, se non nell'astuzia? In che cosa è astuto, se non nelle bricconate? In che cosa è briccone, se non in tutte le cose? In che cosa è valent'uomo, se non in niente?
Falstaff.
Vorrei che Vostra Grazia mi facesse comprender meglio. A chi accenna Vostra Grazia?
Principe Enrico.
A quel briccone abominevole traviatore della gioventù, Falstaff, quel vecchio Satana dalla barba bianca.
Falstaff.
Mio signore, io conosco quell'uomo.
Principe Enrico.
So che lo conosci.
Falstaff.
Ma dire che io conosca in lui più di male che in me stesso, sarebbe dir di più di quello che è a mia conoscenza. Ch'egli sia vecchio - tanto più è peccato! - ne fan fede i suoi capelli bianchi; ma ch'egli sia - con tutto il rispetto per vostra reverenza - un puttaniere, io assolutamente lo nego. Se il vin di Spagna e lo zucchero sono una colpa, che Dio aiuti i malvagi! Se esser vecchio e arzillo è peccato, allora più d'un vecchio compagnone di mia conoscenza sarà dannato; se per esser grassi s'ha da essere odiati, allora le vacche magre del Faraone dovranno essere amate. No, mio buon signore, bandisci Peto, bandisci Bardolfo, bandisci Poins, ma quanto al dolce Gianni Falstaff, al gentile Gianni Falstaff, al fedele Gianni Falstaff, al prode Gianni Falstaff, e tanto più prode in quanto è il vecchio Gianni Falstaff, non lo bandire dalla compagnia del tuo Arrigo, non lo bandire dalla compagnia del tuo Arrigo. Bandire il paffuto Gianni, sarebbe bandire il mondo intero.
Principe Enrico.
Lo bandisco, lo voglio!
[Si ode picchiare. Escono l'Ostessa, Cecco e Bardolfo.
Rientra BARDOLFO correndo.
Bardolfo.
Oh, signor mio! signor mio! Lo sceriffo, con un'enorme ronda, è alla porta.
Falstaff.
Vattene, mariolo che sei! finiamo la farsa. Io ho molto da dire in favore di quel Falstaff.
Rientra l'Ostessa.
Ostessa.
O Gesù! Signor mio! Signor mio!...
Principe Enrico.
Olà! Olà! Il diavolo cavalca su di un archetto di violino. Che c’è?
Ostessa.
Lo sceriffo con tutta la ronda è alla porta: son venuti a perquisire la casa. Li devo fare entrare?
Falstaff.
Mi stai a sentire, Rigo? Non chiamar mai patacca una moneta d'oro genuina: oro è la tua costituzione essenziale, senza parerlo.
Principe Enrico.
E tu un codardo naturale senza istinto.
Falstaff.
Io nego la premessa maggiore: se volete negare l'ingresso allo sceriffo, bene, se no fatelo entrare. Se io non farò sulla carretta bella figura come chiunque altro, al diavolo tutta la mia educazione! Spero che non ci vorrà più tempo a strozzar me col capestro che un altro!
Principe Enrico.
Va, nasconditi dietro l'arazzo: gli altri vadano di sopra. Ora, padroni miei, faccia franca e buona coscienza.
Falstaff.
Le ho avute tutt'e due; ma la loro data è spirata e perciò mi nasconderò.
[Escono tutti meno il Principe e Peto.
Principe Enrico.
Fate entrare lo sceriffo.
Entra lo Sceriffo con un vetturale.
Ebbene, maestro sceriffo, cosa volete da me?
Sceriffo.
Innanzi tutto, vi domando perdono, mio signore. Grida di popolo han seguìto certe persone fin dentro questa casa.
Principe Enrico.
Che sorta d'uomini?
Sceriffo.
Uno di loro è ben conosciuto, mio grazioso signore, un omone grasso.
Vetturale.
Grasso come il burro.
Principe Enrico.
Quest'uomo, ve lo assicuro, non è qui perché l'ho or ora io stesso incaricato d'una commissione e, t'impegno la mia parola, sceriffo, che domani, all'ora di pranzo, lo manderò, perché risponda a te o a qualunque altro di qualunque cosa sarà accusato. E ora permettetemi che vi preghi di lasciar la casa.
Sceriffo.
Così farò, mio signore. Vi sono due galantuomini che in questa aggressione han perduto trecento marchi.
Principe Enrico.
Può darsi: s'egli ha derubato questi uomini, ne sarà responsabile; e con ciò arrivederci.
Sceriffo.
Buona notte, mio nobile signore.
Principe Enrico.
Penso che sia quasi buon giorno, non è così?
Sceriffo.
Invero, signor mio, credo che siano le due.
[Escono lo Sceriffo e il vetturale.
Principe Enrico.
Questo mariolo bisunto è conosciuto come la cattedrale di San Paolo. Va', fallo uscir fuori.
Peto.
Falstaff! È profondamente addormentato dietro l'arazzo e stronfia come un cavallo.
Principe Enrico.
Ascolta con che fatica trae il respiro. Frugagli nelle tasche.
[Peto fruga]
Che hai trovato?
Peto.
Nient'altro che carte, mio signore.
Principe Enrico.
Vediamo che cosa sono; leggile.
Peto.
[legge]. Item un cappone 2 scellini 2 denari; item salsa 4 denari; item vin di Spagna 2 galloni, 5 scellini 8 denari; item acciughe e vin di Spagna dopo cena, 2 scellini 6 denari; item pane, l soldo.
Principe Enrico.
O enormità! Soltanto un soldo di pane per tutta quella quantità di vin di Spagna! Conserva gli altri fogli, ché li leggeremo a nostro agio, e lascialo dormir là fino a giorno. Nella mattinata andrò alla corte. Dobbiam andare tutti alla guerra e tu avrai un posto onorevole. Procurerò a quel grasso mariolo un comando nella fanteria e so che una marcia di duecento metri sarà la sua morte. Il denaro sarà restituito con gl'interessi. Vieni da me a buon'ora domattina; e con ciò buon giorno Peto.
Peto.
Buon giorno, mio buon signore.
[Escono.