SCENA II.
La foresta.
ORLANDO con un foglio in mano.
ORLANDO
Resta qui appesa, o mia canzone, a testimonianza del mio amore. E tu, o Regina della notte tre volte incoronata, mira coi casti occhi, dalla tua superna e pallida sfera, il nome della tua cacciatrice che è signora della mia vita. O Rosalinda, questi alberi saranno i miei libri, e sulla loro corteccia io scriverò i miei pensieri affinchè ogni occhio che guardi in questa foresta veda per ogni dove la testimonianza della tua virtì. Corri, Orlando, corri; incidi sopra ogni albero la bella, la casta, colei chè è impossibile a descriversi.
CORINNO e TOUCHSTONE.
CORINNO
E come vi piace questa vita pastorale, padrón Touchstone?
TOUCHSTONE
A dir la verità, considerata in sè stessa, è una bella vita; ma considerando che è una vita pastorale, non val nulla. Un quanto è una vita solitaria, mi piace assai, ma in quando è una vita da borghesi, è una meschina vita. Ora, avuto riguardo che non si svolge alla Corte è noiosa. In uqnato è una vita frugale, vedete, essa si confà al mio carattere, ma in quanto non offre una maggiore abbondanza, contrasta assai col mio stomaco. Hai tu, o pastore, dentro di te un po’ di filosofía?
CORINNO
Non più di quel tanto per cui capisco che quanto più è malato, tanto per cui caposco che quanto più uno è malato, tanto peggio sta, e che colui che è privo di danaro, di mezzi e di soddisfazioni è privo di tre buoni amici; che la proprietà dell’acqua è di bagnare e quella del fuoco di bruciare, che il buon pascolo rende grasso il gregge, che una delle principali cause della notte è l’assenza nè arte può dolersi della mancanza di una buona educazione, altrimenti egli discende da una stupidissima famiglia.
TOUCHSTONE
Un uomo siffatto è un filosofo naturale. Sei mai stato a Corte, pastore?
TOUCHSTONE
Allora sei dannato.
CORINNO
Ah, spero di no….
TOUCHSTONE
Ma certo, sei rovinato come un uovo fritto male, tutto da una parte sola.
CORINNO
Per non essere stato a Corte? E per qual ragione?
TOUCHSTONE
Eh! perchè se non sei mai stato a Corte, non hai mai conosciuto delle belle maniere, e se non hai mai conosciuto delle belle maniere, le tue maniere sono necessariamente malvage; e la malvagità è un peccato e il peccato è dannazione. Sei in una pericolosa situazione, o pastore.
CORINNO
Nient’affatto, Touchstone. Quelle che sono buone maniere a Corte sono in campagna tanto ridicole quanto le fogge della campagna sono oggetto di beffa a Corte. Mi avete detto che a Corte non vi salutate senza baciarvi le mani; ebbene questa cortigianeria sarebbe poco pulita se i cortigiani fossero dei pastori.
TOUCHSTONE
Dammene la prova. Orsù, la prova, brevemente.
CORINNO
Ebbene, noi stiamo continuamente a toccare le nostre pecore, e voi sapete che la loro pelle è untuosa.
TOUCHSTONE
E le mani del vostri cortigiani-pastori non sudano? E l’untuosità di una pecora non è così sana come il sudore di un uomo? Debole, debole prova. Via, dammene una migliore.
CORINNO
Aggiungete che le nostre mani sono ruvide.
TOUCHSTONE
Le vostre labbra le sentiranno meglio. Anche questa proba è devole. Dammene una più solida.
CORINNO
Ed ese sono sporche della pece con cui medichiamo il nostro gregge. Vorreste che bacciassimo la pece? Le mani dei cortigiani sono profumate di zibetto.
TOUCHSTONE
Oh leggerissimo uomo! Degno pasto di vermi, a differenza di un bel pezzo di carne fresca. Prendi lezione da un saggio, e poi mèditavi su. Lo zibetto è di più vile origine della pece: è il sudicio escremento di un animale. Adduci una prova migliore, pastore.
CORINNO
Voi avete un spirito troppo cortigiano per me. Non continuo.
TOUCHSTONE
Vuoi rimaner dannato? Dio ti aiuti, o sciocco uomo; Dio ti faccia un salasso, perchè sei troppo ingenuo.
CORINNO
Sono un semplice artigiano, signore. Mi guadagno ciò che mangio, mi procaccio ciò che porto addosso: non porto odio a nessuno e non invidio la felicità di nessuno, contento dell’altrui fortuna, rassegnato alle mie disgrazie. Il mio orgoglio più grande è quello di vedere le mie pecore pascolare e i miei agnelli poppare.
TOUCHSTONE
Ecco un altro tuo peccato d’ingenuità: quello di unire insieme pecore e montoni e voler guadagnarti la vita con l’accopiamento del bestiame; fare il mezzano a un montone e abbandonare una pecora di didici mesi a un vecchio bcco di montone dalla curva testa, contro le regole di ogni ragionevole matrimonio. Se non sei dannato per ciò, vuol dire che neppure il diavolo vuol pastori. Io non so vedere in che modo tu possa salvarti.
CORINNO
Ecco che viene a questa volta il giovane padron Ganimede, il fratello della mia nuova padrona.
ROSALINDA legendo un foglio
[ROSALINDA]
Dall’India orientale all’occidentale
Nessun gioigello è pari a Rosalinda.
Il suo merito che galoppa sul dorso del vento
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porta per tutto il mondo il nome di Rosalinda.
Tutti i ritratti meglio disegnati
non sono che orribili on confronteo di Rosalinda.
Che nessun viso resto impresso nella memoria
Fuor che quello così bello di Rosalinda.
TOUCHSTONE
Io potrei rimare a codesto modo per otto anni di seguito, escluse le ore del pranzo, della cena e del sonno. Codesti versi sono proprio come le file delle venditrici di burro che vanno al mercato.
TOUCHSTONE
Tanto per fare una prova.
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Se un cervo sente il bisogno di una cervia
vada in cerca di Rosalinda,
se una gatta va dietro al maschio,
state sicuri che così farà Rosalinda.
Gli abiti da inverno devono essere foderati
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e così debe esser foderata la sottile Rosalinda.
Quelli che mietono devono abbicare e legare
e poi star sul carro insieme con Rosalinda.
La più dolce noche noche ha il mallo più aspro,
ed una simile noce è Rosalinda.
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Chi vuol trovare la rosa più odorosa
Troverà una spina d’amore e Rosalinda.
Questo è un falso galoppo di versi. Perchè volete essere infestata da essi?
ROSALINDA
Taci, sciocco buffone: li ho trovati su un albero.
TOUCHSTONE
In verità l’albero produce dei cattivi frutti.
ROSALINDA
Lo innesterò con te e lo innesterò così con un sorbo. Sarà l’albero che in campagna porterà per il primo i suoi frutti. Perchè tu sarai già marció prima di essere per metà maturo; e questa è la vera qualità del sorbone.
TOUCHSTONE
Così dite voi: se saggiamente o no, lasciate che sia giudice la foresta.
CELIA, con in mano uno scritto.
ROSALINDA
Silenzio! Viene qua mia sorella che legge. Stiamo in disparate.
CELIA
Perchè questo luogo non è popolato
dovrà per questo essere un deserto? No.
Io aprenderò delle lingue a ogni albero
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ed ese impartiranno gravi insegnamenti:
alcune diranno come la breve vita umana
precipita nel suo errante pellegrinaggio
e che la lunghezza du una spanna
abraccia tutta la somma dei suoi anni;
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altre narreranno di giuramenti violati
tra le anime di due amici.
Ma sui più bei rami
o alla fine di ogni periodo,
io scriverò Rosalinda,
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e insegnerò a tutti quelli che leggono a conoscere
che il Cielo volle mostrare in miniatura
la quintessenza di ogni anima.
Perciò il Cielo incaricò la Natura
di riunire in un sol corpo
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tutte le grazie sparse qua e là.
Allora la natura distillò
le guancie di Elena, ma non il suo cuore,
la maestà di Cleopatra,
il miglior prego di Atalanta,
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la severa modestia di Lucrezia…
Così, per un colilio celeste
Rosalinda fu composta
ed ebbe i tratti più altamente apprezati
di molti visi, di molti occhi, di molti cuori.
Il Cielo ha volute che essa avesse tutti questi doni e che io vivessi e morissi suo schiavo.
ROSALINDA
Oh, Giove misericordioso! Con che noiosa omelia d’amore hai stancato i tuoi parrocciani senza dir mai: abbiate pazienza, buena gente!
CELIA
Come, come! Degli amici nascosti? Allontanati un po’, pastore; e tu, furfante, va con lui.
TOUCHSTONE
Vieni, pastore; facciamo un’onore ritirata, se non con armi e bagagli, con borsa e bisaccia.
[Escono.
CELIA
Hai sentito questi versi?
ROSALINDA
Sì, lo ho sentiti tutti; anzi ne ho sentiti di più, perchè alcuni di essi avevano più di quelli che i versi potevano portare.
CELIA
Non importa; erano i piedi che potevano porte i versi.
ROSALINDA
Già; ma i piedi erano zoppi e non potevano regirsi fuori dei versi; per conseguenza zoppicavano anche stando nei versi.
CELIA
Ma non ti sci meraviglia a vedere come il tuo nome è appeso a questi alberi e inciso su di essi?
ROSALINDA
Son già passati, prima del tuo arrivo, sette dei nove giorni che debe durare uno stupore, e non me ne meraviglio più; perchè, guarda qui ciò che ho trovato sopra una palma. Non sono mai stata tanto messa in rima, dal tempo di Pitagora in qua, quando io era una talpa irlandesse: del che difficilmente mi posso ricordare.
CELIA
Indovino chi è l’autore di tutto ciò?
CELIA
E con al collo una catenina che una volta portavi tu. Cambi di colore?
ROSALINDA
Chi è? te ne prego.
CELIA
O Signore, Signore! È difficile agli amici di ritrovarsi, ma le montagen possono cambiar di posto, pero i terremoto, e così incontrarsi.
ROSALINDA
Bene…. ma chi è?
CELIA
È possibile che non indovini?
ROSALINDA
Per carità, − te ne supplico con tutte le mie forze – dimmi chi è.
CELIA
Oh che strana, che strana, che stranissima cosa; e di nuevo che strana cosa oltre ogni dire!
ROSALINDA
Per la mia natura di donna! Credo tu che per quanto io sia bardata come un uomo abbia messo una giacca e i calzoni anche al mio carattere? Un momento ancora che tu tardi è per me un oceano di congeture. Ti prego, dimi subito chi è, dimmelo senza indugiarti. Vorrei che tu potessi diventar balbuciente per la fretta con cui si precipitasse dalla tua bocca il nome di quest’uomo misterioso, come esce il vino fuori da una bottiglia dal collo stretto: o troppo, tutto in una volta, o niente. Ti prego, stappa la tua bocca, perchè io possa bere le tue notizie.
CELIA
Così puoi far entrare un uomo nella tua pancia.
ROSALINDA
È egli fattura di Dio? Che sorta d’uomo è? La sua testa è degna di portare un cappello e il su omento la barba?
CELIA
Eh! non ha che un po’ di barba soltanto.
ROSALINDA
Ebbene, Dio gliene manderà di più se egli saprà essere riconoscente. Mi rassegnerò ad aspettare che la sua barba creca, perchè tu non tardi a descrivermi il suo mento.
CELIA
È il giovane Orlando che ha dato nel medesimo giorno lo sgambetto al lottatore e al tuo cuore.
ROSALINDA
No; al diavolo gli scherzi. Para da ragazza seria e sincera.
CELIA
Sul mio onore, è lui.
ROSALINDA
Oh povera me! Che cosa farò con questo giubbetto e questi calzoni? Che faceva quando lo vedesti? Che diceva? Che aria aveva? Com’era vestito? Che fa qui? Ha chiesto di me? Dove abita? Come si è condegnato da e, e quando lo rivedrai ancora? Rispondimi con una sola parola.
CELIA
Dovresti prima prestarmi la bocca di Gargantua. Sarebbe una parola troppo grande per una bocca di odierne dimensioni. Rispondere con un sì o con un no a tutte codeste particolari domande è molto di più che rispondere al catechismo.
ROSALINDA
Ma sa egi che io sono in questa foresta sotto abiti maschili? Ha lo stessi florido aspetto come il giorno in lottò?
CELIA
È tanto facile contare il pulviscolo quanto rispondere a tutte le domande de in innamorato. Ti darò l’assaggio del come l’ho trovato e tu gustalo con ogni attenzione. L’ho trovato sotto una quercia, come una ghiauda caduta.
ROSALINDA
Ben a ragione si poù chiamare la quercia di Giove, se essa fa cadere un simile frutto.
CELIA
Cara la mia signora, stammi un po’ a sentire.
CELIA
Egli stava là lungo disteso, come un cavaliere ferito.
ROSALINDA
Quantunque triste a vedersi, tuttavia un simile spettacolo si armonizza bene con lo sfondo.
CELIA
Ma trattieni un po’ codesta lingua, te ne prego; essa saltella qua e là fuor di propósito. Era vestito come un cacciatore.
ROSALINDA
O cattivo presagio! Viene per uccidere ciò che qui palpitae vive.
CELIA
Vorrei cantare la mia canzone senza ritornelli. Tu mi fai andaré fuori di tono.
ROSALINDA
Ma non sai che sono donna? Quando pensó ho bisogno di parlare. Continua, mia cara.
ORLANDO e JAQUES
CELIA
Mi fai perdereil filo. Ma zitto! Non è lui che viene da questa parte?
ROSALINDA
È lui. Tiriamoci in disparte e osserviamolo.
JAQUES
Vi ringrazio della vostra compagnia; ma a dir la verità sarei ugualmente contento di essere stato solo.
ORLANDO
È anch’ io. Tuttavia, per educazione, vi ringrazio ancheio della vostra compagnia.
JAQUES
Dio sia con voi dunque, e facciamo in modo d’incontrarci il meno possibile.
ORLANDO
Il mio desiderio è che possiamo diventare più completamente estranei l’uno all’altro.
JAQUES
Fatemi il piacere però di non rovinar più gli alberi con lo scrivere delle canzoni amorose sulle loro corteccie.
ORLANDO
E io vi prego di non rovinare più i miei versi leggendoli così sgrazimente.
JAQUES
E la vostra bella si chiama Rosalinda?
JAQUES
Non mi piace il suo nome.
ORLANDO
Nessuno pensaba a farvi piacere quando la battezzarono.
ORLANDO
Tanto alta da arrivare al mio cuore.
JAQUES
Siete pieno di graziose risposte. Non sureste stato per caso amico di qualche moglie di orefice e le avete apprese dai motti deggli anelli?
ORLANDO
No; ma vi rispondo nello stile dei pannelli dipinti suo quali voi avete imparato le vostre domande.
JAQUES
Avete uno spirito pronto: credo che esso sia stato formato coi talloni d’Atalanta. Volete sedervi qui con me? Ci burleremo tutti e due degli esseri che ci tiranneggiano e di tutta la nostra infelicità.
ORLANDO
Non voglio biasimare alcun essere vivente all’infuori di me, a cui riconosco molti difetti.
JAQUES
Il peggior diffeto che abbiate è quelo di essere innamorato.
ORLANDO
È un difetto che non cambierei colle vostre migliori virtù. Sono stanco di voi.
JAQUES
Sulla mia parola, andavo un cerca di un pazzo quando vi ho trovato.
ORLANDO
Il pazzo si è annegato nel ruscello. Se vi ci specchiate lo vedrete.
JAQUES
Ci vedrò il mio propio simbolo.
ORLANDO
Ch’ io prendo per quello di un pazzo o per quello di uno zero.
JAQUES
Non voglio più perder tempo con voi. Addio, caro signor Amore.
ORLANDO
Son contento che ve n’andiate. Addio, caro Monsieur Malinconia.
ROSALINDA
[piano a CELIA] Vogli parlargli come un lacchè insolente e sotto quest’apparenza giuocar con lui du furberia. Ehi, boscaiolo, mi sentite?
ORLANDO
Benissimo. Che cosa volete?
ROSALINDA
Per piacere che ora è?
ORLANDO
Dovreste dimandarmi piuttosto a che punto del giorno siamo. Non vi sono orologi nella foresta.
ROSALINDA
Vuol dire che nella foresta non c’è un vero amante; altrimenti un sospiro al minuto e un gemito all’ora segnerebbero il lento passo del tempo, tanto bene come un orologio.
ORLANDO
E perchè non il rapido passo del tempo? Non sarebbe una espressione più propia?
ROSALINDA
Nient’affatto, signor mio. Il tempo cammina con passi diversi, a seconda delle diverse persone. Io posso dirvi con chi il tempo va passo d’ambio, con chi trotta, con chi galoppa e con chi sta fermo.
ORLANDO
Con chi trotta di grazia?
ROSALINDA
Per Bacco! Trotta serrato con una ragazza, fra il suo contratto di nozze e il giorno in cui il matrimonio è celebrato. Ci si apure l’intervallo di sette giorni soltanto, va così forte come se dovesse percorrere uno spazio di sette anni.
ORLANDO
E con chi va il tempo a passo d’ambio?
ROSALINDA
Con un prete che non sa il latino e con un uomo rico che non ha la gotta. L’uno infatti dorme fácilmente perchè non può studiere e l’altro vive allegramente perchè non sente alcun dolore: l’uno perchè no ha il fardello di una scienza magra e vorace, l’altro perchè non conosce quello di una pesante e molesta miseria. Con costoro il tempo va a paso d’ambio.
ORLANDO
E con chi galoppa?
ROSALINDA
Con un ladro che va alla forca; perchè quantunque egli cammini il più lentamente possibile, pensa sempre di arrivare troppo presto.
ORLANDO
E con chi sta fermo?
ROSALINDA
Con gli uomini di legge quando sono in ferie, perchè essi dormono fra una sessione e l’altra, e non s’accorgono che il tempo si muove.
ORLANDO
Dove abitate, grazioso giovane?
ROSALINDA
Con questa pastorella che è mia sorella qui al margine della foresta, che è come la frangia attaccata a una vespe.
ORLANDO
Siete nativo di questi luoghi?
ROSALINDA
Come il coniglio che voi vedete abitar là dove sua madre l’ha figliato.
ORLANDO
Il vostro modo di parlare è più raffinato di quello che abbiate potuto acquestare in un luogo così appartato.
ROSALINDA
Parecchi mi han detto così; ma, a dir la verità, mi insegnò a parlare un mio zio frate, che nella sua gioventù fu un uomo di mondo, uno che conosceva assai bene le maniere della Corte, perchè là egli si innamorò. Gli ho udito dare molti avvertimenti contro l’amore, e ringrazio Dio di non essere una donna e di sentirmi quindi immune dalle tante stupide colpe di cui egli faceva carico a tutto il sesso.
ORLANDO
Potete ricordarvi alcuna delle colpe di cui egli faceva carico alle donne?
ROSALINDA
Di capitali non ce n’erano: erano tutte eguali come sono eguali fra loro le monte da un soldo. Ogni colpa sembrava mostruosa finchè non venisse ad eguagliarla una colpa seguente.
ORLANDO
Diteme qualcuna, vi prego.
ROSALINDA
No, non voglio distribuire i miei rimedi se non a coloro che son malati. C’è un uomo che gira per la foresta e rovina le nostre giovani piante incidendo sulle loro corteccie il nome di Rosalinda: appende delle odi sul biancospino e delle elegie sui rovi; tutte per deificare il nome di Rosalinda. Se potessi incontrare questo merciaio d’amore gli darei qualche buon consiglio, perchè mi pare ch’egli abbia addosso le febbre terzana dell’amore.
ORLANDO
Sono io quello che ha questi ribrezzi d’amore. Insegratemi, vi prego, il vostro rimedio.
ROSALINDA
Nessuno dei sintomi di mio zio è su di voi. Egli mi insegnò a conoscere un uomo innamorato, e son sicuro che voi non siete primigioniero nella gabbia d’amore dalle sbarre di giunco.
ORLANDO
È quali erano questi suoi sintomi?
ROSALINDA
Una guancia magra che voi non avete, un occhio pesto e infossato che voi non avete, uno spirito alieno dalla conversazione che voi non avete, una barba trascurata che voi non avete… Ma di questa vi scuso, poichè ne possedete tanta quanta è la rendita di un fratello cadetto. Poi i vostri calzoni dovrebbero essere senza giarrettiere, il vostro berreto senza nastro, la vostra manixa sbottonata, le vostre scarpe slacciate, e ogni altra cosa intorno a voi dovrebbe mostrare una incurante desolazione. Ma voi non siete un uomo simile, voi siete al contrario inappuntabile nel vostro abbigliamente, e sembrate più un uomo che ami se stesso anzichè l’innamorato d’un altra persona.
ORLANDO
Bel giovane, vorrei poterti far credere che io sono innamorato.
ROSALINDA
Farlo credere a me! Ma dovreste piuttosto far che lo creda colei che amate; il che vi garantisco essa è più disposta a fare che a confessare. È un luogo dei punti questi sui quali le donne mentiscono sempre alla propia coscienza. Ma, francamente, siete voi che appendete agli alberi dei versi nei quali Rosalinda è tanto celebrata?
ORLANDO
Ti giuro, o giovane, per la bianca mano di Rosalinda, che sono proprio io quel tale, quello sfortunato.
ROSALINDA
Ma siete proprio tanto innamorato quanto dicono i vostri versi?
ORLANDO
Nè i versi, nè il linguaggio della raggione possino dir quanto.
ROSALINDA
L’amore è pura pazzia, e vi assicuro che gli innamorati si meritano una stanza buia e una frusta come i pazzi. La ragione per cui non sono nè puniti nè curati sono così, è che la pazzia è così comune che pur troppo anche i frustatori son innamorati. Tuttavia io mi impegno a guarirvi per consulto.
ORLANDO
Avete mai curato qualcuno così?
ROSALINDA
Sì, uno, e a questo modo. Egli doveva immaginarsi che io fossi la sua amata, e io l’obbligavo tutti i giorni a farmi la corte. Allora da giovane un po’ lunatico mi attristavo, diventavo sdolcinato, mutevole, ardente e affetuoso, superbo, fantastico, sciocco, leggiero, incostante. tutto lacrime, tutto sorrisi, inclinato un po’ ad ogni sentimento, ma in realtà a nessuno, perchè i fanciulli e le donne sono in gran parte animale di tal specie. Ora egli mi piaveca, ora lo detestavo, ora lo accoglievo bene, ora lo respingevo, ora piangevo a causa sua, ora gli mostravo il mio disgusto; così condussi il mio innamorato dalla sua follìa amorosa ad una vera e propia pazzia, per cui egli abborrì il turbine del mondo e se ne andò a vivere in un remoto angolo como un eremita. A questo modo lo curai, e a questo stesso modo mi impegno a lavare il vostro fegato così nettamente come il cuore di un montone sano, in maniera che in esso non resti più nessuna macchia d’amore.
ORLANDO
Non sarei guarito, giovane.
ROSALINDA
Vi guarirei, solo se voleste chiamarmi Rosalinda e venire ogni giorno nella mia capanna a farmi la corte.
ORLANDO
Ebbene, in nome del mio amore, verrò. Ditemi dove essa si trova.
ROSALINDA
Venite con me e ve la insegnerò. Per istrada mi direte in che punto della foresta abitate. Volete venire?
ORLANDO
Con tutto il cuore, caro giovane.
ROSALINDA
Ma no; dovete chiamarmi Rosalinda. Orsù, sorella, vuoi venire?
SCENA III.
La foresta.
TOUCHSTONE e AUDREY; più indietro JAQUES
TOUCHSTONE
Spicciati, buona Audrey. Andrò a cercare le tue galline, Audrey. Ebbene, Audrey, sono io o no un uomo? Ti piaccio nella mia ordinaria fattura?
AUDREY
Le vostre fatture? Dio ci assista! Che fatture?
TOUCHSTONE
Io sto qui con te e le tue galline, come il più galante dei poeti, l’onesto Catullo stava tra i Galli.
JAQUES
[a parte.] O scienza malle alloggiata, peggio che Giove in una casa dal tetto fi stoppia.
TOUCHSTONE
Quando i versi di un uomo non possono essere compresi e lo spirito di lui non può essere assecondato da quel suo precoce figlio che è l’intelletto, ciò abbatte l’uomo più mortalmente che non un grosso conto un un alberguecio. Sinceramente vorrei che gli dei ti avessero fatta poetica.
AUDREY
Non so che cosa significchi poetica. Vuol forse dire onesta a fatti e a parole? È questo il vero significato?
TOUCHSTONE
Veramente, no perchè quanto più vera è la poesia tanto più è piena di finzioni. Ora gli amanti sono dediti alla poesia, e ciò che essi giurano in poesia, si può dire che, come amanti, lo fingono.
AUDREY
E allora voi desiderereste che gli dei mi avessero fatta poetica?
TOUCHSTONE
Certamente, dal momento che tu giuri di essere onesta. Ora se tu fossu poeta, potrei avere qualche speranza che ti finga.
AUDREY
Dunque voi non esigete che io sia onesta?
TOUCHSTONE
No certo, a meno che tu non fossi assai brutta; perchè l’onestà unita alla belleza è come se il miele servisse di salsa allo zucchero.
JAQUES
[a parte.] Ecco un pazzo pieno di buon senso.
AUDREY
Bene, io non son bella, e perciò prego gli dei di serbarmi onesta.
TOUCHSTONE
Sì, ma sciupare l’onestà sopra una brutta cialtrona sarebbe lo stesso che porre una buona pietanza in un piatto sporco.
AUDREY
Io non sono una cialtrona, quantunque, grazie a Dio, non sono bella.
TOUCHSTONE
Bene; sia ringraziato Dio per la tua bruttezza: la cialtroneria potrà venir dopo. Ma, sia come si vuole, io ti sposerò; e a questo scopo sono stato da Don Doliviero Martext, il curato del vicino villagio, che ha promesso di venir da me in questo punto della foresta e di unirci in matrimonio.
JAQUES
[a parte] Come assitirei volentieri a questo incontro.
AUDREY
Bene, e gli dei ci diano gioia.
TOUCHSTONE
Amen. Un iomo che fosse di animo pauroso potrebbe esitare davanti a questo atto; perchè qui non c’è altra Chiesa che il bosco e non altra compagnia che quella di bestie corunte. Ma che importa? Coraggio! Per quanto le corna sieno odiose sono necessarie. È stato detto che molti uomini non conoscono la ragione delle loro ricchezze: giustissimo. Così molti uomini hanno delle brave corna e non conoscono lo scopo di ese. Ebbene, essse sono la dote delle loro moglie e non già ciò che hanno portat essi. Corna? Pur troppo! Per i poveri soltanto? No, no. Il più nobile cervo le ha tanto grandi, quanto il più misero di essi. E allora solo lo scapolo è Fortunato? No. Come una città cinta di mura val di più che un villagio, così la fronte di uomo ammogliato è più onorevole che la liscia fronte di un scapolo, e di quanto l’arte della difesa è migliore della mancanza di ogni attica, di tanto l’avere un corno e cosa di più preziosa che esserne privi.
DON OLIVIERO MARTEXT
Ma ecco don Oliviero. Don Oliviero Martext, ben arrivato. Volete sbriagarci sotto quest’albero o dobbiamo andar con voi alla vostra cappella?
DON OLIVIERO
C’è qualcuno che presenti la donna?
TOUCHSTONE
Ma io non la voglio ricevere in dono da nessuno.
DON OLIVIERO
Eppure esssa debe essere presentata, altrimenti il matrimonio non è legale.
JAQUES
Andiamo, andiamo; la presterò io.
TOUCHSTONE
Buona sera, caro signor non so chi. Come state, signore? Arrivate a proposito. Dio mi rimeriti per la vostra ultima visita. Sono contentissimo di vedervi, anche avendo per le mani una piccila faccenda. Ma, vi prego, copritevi.
JAQUES
Voi desiderate sposarvi, o uomo variegato?
TOUCHSTONE
Come il bove ha il suo arco sal giogo, il cavallo la briglia e il falcone i suoi sonagli, così l’uomo ha i suoi desiderii, e come i piccioni si becchettano così si mordicchiano gli sposi.
JAQUES
E voi, un uomo della vostra educazione, volete sposarvi sotto un cerspuglio, come un mendicante? Andate in Chiesa ed abbiate un buon prete che vi possa spiegare che cosa è il matrimonio. Quest’uomo i accoppierà come si uniscono insieme due assi di legno. Ma può darse che uno di voi due sia un asse che si ritiri, e allora si storcerà, si storcerà come fa il legno non stagionato.
TOUCHSTONE
[a parte.] Non so se non sarebbe meglio che io fossi sposato da lui anzichè da un altro, perchè non mi par probabile ch’egli mi sposi in piena regola; e non essendo allora sposato regularmente, avrei in avvenire una buona scusa per piantare mia moglie.
JAQUES
Venite con me e lasciatevi consigliare da me.
TOUCHSTONE
Vieni, cara Audrey; non dobbiamo sposarci, o altrimento vivere in concubinaggio. Addio, caro signor Oliviero. Non canterò:
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O caro Oliviero
o bravo Oliviero
non mi abbandonare;
ma invence:
Fila via,
vattene, ti dico,
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non voglio saper di te per prender moglie.
[Escono JAQUES, TOUCHSTONE e AUDREY.
DON OLIVIERO
Non importa. Nessuno di questi lunatici furfanti si prenderà beffe del mio ministero.
SCENA V.
La foresta.
SILVIO e FEBE.
SILVIO
Dolce Febe, non mi schernite. No, Febe. Dite che non mi amate; ma non lo dite con amarezza. Il publico esecutore di giustizia, il cuore è reso duro dal l’abituale spettacolo della morte non lascia cader la scure sul collo piegato senza chieder prima perdono. Volete essere più crudele di chi passa tuta la vita a far colare il sangue?
ROSALINDA, CELIA e più indietro CORINNO.
FEBE
Non voglio essere il tuo carnafice. Ti sfuggo per non farti male. Tu mi dice che nel mio occhio c’è l’assassinio; ed è senza dubbio assai grazioso e assai probabile che gli occhi, che sono gli organi più fragili e delicati, che chiudono le loro timide porte ai più minuto corpuscoli, sieno chiamati iranni, macellai, assassini! Ora io corrugo le ciglia con tutto il cuore. Ebbene, se i miei occhi possono ferire, che essi ti uccidano pure. Fa finta di svenire. Su via, casca giù; o altrimenti – per pudore, per pudore – non mentire sino al punto di dire che i miei occhi sono assassini. Mostrami allora la ferita che essi ti hanno fatto. Se tu ti graffi solo con uno spillo, resta una traccia di esso, se ti afferri solo ad un giunco la tua palma conserva la fitta e, per qualche momento, un segno visibile. Ma i miei sguardi che ho dardeggiato su te non ti feriscono, perchè, ne son sicura, non c’è negli occhi alcuna forza che possa ferire.
SILVIO
O cara Febe, se un giorno (e tal giorno può essere vicino) troverete in qualche fresco viso il potere di farvi innamorare, allora potrete conscere le invisibili feriteche fanno gli acuti dardi dell’amore.
FEBE
Ma fino a quel giorno non mi venir da presso; e quando esso sia giunto, allora mortificami con le tue beffe; non aver compassione di me, come fino a quel giorno, io non avrò compassione di te.
ROSALINDA
E perchè, di grazia? Di che madre siete voi nata che insultate un infelice en el medesimo tempo ne trionfate? Perchè, senza avere alcuna belleza – e in realtà non ne vedo in voi più di quel tanto che basta per andare a letto all’oscuro senza candela – dovete essere superba e senza pietà? Ebbene, che significa ciò? Perchè mi guardate? Io non vedo in voi se non ciò che si vede ordinariamente nelle dozzinalli opere della natura. Per la mia piccola vita, credo che essa voglia affascinare anche i miei occhi! Sulla mia parola, o superba signora, non abbiate tale speranza. Le vostre nere ciglia, i vostri neri serici Capelli, i vostri grandi occhi di giagietto, le vostre guance di crema non possono indurre il mio animo a farvi la corte. E voi, sciocco pastore, perchè le andate dietro a guisa di un nebbioso scirocco che scatena il vento e la piogga? Voi siete, come uomo, molto più leggiadro di quel che è lei come donna. Sono gli sciocchi come voi che popolano il mondo du brutti figliocli. Non è il suo specchio, ma siete voi che l’adulate; ed è per opera vostra che essa si vede più graziosa di quel che possono farla apparire i suoi ginocchio, e ringraziate il cielo, facento un digiuno, di essere amata da un brav’uomo; perchè, da amico, vi devo dire in un orecchio: vendete dal momento che potete, poichè non siete per ogni mercato. Domandate perdono a quest’uomo, amatelo, accettate la sua oferta, perchè la brutezza è bruttissima, quando si imbruttisce sino ad essere sprezzante. E così, o pastore, prenditela per te. Addio.
FEBE
Caro giovane, rimproveratemi pure un anno interno: preferisco udir voi a rimproverarmi anzichè costui a coteggiarmi.
ROSALINDA
[a FEBE] Egli si è innamorato della vostra bruttezza.
[A SILVIO.] Ed ecco che essa si innamora ora della mia collera. Se è così ogni volta che essa ti risponderà con un viso accigliato, io la condirò con amare parole. Perchè mi guardate così?
FEBE
Perchè non ho con voi alcun malanimo.
ROSALINDA
Vi prego, non vi innamorate di me, perchè sono più falso di un giuramento fatto quando si è ubriachi. E poi non mi piacete. Se volete sapere dove è la mia casa, essa è vicina a quel ciuffo di ulivi, non lontanta di qua. Voui venire, sorella? O pastore, non darle tregua. Vieni, sorella. Pastore, guardalo più benevolmente e non essere superba. Se anche tutto il mondo vi vedesse, nessuno si lascerebbe ingannare dalla vista quando lui. Ritorniamo presso il nostro gregge.
[Escono ROSALINDA, CELIA e CORINNO.
FEBE
O morto pastore, ora conosco la forza delle tue parole. «Chi ha mai amato che non ha amato al primo sguardo?»
FEBE
Eh? Che cosa dici Silvio?
SILVIO
Dolce Febe, abbiate pietà di me.
FEBE
Ebbene, sono triste per te, gentile Silvio.
SILVIO
Dolce c’è tristeza, ci dovrebbe essere anche conforto. Se voi vi attristate per il mio amoroso dolore, largendo un po’ d’amore vedreste sparire e la vostra tristezza e il mio dolore.
FEBE
Tu hai il mio affetto, no è questo un sego di carità?
FEBE
Ma questo sarebbe cupidigia. Silvio, per il passato ti ho odiato, e non è che ora ti porti amore; ma poichè sai parlar d’amore così bene, io sopporterò la tua compagnia che prima mi era importuna: e anzi mi servirò di te. Ma non cercare altre ricompense fuor che la contentezza di essere da me adoperato.
SILVIO
Così santo e così perfetto è il mio amore e dio son così privo di ogni divina grazia, che considererò come una copiosa raccolta il raccattar le spigue che si lascia dietro il contadino quando aduna il grosso della messe. Lasciate cadere di tanto un sorriso che vi sfugga e dio vivrò di esso.
FEBE
Conosci il giovane che mi ha parlato un momento fa?
SILVIO
Non molto bene, ma l’ho incontrato spesso. È quello che ha comprato la casa e i pascoli che appartenevano al vecchio spilorcio.
FEBE
Non credere che l’ami, perchè m’informo di lui. Egli non è che un ragazzo impertinente; tuttavia parla bene…. Ma che m’importano le parole? Eppure le parole suonanto bene quando colui che le pronunzia piace a chi lo escolta. È un grazioso giovante; non molto grazioso; ma certamente orgoglioso. Tuttavia il suo orgoglio gli sta bene… Diventerà un bell’uomo. Ciò che c’è di meglio in lui è il colorito. E più prontamente di quanto la sua lingua offendesse, i suoi occhi quarivano. No nè molto alto, ma abbastanza alto per la sua età. Le sue gambe sono così così, tuttavia vanno bene. C’è un bel rosso sulle sue labbra, un rosso più vivo e più carico di quello soffuso sulle sue gote, proprio la differenzaa che c’è tra il damasco rosso e quello rosa. Ci sono alcune donne, Silvio, che se l’avessero esaminato a parte a parte, come ho fatto io, si sarebbero condotte assai vicine ad innamorarsene; io per mio conto, non l’amo e non l’odio; anzi ho più ragione di odiarlo che di amarlo. Infatti che c’entrava lui a farmi dei rimpoveri? Egli ha detto che i miei occhi erano neri e neri i miei Capelli, e – me ne ricordo bene – si faceva beffe di me. Mi stupisco come io non è perduto. Gli voglio scrivere una lettera assai risentita, e tu gliela porterai. Vuoi Silvio?
SILVIO
Con tutto il cuore, Febe.
FEBE
Gliela scrieverò subito. Ho in testa e in cuore tutta la materia. Sarò con lui pungente e assai secca. Vieni con me, Silvio.