William Shakespeare, The Life of Henry V

Enrico V





Edición filológica utilizada:
Bajocchi, Fedele, tra. "Enrico V". In: Shakespeare: Teatro. Ed. Mario Praz. Vol. 2. Firenze: Sansoni, 1953.
Procedencia:
Texto base
Edición digital a cargo de:
  • Ortíz Ramírez, Ainhoa (Artelope)

Elenco

PERSONNAGI

RE ENRICO QUINTO
IL DUCA DI GLOUCESTER, fratelli del Re
IL DUCA DI BEDFORD
IL DUCA DI EXETER, zio del Re
IL DUCA DI YORK, cugino del Re
I CONTI DI SALISBURY, WESTMORELAND e WARWICK
L’ARCIVESCOVO DI CANTERBURY
IL VESCOVO DI ELY
IL CONTE DI CAMBRIDGE
LORD SCROOP
SIR TOMMASO GREY
SIR TOMMASO ERPINGHAM, GOWER, FLUELLEN, MACMORRIS, JAMY, ufficiali nell’esercito del Re
BATES, COURT, WILLIAMS, soldati nello stesso
PISTOLA, NYM, BARDOLFO
Un Ragazzo
Un Araldo
CARLO SESTO, Re di Francia
LUIGI, il Delfino
DUCHI DI BORGOGNA, ORLÉANS e BORBONE
IL CONNESTABILE di Francia
RAMBURES e GRANDPRÉ, nobili francesi
MONTJOY, Araldo francese
Ambasciatori al Re d’Inghilterra
ISABELLA, Regina di Francia
CATERINA, figlia di Carlo e di Isabella
ALICE, sua damigella d’onore
Ostessa di una taverna in Eastcheap, già Monna Fapresto e ora sposa di Pistola.
Nobili, Dame, Ufficiali, Soldati, Cittadini, Messi e persone del seguito.
Scena: Inghilterra, poi Francia
Coro

Introduzione dell’editore

Nella mia lettura della traduzione di una delle opere più conosciute di William Shakespeare, Henry V, da Fedele Bajocchi, ho trovato, nel mio confrontare del testo originale con il documento battuto a macchina, alcuni errori ortografici con riguardo all’elenco dei personaggi e il testo in sé, che meritavano essere corretti in modo che i lettori non fossero confusi. Inoltre, in questo raffronto fra entrambi testi, ho scoperto che alcuni interventi erano assenti.

Atto III, Scena VII.

CONNESTABILE Prima dovreste esporvi al rischio di prenderli.

[…]

ORLÉANS So che è un valoroso.

CONNESTABILE Me lo ha detto anche un altro che lo conosce meglio do voi.

Atto IV, Scena III.

BEDFORD È pieno tanto di valore quanto di cortesia, e in ambedue queste doti è un principe.

[Entra il Re.

Atto IV, Scena V.

ORLÉANS Ma di noi se n’è di vivi quanti bastano per schiacciare col loro numero gli Inglesi, se si potesse mettere un po’ d’ordine fra le nostre file.

BORBONE L’ordine! Il diavolo se lo porti! Andrò nella calca: sia breve la vita, o altrimenti sarà troppo lunga la vergogna.

[Escono.

Atto IV, Scena VII.

RE ENRICO […] terra, gli strappai questo guanto dall’elmo; se qualcuno lo reclama […]

[…]

[Esce.


Atto I

PROLOGO

Entra il Coro.

CORO
Oh! aver qui una Musa di fuoco che sapesse salire al più luminoso cielo dell‘invenzione; un regno che servisse da palcoscenico, principi che facessero da attori e monarchi da spettatori di questa scena grandiosa! Allora il valoroso Enrico, da quel che era, assumerebbe davvero il portamento di Marte e, condotti al guinzaglio come segugi, la fame, il ferro e il fuoco gli striscerebbero alle calcagna chiedendo impiego. Ma, miei signori, perdonate le menti basse e piatte che hanno ardito portare su questo indegno palco un argomento cosi grande: potrebbe mai infatti questa platea contenere i vasti campi di Francia o potremmo stipare entro questo cerchio di legno anche i soli elmi che impaurirono l’aria stessa a Azincourt? Ma scusateci: come uno sgorbio di cifre serve in breve spazio a rappresentare un milione, così lasciate che noi, semplici zeri in questo gran conto, mettiamo in moto le forze della vostra immaginazione. Supponete che entro la cinta di queste pareti siano chiuse due potenti monarchie e che un pericoloso stretto ne separi le fronti che sporgono alte sul mare. Colmate col vostro pensiero le notre lacune; di un uomo che vedete fatene mille e creativi un imponente esercito; se parliamo di cavalli, imaginate di vederli realmente stampare gli zoccoli sul terreno molle che ne riceve le impronte; poiché è il vostro pensiero che ora debe vestiré riccamete i nostri re e portarli qua e là, saltando intieri periodi di tempo, e condensando i fatti di molti anni in un volger di clessidra; e per quest’ultima funzione ammettete come Coro in questa storia me che, a mo’ di prologo, sollecito con umiltà la vosta pazienza perché ascoltiate con animo benevolo e giudichiate con indulgenza questo nostro spettacolo.

[Esce.

SCENA I.

Londra. Un’anticamera nel Palazzo Reale.
Entrano l’ARCIVESCOVO DI CANTERBURY e il VESCOVO DI ELY.

CANTERBURY
Ve lo dirò, monsignore: viene ora ripresentato quel progetto di legge che nell’undecimo anno di regno del defunto sovrano poco mancò non fosse approvato ai nostri danni; ciò che sarebbe accaduto senz’altro se l’irrequietezza e le lotte del tempo non l’avessero messo in tacere.

ELY
Ma, monsignore, come fare ad opporci ora?

CANTERBURY
Bisogna pensarci bene. Se passa, perdiamo più della metà dei nostri averi, perché ci sarebbero tolte tutte le terre che persone pie hanno lasciato in eredità alla Chiesa. Si vuole infatti che col decoro conveniente a un re, noi equipaggiamo ben quindici conti, mille e cinquecento cavalieri, seimila duecento scudieri, che si mantengano con larghezza cento fra lazzaretti per gli appestati e case di ricovero pei vecchi e pei poveri inabili al lavoro, e inoltre che si versino nelle casse reali mille sterline l’anno. Questo e il tenore del progetto.

ELY
Che po’ po’ di bevuta.

CANTERBURY
Si berrebbero anche il bicchiere!

ELY
Ma che rimedio c’è?

CANTERBURY
Il Re è pieno di benevolenza e di considerazione per noi-

ELY
È un amoroso figlio di santa madre Chiesa.

CANTERBURY
La sua condotta in gioventù non prometteva tanto. Ma, appena suo padre spirò, anche quella sfrenatezza, attutendosi in lui, sembrò pure morire; sì, in quel momento stesso la riflessione venne come un angelo a cacciare da lui la fragilità umana, trasformando il suo corpo in un Paradiso atto a contenere spiriti celestiali. Mai non vi fu alcuno così pronto a imparare, né mai ci fu tanta pienezza di conversione che lavasse i peccati con impeto così irresistibile; né l’idra della caparbietà perdette il suo predominio così all’improvviso come in questo re.

ELY
Questo cambiamento é una benedizione per noi.

CANTERBURY
Se lo sentite parlare di teologia, vorreste con ammirazione convinta che fosse fatto vescovo; se discute di politica, direste che non si é occupato d’altro in vita sua. Ascoltate i suoi discorsi di guerra e la descrizione di una terribile battaglia vi sembrerà una musica: fatelo ragionare di qualche cosa che richieda sottigliezza di discernimento, ed egli scioglierà il nodo gordiano con tanta facilità come se si trattasse della sua giarrettiera: insomma quando parla, l’aria stessa, quella vagabonda matricolata, si ferma, e un muto stupore sta in agguato negli orecchi degli uomini per carpire i suoi soavi melati discorsi. Bisogna ammettere che la vita pratica gli abbia dato tutto questo sapere teorico, e c’é ancora da stupire pensando come sua Maestà se ne sia impadronito, considerando che sembrava cosi dedito alla vita frivola, che i suoi compagni erano ignoranti, rozzi e superficiali, il suo tempo speso in bagordi, banchetti e divertimenti, e che non si osservò mai in lui amore per lo studio, per la vita ritirata, per l’isolamento dai pubblici ritrovi e dalla compagnia del volgo.

ELY
La fragola cresce sotto l’ortica e le bacche salutari prosperano e maturano meglio in compagnia di frutti di qualità inferiore: così il Principe celò il suo spirito di osservazione sotto le apparenze del libertinaggio; e questo spirito senza dubbio deve aver fatto come l’erba estiva che cresce di notte non vista, ma proprio allora più soggetta alla forza di sviluppo che le è insita.

CANTERBURY
Dev’essere così, perché non è più il tempo dei miracoli; e perciò, dove vediamo la perfezione, dobbiamo supporre l’esistenza dei mezzi che hanno condotto a questo risultato.

ELY
Ma ora, buon monsignore, tornando al mode di mitigare questo progetto presentato alla Camera dei Comuni, Sua Maestà è favorevole o no?

CANTERBURY
Non sembra piegare né di qua né di là; ma, se mai, pende un po’ più dalla parte nostra che da quella dei proponenti; poiché in nome del clero e per le guerre di Francia di cui ho discusso con lui lungamente, gli ho offerto una somma assai maggiore di quella che la Chiesa non abbia mai dato prima ad alcuno dei suoi predecessori.

ELY
E che accoglienza ha fatto Sun Maestà a ques’offerta, monsignore?

CANTERBURY
Ottima; soltanto non v’è stato tempo di parlare, come Sua Maestà, mi accorsi, avrebbe desiderato, delle molte e chiare ragioni per cui egli, come discendente di Edoardo suo bisnonno, ha diritto ad aver certi ducati, e in termini più generali la corona e il trono di Francia.

ELY
Che cosa interruppe i vostri discorsi?

CANTERBURY
In quell momento l’ambassiatore di Fracia chiese di essere ricevuto, e credo che sia giunta dell’udienza: non sono le quattro?

ELY
Sì.

CANTERBURY
Allora entriamo a sentire il messaggio; ma son sicuro di indovinarlo a puntino, prima anconra che l’ambassiatore abbia aperto bocca.

ELY
Vi accompagnerò perché sono ansioso di ascoltare.

[Escono.

SCENA II.

Lo stesso luogo. Sala del trono.
Entrano RE ENRICO, GLOUCESTER, BEDFORD, EXETER, WARWICK, WESTMORELAND e persone del seguito.

RE ENRICO
Dov’è Sua Eccellenza l’arcivescovo di Canterbury?

EXETER
Non è qui presente.

RE ENRICO
Mandatelo a cercare, buon zio.

WESTMORELAND
Debbo far entrare l’ambasciatore, sire?

RE ENRICO
Non ancora, cugino. Prima di dargli udienza vorrei farmi un’idea di certe questioni importanti riguardanti me e la Francia, che occupano molto i miei pensieri.

Entrano l’ARCIVESCOVO DI CANTERBURY e il VESCOVO DI ELY.

CANTERBURY
Dio e i suoi angeli proteggano il vostro sacro trono e ve lo lascino occupare a lunge con dignità.

RE ENRICO
Vi ringraziamo assai. Mio dotto monsignore, vi preghiamo di spiegarci con scrupolosa giustizia se la legge salica che esiste in Francia escluda o no il nostro buon diritto. Ma ricordatevi, mio caro e fedele monsignore: non dovete foggiare a modo vostro, torcere e piegare il sense di quello che avete studiato, e gravare la vostra dotta coscienza sostenendo diritti spurii o che non vadano in modo naturale pienamente d’accordo con la verità; poiché Dio solo sa quanti che godono ora perfetta salute verseranno il sangue a sostegno delle decisioni a cui ci spingerà Vostra Reverenza. Guardate bene, perciò, a che impegnate la mia persona e come risvegliate la spada della guerra che ora dorme tranquilla. Vi ordiniamo, in nome di Dio, di essere molto cauto; poiché questi due regni non hanno mai conteso senza grande spargimento di sangue, e ogni goccia innocente sarebbe un grido di dolore, una penosa accusa contro colui che a torto avesse affilato le spade a far strage di vite umane, anche troppo brevi per natura. Tenendo presente questo ammonimento solenne parlate, monsignore, e noi vi ascolteremo con grande attenzione e crederemo in cuor nostro che quello che vi disponete a dire sia purificato dalla vostra coscienza quanto l’anima per opera del battesimo è purificata dal peccato originale.

CANTERBURY
Allora ascoltate, sire, e voi, pari, che siete devoti nella vita e nei vostri servigi a questo trono imperiale. Non vi è ostacolo alle pretese di Vostra Altezza sulla Francia se non il principio che si attribuisce a Faramondo. «In terram Salicam mulieres ne succedant: Le donne non hanno diritto di ereditare in terra Salica». I Francesi con ingiusta interpretazione dicono che la terra Salica è il regno di Francia e che Fammondo è il creatore di questa legge e dell’ eclusione del ramo femminile. Eppure i loro stessi autori affermano esplicitamente che la terra Salica è in Germania, tra i fiumi Sala ed Elba, che là Carlo Magno, avendo sottomessi i Sassoni, lasciò alcuni coloni Franchi e questi, sdegnando le donne tedesche per la loro immoralità, fecero questa legge: cioé che nessuna donna ereditasse in terra Salica. Ora, come ho detto, questa terra è tra l’Elba e il Sala, ed è chiamata oggi Meisen: e allora è chiaro che la legge Salica non fu inventata per il regno di Francia. Del resto i Franchi si impadronirono della terra Salica solo quattrocentoventun anni dopo la morte di re Faramondo che senza fondamento si suppone il creatore della legge; questi mori nel 426 di nostra redenzione, mentre Carlo Magno sottomise i Sassoni e collocò i coloni Franchi al di là del fiume Sala nell’anno 805. Inoltre, dicono i loro scrittori, re Pipino, che depose Childerico, avanzò pretese alla corona di Francia come erede universale in quanto discendeva da Blitilde che era figlia di re Clotario. Ugo Capeto pure, che usurpò la corona di Carlo duca di Lorena, solo erede maschio del vero ramo di Carlo Magno, per dare al suo titolo qualche apparenza di verità, sebbene in realtà fosse fallace e vano, si presentò come erede di Lingarde, figlia di Carlomanno, che era figlio di Lodovico imperatore, e questi a sua volta figlio di Carlo Magno. Anche Luigi decimo, solo erede dell’usurpatore Capeto, non poté regnare con coscienza tranquilla sinché non si fu assicurato che la bella regina Isabella, sua nonna, discendeva in linea retta da Ermengarda, figlia del predetto Carlo, duca di Lorena, col quale matrimonio i discendenti di Carlo Magno riebbero la corona di Francia. Cosi è chiaro come il sole estivo che il titolo di Pipino, le pretese di Ugo Capeto, i fatti che placarono gli scrupoli di Luigi trovarono la loro base nel buon diritto di una donna: e così fanno anche oggi i re di Francia, sebbene sostengano la legge Salica per escludere le pretese che voi avanzate in forza della discendenza da una donna e preferiscano nascondersi dietro pretesti trasparenti anziché sconfessare senz’altro i titoli infondati per cui hanno usurpato i vostri diritti è quelli dei vostri progenitori.

RE ENRICO
Posso dunque con pieno diritto e tranquilla coscienza avanzare questa pretesa?

CANTERBURY
Se vi è peccato ricada sulla mia testa, venerato sovrano, poiché é scritto nel libro dei Numeri: «Quando l’uomo muore, l’eredità discende alla figlia». Nobile sire, difendete il vostro diritto; spiegate la bandiera di guerra; guardate ai vostri possenti predecessori. Andate, venerato signore, alla tomba del bisavolo da cui derivate il vostro diritto; invocate il suo spirito bellicoso e quello del vostro grande prozio, Edoardo il Principe Nero, che in terra di Francia compì tragiche gesta, sconfiggendo l’intiero esercito nemico, mentre il suo valorosissimo padre stava sulla collina e sorrideva vedendo il suo leoncello far strage della nobiltà francese, O nobili Inglesi, che impegnarono tutto il baldanzoso esercito avversario con metà delle loro forze, mentre l’altra metà stava ridendo in disparte, inattiva spettatrice!

ELY
Ricordate quei morti valorosi e rinnovatene le gesta col braccio possente: siete il loro erede e sedete sul loro trono. Il sangue coraggioso che li rese rinomati, scorre nelle vostre vene; e il mio prode sovrano è nel più bel fiore della giovinezza, maturo per gesta e grandi imprese.

EXETER
Tutti i vostro confratelli, re e monarchi della terra si aspettano che vi ridestiate come già fecero i leoni della vostra stessa razza.

WESTMORELAND
Essi pensano che Vostra Maestà abbia buone ragioni e mezzi e forza; e li avete realmente; mai re d’Inghilterra ebbe a sua disposizione nobili più ricchi e sudditi più leali, i cui cuori hanno lasciato i corpi qui in patria, e stanno già sotto la tenda nei campi di battaglia di Francia.

CANTERBURY
Oh! mio Caro sovrano, lasciate che i loro corpi li seguano a rivendicare i vostri diritti col sangue, col ferro e col fuoco. E noi, degli ordini spirituali, per aiutarvi, procureremo a Vostra Maestà tal somma di denaro quale il clero non diede mai ad alcuno dei vostri antenati.

RE ENRICO
Dobbiamo non solo armarci per invadere la Francia, ma raccogliere truppe contro gli Scozzesi che marceranno contro di noi ogni volta che troveranno un’occasione propizia.

CANTERBURY
Mio nobile sovrano, le popolazioni di confine saranno pel nostro territorio difesa sufficiente contro codesti predoni.

RE ENRICO
Non intendo parlare dei predoni che fan gualdane, ma di un attacco in forze della Scozia che per noi è sempre stata una vicina infida; poiché la storia dice che ogni volta che il mio bisavolo andò in Francia col suo esercito, gli Scozzesi, come il mare attraverso all’apertura di un argine, mossero contro il suo regno indifeso con tutta la pienezza dei loro mezzi, tormentando con furiosi attacchi la terra spoglia di difensori, cingendo strettamente di assedio città e castelli, tantoché l’Inghilterra inerme ne era scossa e tremava al pensiero di quel pesimo vicino.

CANTERBURY
Ma ne ha avuto allora più paura che danno giacché sentite che esempio ha lasciato di sé: quando tutta la cavalleria era in Francia ed il nostro paese vedovato dei suoi nobili, non solo si difese bene, ma prese e imprigionò come un vagabondo il re di Scozia; poi lo mandò in Francia a ornare con altri re prigionieri il trionfo di Edoardo e ad arricchir la sua corona di lode come la fanghiglia del fondo del mare si arricchisce di rottami e di tesori incalcolabili.

WESTMORELAND
Ma vi è un detto assai antico e vero: «chi Francia intende conquistare, con Scozia deve incominciare», perché una volta, quando l’aquila d’Inghilterra era fuori in cerca di preda, al suo nido indifeso venne furtivamente la faina scozzese per succhiare le uova principesche e per fare la parte del sorcio in assenza del gatto, rovinando e guastando più di quello che poteva mangiare.

EXETER
Ne seguirebbe che il gatto non deve allontanarsi da casa. Ma questo è un rimedio estremo, perché abbiamo serrature per custodire la roba nostra e trappole ingegnose per catturare i ladruncoli. Mentre la mano armata combatte all’estero, la testa giudiziosa si difende in casa; poiché un passe ben govemato è come una musica che ha parti alte, basse e bassissime, le quali debitamente armonizzate, s’accordano in una cadenza piena e perfettamente intonata.

CANTERBURY
E appunto per questo il cielo assegna all’umanità diverse funzioni, e ne mantiene l’attività in perpetuo movimento, dandole per fine e risultato la subordinazione e proprio in questo modo operano le api che per legge di natura possono essere maestre di azione ordinata un regno. E infatti hanno re e funzionari di varia specie; alcuni come sommi magistrati esercitano il governo in casa; altri come mercanti s’avventurano nel commercio fuori della patria; altri come soldati armati di pungiglioni fanno preda dei vellutati fiori estivi e il bottino con lieta marcia portano a casa alla tenda dell’imperatore. Questi, maestoso ma sempre in faccende, sorveglia i muratori che cantando costruiscono l’aureo palazzo, i cittadini disciplinati che impastano il miele, i poveri facchini che per le strette porte introducono a fatica i loro carichi pesanti, e i seri giudici che con mormorio tetro consegnano ai pallidi carnefici i fuchi pigri e sonnacchiosi. E da questo deduco che molte attività dirigendosi a uno stesso fine, cooperano pur movendo da opposte direzioni. Come molte frecce, scagliate da diverse parti del campo, colpiscono un solo bersaglio; come molte strade vanno a finire in una sola città; come molti corsi d’acqua dolce si ritrovano in un unico mare salato come molte linee convergono verso il centro della meridiana, così molte azioni, una volta iniziate, possono tendere a un solo scopo, ed essere ben condotte e con successo. Perciò in Francia, mio sire! Dividete le forze della vostra bella Inghilterra in quattro parti; una portatela in Francia e con quella la farete tremare. Se col resto non sappiamo allontanare i cani dalle nostre porte, ci si azzanni pure e il nostro passe perda la sua reputazione di ardimento e di accortezza.

RE ENRICO
Fate entrare i messi del Delfino. [Escono alcuni del seguito.
Ora siamo ben decisi e con l’aiuto di Dio e di voi tutti che siete i muscoli della nostra forza, ridurremo in soggezione la Francia che ci appartiene o la faremo tutta a pezzi. Colà ci assidereremo govemando con maestoso imperio la Francia e i suoi ducati grandi quasi come regni o deporremo queste ossa in un’urna ingloriosa, senza monumento o altro che le ricordi. La storia leverà la voce a parlare altamente dei nostri atti, o altrimenti la nostra tomba, come uno schiavo turco a cui è stata tagliata la lingua, resterà senza parola e non sarà onorata neanche di un labile epitafio di cera. Entrano gli Ambasciatori di Francia.
Ora siamo pronti ad ascoltare quanto desidera il nostro caro cugino il Delfino; poiché abbiamo sentito che il messaggio viene da lui e non dal Re.

PRIMO AMBASCIATORE
Piaccia a Vostra Maestà di autorizzarci ad assolvere francamente il nostro compito: o dobbiamo piuttosto comunicarvi alla lontana e in forma modesta il pensiero del Delfino e il messaggio che ci è stato affidato?

RE ENRICO
Non siamo un tiranno, ma un re cristiano, alla cui volontà le passioni sono tanto sottomesse quanto i miserabili incatenati nelle nostre prigioni. Quindi in modo franco e schietto diteci gli intendimenti del Delfino.

PRIMO AMBASCIATORE
Così stanno le cose, allora, in poche parole. Recentemente Vostra Maestà mandò in Francia a reclamare certi ducati in forza dei diritti acquisiti dal vostro grande predecessore re Edoardo terzo. E in risposta a ciò, il Principe nostro Signore dice che conservate ancor troppo il sapore della vostra giovinezza e vi consiglia di far senno: non c’è nulla in Francia che si possa conquistare ballando la vivace gagliarda; né potete ivi gundagnarvi ducati con gli stravizi. Perciò, come più conforme alla vostra indole, vi manda il tesoro rinchiuso in questo barile; e in cambio vi chiede che non si parli più dei ducati che pretendete. Questo dice il Delfino.

RE ENRICO
Che tesoro, zio?

EXETER
Palle da tennis, sire.

RE ENRICO
Siamo lieti che il Delfino ci usi tanta piacevolezza. Vi ringraziamo assai per il suo dono e per il disturbo che vi siete preso: quando avremo trovato le racchette che occorrono per queste palle, se Dio vuole, giocheremo in Francia una partita che farà pigliare il grillo alla corona di suo Padre. Ditegli che ha sfidato un tale avversario che tutti i campi di gioco in Francia saranno disturbati dai suoi tiri. E compremdiamo perché ci rimprovera il libertinaggio di un tempo, non valutato bene che uso ne abbiamo fatto. Non abbiamo mai tenuto in troppo gran conto questo povero trono; e perciò, vivendone lontani, ci abbandonammo a barbara licenza, poiché sempre accade che gli uomini si danno bel tempo quando sono fuori di casa. Ma dite al Delfino che osserverò tutte le forme della maestà, mi comporterò regalmente e spiegherò tutte le forme della mia grandeza, quando mi leverò sul trono di Francia. Per questa ragione ho messo da parte la mia maestà e ho faticato come un uomo qualunque nei giorni feriali, ma sorgerò cola con tal pienezza di splendore da abbagliare gli occhi della Francia e da accecare anzi il Delfino, se ci guarderà. E dite a quel príncipe così amante delle piacevolezze che questo suo scherno ha cambiato le palle da tennis in palle da cannone, e grave colpevolezza pesa sulla sua anima per la rovinosa vendetta che volerà con esse: questa burla abbatterà castelli e costerà a molte migliaia di donne la morte dei loro cari mariti, a molte madri la morte dei figli, e fra coloro che non sono ancor nati vi sarà chi avrà ragione di maledire questa beffa del Delfino. Ma tutto ciò è nelle mani di Dio, a cui mi appello e nel cui nome, ditelo pure al Delfino, mi accingo a venire per fare quella vendetta che potrò e ad alzare la mia onesta mano in una causa sacra. Così andatevene in pace e dite al Delfino che la sua burla avrà sapore di cosa poco spiritosa quando quelli che ne piangeranno saranno assai più di quelli che ne rideranno. Scortateli debitamente. Addio.

[Escono gli Ambasciatori.

EXETER
È stato un ameno messaggio davvero.

RE ENRICO
Speriamo di fare arrossire quello che lo ha mandato. Perciò, miei signori, non omettete nessuna occasione per preparare sollecitamente la nostra spedizione; poiché ora noi non abbiamo un pensiero che non riguardi la Francia, salvo quelli che si volgono a Dio e quindi hanno la precedenza su ogni altro. Perciò raccogliamo al più presto le truppe e pensiamo a tutto quello che con ragionevole rapidità può aggiungere penne alle nostre ali; perché, come è vero Dio, andremo a rimproverare il Delfino alle porte della casa paterna. Perciò ognuno s’ingegni a far sì che questa bella azione sia presto avviata.

[Escono. Squillo di trombe.

Atto II

Entra il Coro.

CORO
Ora tutta la gioventù inglese é imfiammata e le seriche vanità sono riposte nell’armadio; ora gli armaioli fanno affari e nel petto di ciascun uomo regna solo il pensiero dell’onore. Tutti vendono il pascolo per comprare il cavallo, seguendo con le ali ai piedi come Mercuri inglesi colui che è specchio di tutti i re cristiani. Aleggia nell’aria la speranza che nasconde la spada dalla punta all’elsa sotto corone imperiali e nobiliari, promesse a Enrico e ai suoi seguaci. I Francesi, avendo ricevuto notizia sicura di questi formidabili preparativi, tremano di paura e con le arti che questa suggerisce cercano di frustrare i propositi degli Inglesi. O Inghilterra, piccola forma materiale di intima grandezza come un corpo minuscolo con un cuore possente, che cosa non potresti fare sotto il pungolo dell’onore, se tutti i tuoi figli sentissero il vincolo del sangue, come natura vuole! Ma vedi, il re di Francia ha scoperto il tuo difetto, un certo numero di cuori vuoti che riempie di perfide corone. Tre uomini corrotti, Riccardo conte di Cambridge, lord Enrico Scroop di Masham e sir Tommaso Grey cavaliere del Northumberland per oro francese – odiosa colpa invero – si sino uniti in congiura con il pávido re di Francia, e, se l’inferno e il tradimento mantengono la promessa, colui che onora il titolo reale dovrà moriré per mano loro a Southampton prima di imbarcarsei per il continente. Pazientate e rimedieremo alla difficoltà della distanza e condenseremo l’azione. La somma è pagata, i traditori hanno fatto il loro piano, il Re è partito da Londra e la scena, o signori, è ora portata a Southampton. Ivi è il teatro ora e ivi dovete sedere; di là vi porteremo sani e salvi in Francia, e vi riporteremo indietro, facendo un incantesimo aiffinché lo stretto vi lasci passare senza inconvenienti, perché, se ci riesce, non vogliamo arrecar nausea neanche a un solo spettatore col nostro dramma. Ma non sposteremo la scena a Southampton finché non entri il Re.

[Esce.

SCENA I.

Londra. Una strada.
Entrano il CAPORALE NYM e il TENENTE BARDOLFO.

BARDOLFO
Ben trovato, caporale Nym.

NYM
Buon giorno, tenente Bardolfo.

BARDOLFO
Come! tu e l’alfiere Pistola siete ancora amici?

NYM
Per parte mia non me ne importa; parlo poco e al momento buono si vedrà chi riderà; ma sia come vuol essere. Non oso battermi, ma chiuderò gli occhi e sguainerò la spada. È ordinaria, ma che importa? può servire ad abbrustolire il formaggio e tollera il freddo quanto quella di qualsiasi altro uomo; e basta cosi.

BARDOLFO
Vi offro da colazione per rappattumarvi, e poi ce ne andremo in Francia da buoni fratelli; facciamo così, ottimo caporale Nym.

NYM
In fede mia, camperò quanto posso, questo è certo; e quando non potrò più campare, farò como potrò: questa è la mia decisione e questo il nocciolo della questione.

BARDOLFO
Caporale, Pistola ha proprio sposato Nora Fapresto, ed è proprio vero che essa ti ha fatto torto, perché era fidanzata con te.

NYM
Non saprei; le cose vanno come possino; gli uomini quando vanno a letto non si levano la gola e c’è chi dice che i coltelli tagliano. Le cose vanno come possono; sebbene la pazienza sia una rozza stanca, debe pur trottare, e si debe pur venire a qualche conclusione. Ma! Non saprei.

Entrano PISTOLA e l’Ostessa.

BARDOLFO
Ecco qui l’alfiere Pistola e sua moglie. Tu intanto, caporale, sta zitto. Come va, oste Pistola?

PISTOLA
Vile cane bastardo, mi chiami oste? per questa mano ti giuro che ho questo termine in gran dispetto e la mia Nora non terrà più dozzinanti.

OSTESSA
No, in verità, o almeno per lungo tempo, perché non possiamo dare vitto e alloggio a una dozzina o una quindicina di signore che vivono onestamente di cucito senza che si dica subito che teniamo un bordello. [Nym e Pistola sguaitano le spade] Oh! Vergine Santa, guardate se non hanno tirato fuori le spade! ci toccherà vedere adulterio volontario e omicidio!

BARDOLFO
Buon tenente, buon caporale, niente violenze!

NYM
Bah!

PISTOLA
Bah a te, cane islandese, botolo islandese dagli orecchi aguzzi!

OSTESSA
Buon caporale Nym, mostra il tuo valore e rimetti la spada nel fodero.

NYM
Vuoi venir via di qua? Vorrei averti di fronte da solo.

PISTOLA
«Solo» egregio cane? vipera vile! il «solo» ti ricaccio nella faccia stupenda etra i denti e in gola, e nei tuoi detestabili polmoni, sicuro, e nello stomaco, perdió, e quel che è peggio nella bocca fetente e te lo rigiro nelle budella, perché so uccidere: il cane di Pistola è alzato e il lampo del colpo è pronto a seguire.

NYM
Non sono il diavolo Barbason; i vostri scongiuri non servono a niente. Ho voglia di pestarvi a modino; se fate il cattivo con me. Vi rabbonirò con la mia spada per quanto posso, per parlare pulito. Se venite fuori di qua, vi pizzicherò le budella per quel che so fare, per dirlo chiaro e tondo, e questo e quanto.

PISTOLA
Smargiasso vile, maledetto furioso. La tomba spalanca le sue fauci e la morte, invaghita di te, ti s’avvicina. Perciò, sguaina.

BARDOLFO
Sentite, sentite quel che dico; come è vero che son soldato, il primo che tira gli caccio in corpo la spada sino all’elsa.

[Sguaina.

PISTOLA
Un giuramento di potenza grande. La mia furia si calma. Qua la mano; porgimi la zampa anteriore, o valentissimo.

NYM
Ti taglierò la gola una volta o l’altra, per parlar pulito, e questo è quanto.

PISTOLA
Coupe la gorge! questa è l’espressione. Ti sfido ancora. Cane di Creta, credi di poterti prendere la mia sposa? No, va all’ospedale e dalla tinozza del mal francese togliti quella budellona impestata della razza di Cressida, colei che chiamano Dora Squarcialenzuola, e sposala. Io ho e avrò per sola donna la quondam Fapresto; e pauca! basta così; vattene.

Entra il Ragazzo.

RAGAZZO
Oste Pistola, voi e vostra moglie dovete venire dal mio padrone: si sente molto male e vorrebbe andare a letto. Buon Bardolfo, mettigli la tua faccia tra le lenzuola e fagli da scaldaletto. Davvero si sente molto male.

BARDOLFO
Via furfante!

OSTESSA
In verità, farà un bel bocconcino pei corvi, uno di questi giorni. Il Re ha ferito Falstaff al cuore. Buon marito, vieni subito a casa.

[Escono l’Ostessa e il Ragazzo.

BARDOLFO
Suvvia, volete far pace? Dobbiamo andare in Francia insieme. Perché diavolo dovremmo tenere coltelli per tagliarci la galo a vicenda?

PISTOLA
Gonfino i fiumi, e infurino per fame i dimon felli!

NYM
Vuoi darmi gli otto scellini che ho vinto per quella scommessa?

PISTOLA
Paghi il volgo servile!

NYM
E io voglio averli; questo é quanto.

PISTOLA
Il valore aggiusterà il conto; suvvia, tira.

[Sguainano.

BARDOLFO
Per questa spada! Il primo che tira lo ammazzo: vedrete se non l’ammazzo davvero!

PISTOLA
La spada è un giuramento, e i giuramenti debbono fare il loro corso.

BARDOLFO
Caporale Nym, se volete far pace, bene; se no siate nemici anche con me. Vi prego, rimettete la spada nel fodero.

NYM
Mi date gli otto scellini che ho vinto alla scommessa?

PISTOLA
Sei scellini e mezzo, a contanti; e un bicchierino parimenti ti vo’ dare; e amicizia concorderò e fratellanza: vivrò per Nym e Nym vivrà per me, e questo é esatto, perché sarò vivandiere al seguito delle truppe e mi locupleterò. Qua la mano!

NYM
E mi darai i sei scellini e mezzo?

PISTOLA
L’uno sull’altro esattamente.

NYM
Bene; questo è quanto.

Rientra l’Ostessa.

OSTESSA
Se siete figli di donna, venite subito da sir Giovanni. Ah! poverino, trema tanto per la terzana quotidiana che lo brucia, che è una pietà a vederlo. Cari miei, venite da lui.

NYM
Il Re ha sfogato i suoi cattivi umori sul cavaliere; né più né meno.

PISTOLA
Nym, hai detto giusto. Il suo cuore è fratto e corroborato.

NYM
Il Re è un buon re: ma sia come si vuole, ha i suoi umori e i suoi estri.

PISTOLA
Andiamo a condolerci col cavaliere e quanto a noi, agnellini miei, continuamo a vivere.

[Escono.

SCENA II.

Southampton. La sala del Consiglio.
Entrano EXETER, BEDFORD e WESTMORELAND.

BEDFORD
Come è vero Dio, il Re è assai ardito a fidarsi di questi traditori.

EXETER
Saranno arrestati tra poco.

WESTMORELAND
Con che serenità e calmo contegno si comportano! come se la fedeltà sedesse loro in cuore, coronata d’ossequio e di costante lealtà.

BEDFORD
Il Re conosce pienamente le loro intenzioni avendo intercettate notizie in un modo che nemmeno se lo sognano.

EXETER
Sì; ma come si può pensare che l’uomo che é stato suo compagno di letto e che egli ha riempito di favori sin quasi a sazietà, si induca per oro straniero a consegnare il suo sovrano al tradimento e alla morte?

Suono di trombe. Entrano RE ENRICO, SCROOP, CAMBRIDGE, GREY e persone del seguito.

RE ENRICO
Ora il vento é favorevole e ci imbarcheremo. Monsignore di Cambridge, e mio buon signore di Masham, e voi, caro cavaliere, ditemi quello che pensate. Non ritenete che l’esercito che conduciamo con noi riuscirà ad aprirsi il passo attraverso alle forze francesi compiendo l’impresa per cui lo abbiamo raccolto?

SCROOP
Nessun dubbio, signore, se ciascun uomo farà del suo meglio.

RE ENRICO
Non ne dubito; giaché siamo ben convinti che non portiamo di qua con noi un sol cuore che non consenta col nostro e siam certi che quelli che restano desiderano tutti che la fortuna e la vittoria ci accompagnino.

CAMBRIDGE
Non ci fu mai monarca più venerato e amato di Vostra Maestà, e non c’è suddito che soffra e sia inquieto alla dolce ombra del vostro governo.

GREY
E vero; quelli che erano nemici di vostro padre hanno temprato la loro amarezza col miele e vi servono con cuori compenetrati di zelo e di senso del dovere.

RE ENRICO
Questo ci riempie l’animo di gratitudine e vogliamo dimenticare l’uso delle mani piuttosto che non ricompensare il merito secondo la sua importanza e dignità.

SCROOP
Così i vostri servi lavoreranno con accresciuto vigore e rinfrancati dalla speranza ne trarranno stimolo a operare incessantemente.

RE ENRICO
La pensiamo anche noi così. Zio Exeter, fate mettere in libertà l’uomo arrestato ieri per avere inveito contro la nostra persona: crediamo che sia stato istigato dall’ubbriachezza, e siccome siam certi che vi ha riflettuto bene gli facciamo grazia.

SCROOP
Questa é clemenza; ma è anche mancanza di cautela: lasciatelo punire, sire, perché, l’esempio non produca altri casi del genere, se si tollera un atto come questo.

RE ENRICO
Non ostacolate la nostra clemenza.

CAMBRIDGE
Vostra Maestà può mostrarsi misericordioso, anche facendolo punire.

GREY
Sire, gli usate già gran misericordia se, dopo averlo punito severamente, gli fate grazia della vita.

RE ENRICO
Ahimé! il grande amore e la cura che avete per me son severe requisitorie contro quel povero diavolo. Se non si chiudono gli occhi alle piccole colpe causate dall’ubbriachezza, como li dovremo spalancare quando ci compariranno davanti delitti capital, masticati, inghiottiti e ben digeriti! Dunque faremo mettere in libertà quelll’uomo, sebbene Cambridge, Scroop, Grey, ansiosi e preoccupati per l’incolumità della nostra persona, desiderino che sia punito. E ora venendo agli affari di francia, chi sono i Comissari recentemente nominati?

CAMBRIDGE
Uno sono io, sire; Vostra Maestà ordinò ieri che chiedessi l’ufficio.

SCROOP
Così faceste con me, mio sovrano.

GREY
E con me, sire.

RE ENRICO
E allora Riccardo, conte di Cambridge, ecco qui il vostro mandato; ed ecco qui il vostro, lord Scroop di Masham, e voi Grey di Northumberland, signor cavaliere, eccovi il vostro. Lord Westmoreland e zio Exeter, ci imbarcheremo questa notte. Come! signori, che cosa vedete in codesti fogli che vi fa cambiar colore? guardate come si sono mutate in volto; perché le loro guance sono bianche come la carta? Ebbene, che cosa vi avete letto che vi ha talmente impauriti e che vi ha tolto il sangue dal viso?

CAMBRIDGE
Confesso la mia colpa, e mi sottometto alla mercé di Vostra Maestà.

GREY e SCROOP
E ad essa noi pure ci raccomandiamo.

RE ENRICO
La clemenza che poco fa era ancor viva in noi è stata soffocata e ucisa dal vostro consiglio. Se avete un po`di pudore non osate parlare di clemenza; poiché le ragioni che avete portate si rivolgono contro voi stessi come cani contro i loro padroni e vi azzannano. Vedete, principi e nobili pari, questi mostri inglesi! Voi tutti sapete come il nostro affetto é stato pronto a concedere a monsignor di Cambridge costì tutti gli onori spettanti alla sua dignità; e quest’uomo per poche leggere corone si é indotto a cospirare alla leggera e ad accedere con giuramento agli intrighi orditi dal re di Francia per ucciderci qui in Hampton; e lo stesso ha giurato questo cavaliere legato a noi non meno di Cambridge per benefici ricevuti. Ma oh! cosa dirò di te, lord Scroop, creatura crudele, selvaggia, ingrata e inumama? Tu che tenevi la chiave di tutti i miei consigli, che conoscevi le parti più riposte della mia anima, che avresti quasi potuto coniarmi in monete d’oro se avessi voluto sfiuttarmi nel tuo interesse! È possibile che denaro straniero potesse estrarre da te la minima particella di male per molestarmi anche soltanto un dito? così strano che, sebbene la verità spicchi evidente come il nero sul bianco, l’occhio mio quasi non riesce a discernerla. Tradimento giogo come due demoni che hanno giurato di aiutarsi a vicenda, operando per motivi grossolanamente naturali cosicché non provocano esclamazioni di stupore; ma tu, andando oltre ogni misura, hai fatto sì che lo stupore accompagnase il tradimento e l’assassinio; e quell’astuto demonio, qualunque sia stato, che ti ha manipolato in modo così assurdo, deve essersi acquistato nell’inferno reputazione di eccellente. Tutti gli altri spiriti maligni che suggeriscono tradimento mettono insieme l’opera di dannazione alla bell’e meglio, prendendo a prestito da una simulata onestà vistosi colori e forme speciose; ma quello che ti ispirò disse: «Ora puoi andare» e non ti insegnò nessun motivo per tradire, se non che avresti gradito ornarti del nome di traditore. Se quello stesso demonio che ti ha così menato pel naso percorresse con passo leonino l’intiero mondo, potrebbe ritornare all’ampio Tartaro e dire alle legioni infernali: «Non potrò mai conquistar un’anima così fácilmente come quella di questo Inglese». Oh! Come hai infettato di sospetti la dolcezza della fiducia! Vi sono uomini che sembrano ligi al dovere? Ebbene, anche tu lo sembravi; che sono dotti e seri? ebbene, anche tu lo eri; di nobile familia, religiosi, sobri, liberi da eccessi sia di gioia, sia di collera, fermi, non dominati dagli impulsi, di contegno decoroso, uomini che operano sempre a ragion veduta e pesano con accurato discernimento le testimonianze dell’occhio e dell’orecchio? anche tu sembravi tale, fornito di qualità passate al vaglio più scrupoloso. E così la tua caduta ha prodotto una specie di contaminazione che fa sospettare anche degli uomini meglio dotati. Piangerò per te, perché questo tuo fallo è come una seconda caduta del genere umano. Le loro colpe sono manifeste: arrestateli perché rispondano di esse alla legge. E Dio li perdoni pei loro tradimenti.

EXETER
Ti arresto per alto tradimento col nome di Ricardo conte di Cambridge; ti arresto per alto tradimento col nome di Enrico Scroop di Masham; ti aresto per alto tradimento col nome di Tommaso Grey cavaliere del Northumberland.

SCROOP
Dio ha giustamente rivelati i nostri propositi, e mi dolgo della mia colpa più che della mia morte; e supplico Vostra Maestà di perdonare, sebbene il corpo debba pagare il fio.

CAMBRIDGE
Non sono stato sedotto dall’oro di Francia, sebbene lo abbia preso per raggiungere più fácilmente i miei scopi; ma sia ringraziato Dio che non l’ha permesso; ne godrò col cuore al momento dell’espiazione, suplicando Dio e voi di perdonarmi.

GREY
Un suddito fedele non godette mai tanto della scoperta di un pericolosissimo tradimento quanto gioisco ora di essere stato impedito in così maledetta impresa. Perdonate la mia colpa, ma non risparmiate il mio corpo, sire.

RE ENRICO
Dio vi assolva nella sua clemenza. Ascoltate la vostra condanna. Vou avete cospirato contro la nostra reale persona; vi siete uniti a un nemico dichiarato e dai suoi forzieri avete ricevuto oro, arra della nostra morte; e con questo non solo avreste condannato il vostro re all’uccisione, ma i suoi principi e pari alla servitù, i suoi sudditi all’opressione e al disprezzo, l’intiero regno alla desolazione. Per riguardo alla nostra persona non vogliamo vendetta; ma quanto al regno di cui avete cercato la rovina, ci corre l’obbligo di curarne la salvezza e perciò vi sottoponiamo al rigore delle sue leggi. Andatevene di qua a morte, poveri sciagurati! Dio nella sua clemenza ve ne renda memo amaro il sapore, e vi ispiri sincero pentimento delle vostre gravi colpe. Conduceteli via. [Escono Cambridge, Scroop e Grey con le guardie] Ora, signori, in Francia l’impresa sarà gloriosa per voi non memo che per noi. Non dubitiamo dell’esito fortunato della guerra, perché Dio ha per sua grazia rivelato questo pericoloso tradimento occulto che ne minacciava l’inizio. Ora non temiamo che ogni difficoltà non sia tolta dal nostro cammino. E allora avanti, cari concittadini! Affidiamo la nostra potenza alle mani di Dio e mettiamola senz’altro in movimento. Imbarchiamoci lietamente e spieghiamo le bandiere: non vi può essere vero re d’Inghilterra se non è anche re di Francia.

[Escono.

SCENA III.

Londra. Davanti a una taverna.
Entrano l’Ostessa, PISTOLA, NYM, BARDOLFO e il Ragazzo.

OSTESSA
Ti prego, marito mio dolcissimo, lascia che ti accompagni sino a Staines.

PISTOLA
No, perché il mio cuore virile dolora. Bardolfo, sii allegro; Nym, fuori con le tue vanterie; ragazzo, sfodera il tuo coraggio, perché Falstaff è morto, e dobbiamo far lutto.

BARDOLFO
Vorrei essere con lui, dovunque sia, in paradiso o all’inferno.

OSTESSA
No, certo, non è all’inferno. Se mai uomo andò nel seno di Arturo è propio lui. Ha fatto la più bella fine che si sia mai vista, e si è spento come un bambino appena nato. È morto fra le dodici e l’una, al voltare della marea; quando l’ho visto spiegazzare le lenzuola e come giocherellare con fiori e sorridere guardandosi la punta delle dita, ho capito che non c’era che una strada per lui; perché aveva il naso affilato come una penna e balbettava di campi verdi. «Che mai, sir Giovanni», dico io, «che c’è, il mio uomo? state di buon animo». E lui a gridare: «Dio! Dio! Dio!» tre o quattro volte: allora per confortarlo, gli ho detto che non pensasse a Dio e che credevo non fosse ancora il momento di confondersi con queste idee. E allora mi ha detto che gli mettessi altre coperte sui piedi: ho messo la mano sotto le lenzuola e glieli ho toccati, ed erano freddi come marmo; allora ho spinto la mano su su sino alle ginocchia, ed erano fredde como marmo, e poi più su e più su, e tutto era freddo come marmo.

NYM
Dicono che abbia imprecato al vin di Spagna.

OSTESSA
Sì, davvero

BARDOLFO
E alle donne.

OSTESSA
Questo poi no!

RAGAZZO
Sì, sì; l’ha propio fatto, e ha detto che erano diavoli incarnati.

OSTESSA
L’incarnato è un colore che non ha mai potuto tolerare.

RAGAZZO
Una volta disse che il diavolo se lo sarebbe portato per causa delle done.

OSTESSA
In qualche modo, sì, ha accennato alle done; ma era reumatico e parlava della meretrice di Babilonia.

RAGAZZO
Non ricordate che vedeva una pulce ferma sul naso di Bardolfo e diceva che era un’anima nera che bruciava nel fuoco dell’inferno?

BARDOLFO
Ma! l’alimento che manteneva quel fuoco é finito; e queste sono tutte le ricchezze che mi sono guadagnate al suo servizio.

NYM
Andiamo, o troveremo che il Re è gia partito da Southampton.

PISTOLA
Andiamo, amor mio: le tue labbra! Attenta alle mie masserizie ed ai mie beni mobili. Il buon senso ti governi e la parola d’ordine sia: «Qui si vende a contanti». Non fidarti di nessuno, poiché i giuramenti sono pagliuzze e la fede degli uomini è di pasta frolla, e «tieni duro» è il solo cane che valga qualche cosa, tesoro mio: percio «caveto» sia il tuo consigliere. Va, tergiti gli occhi. E, compagni d’arme, in Francia come sanguisughe a succhiare, succhiare sino all’ultima goccia di sangue.

RAGAZZO
Mi dicono che non faccia bene.

PISTOLA
Toccate la sua morbida bocca e marciamo.

BARDOLFO
Addio, ostessa.

[La baccia.

NYM
Non so baciare, e questo è quanto; ma addio.

PISTOLA
E qui si parrà la tua saggia economia, e segretezza, ti comando.

OSTESSA
Sta bene; addio.

[Escono.

SCENA IV.

Francia. Il Palazzo Reale.
Squillo di trombe. Entrano il RE DI FRANCIA con seguito, il DELFINO, il Duca di Borgogna, il Connestabile e altri.

RE DI FRANCIA
Dunque gli Inglesi si avvicinano con tutto il loro esercito, ed è necessario approntare la nostra resistenza con cura maggiore del solito. Perciò i duchi di Berry, di Bretagna, di Brabante e di Orléans avanzeranno con le truppe, e voi, Principe Delfino, prontamente rifornirete di uomini prodi e di adeguati mezzi di difesa le nostre piazze forti, perché il re d’Inghilterra si avvicina impetuosamente come l’acqua al vortice che la succhia. Conviene dunque che prendiamo tutti quei provvedimenti che il timore può insegnarci coi recenti esempi che han lasciato sui nostri campi i fatali Inglesi da noi posti in non cale.

DELFINO
Venerantissimo padre, è giustissimo che ci armiamo contro il nemico, perché anche se non vi fossero in atto né guerra né dissenso alcuno, la pace stessa non dovrebbe addormentare un regno a tal punto che non si provvedessero difese, non si raccogliessero truppe e non si attendesse ai preparativi, proprio come si fa in attesa di una guerra. Perciò è bene che ci mettiamo in giro a ispezionare i punti più deboli della Francia; ma facciamolo senza mostrar più paura, che se sapessimo l’Inghilterra occupata in una moresca di Pentecoste, perché ha un re così dappoco, e lo scettro è portato così pazzamente da un giovane vano, leggero, superficiale e capriccioso che non c’è ragione di temerne.

CONNESTABILE
Zitto, príncipe Delfino! errate assai nel giudicare questo re. Vostra Altezza chieda agli ambasciatori mandati recentemente con che maestà li ha ascoltati, da che ragguardevoli consiglieri è circondato, quanto moderato nelle obiezioni e di più quanto terribile per la fermezza; e riconoscerete che le sue frivolezze, ormai esaurite, erano come l’apparenza esterna del romano Bruto che nascondeva il suo discernimento sotto le sembianze della follia; così i giardinieri nascondono sotto il concime quelle radici che sorgeranno per prime in pianta delicata.

DELFINO
Non é cosi, mio signore gran connestabile; ma, sebbene non pensi come voi, poco importa. Nella difesa è meglio supporre il nemico più potente di quello che sembra, poiché così si provvede come è necessario; mentre se ci si prepara con debolezza e parsimonia, si fa come l’avaro che per risparmiare un po’ di stoffa sciupa un intiero vestito.

RE DI FRANCIA
Riteniamo pure che Enrico è forte; e, principi, armatevi bene per affrontarlo. La sua famiglia si è nutrita della nostra carne, ed egli è di quella razza sanguinaria che ci ha perseguitati in casa nostra. Lo attesta la nostra memorabile infamia, quando nella fatale battaglia di Crecy tutti i nostri principi furono fatti prigionieri da quel nero vanto del Galles, Edoardo il Principe Nero; e intanto quel gigante di suo padre, dall’alto di una collina gigantesca, incoronato dall’aureo sole, guardava l’eroica prole e sorrideva a vederlo, mentre egli deturpava l’opera della natura e sfigurava le immagini create vent’anni prima da Dio e da padri francesi. Questo è un ramo di quel ceppo vittorioso, e dobbiamo temerne la nativa potenza e il destino che lo protegge.

Entra un Messo.

MESSO
Ambasciatori che vengono da parte di Enrico re d’inghilterra chiedono di essere ammessi alla presenza di Vostra Maestà.

RE DI FRANCIA
Daremo loro subito udienza: introduceteli. [Escono il Messo e alcuni Signori] Vedete che la caccia è condotta con accanita prontezza.

DELFINO
Fate fronte e fermate gli inseguitori; poiché i cani paurosi abbaiano forte solo quano quelli che essi sembrano minacciare fuggono davanti a loro. Mio buon sovrano, tagiate corto con gli Inglesi e fate loro capire di che monarchia siete a capo. L’amor propio, sire, non è così brutto peccato come la negligenza.

Rientrano i Signori con EXETER e il seguito.

RE DI FRANCIA
Da parte del nostro fratello d’Inghilterra?

EXETER
Da parte sua; e così egli saluta Vostra Maestà. In nome di Dio Onnipotente vuole che vi togliate di dosso e mettiate da parte le glorie usurpate, che per dono del Cielo, per legge di natura e per diritto delle genti, appartengono a lui e ai suoi eredi; cioè la corona di Francia e gli ampi onori che l’accompagnano per consuetudine e per prescrizione secolare. Perché sappiate che non è una pretesa falsa o illegale cercata nelle tarlature di un remoto passato né rinvenuta frugando nella antica polvere dell’oblio, vi manda da esaminare questo albero genealogico che dimostra chiaramente e ricorda in modo esatto la sua discendenza. E vi ingiunge che, quando lo troverete disceso in linea retta dal più celebre dei suoi famosi antenati, Edoardo III, gli cediate la corona e il regno sottratti fraudolentemente a lui genuine e legittimo pretendente.

RE DI FRANCIA
Altrimenti che cosa si verificherà?

EXETER
Sanguinosa coercizione; poiché se nascondete la corona anche nei vostri cuori, ivi frugherà per prenderla. Perciò egli viene in fiera tempesta, tuono e terremoto come Giove, per costringere, se le richieste non gioveranno. Quindi vi ingiunge, per le viscere del Signore, di consegnare la corona e di avere pietà delle povere anime per cui questa guerra vorace già spalanca le ampie fauci; facendo ricadere sul vostro capo il sangue dei morti, le lagrime delle vedove, le grida degli orfani, i gemiti segreti delle vergini, per i mariti, pei padri, pei fidanzati che saranno inghiottiti in questa lotta. Queste sono le sue domande, le sue minacce, e il mio messaggio; salvo che non sia qui presente il Delfino, al quale porto un saluto inviato espresamente per lui.

RE DI FRANCIA
Quanto a noi, prendiamo tempo a considerare tutto ciò: domani vi diremo le nostre precise intenzioni da comunicare al nostro confratello d’Inghilterra.

DELFINO
E se desiderate il Delfino, eccolo qui: che avete da dirgli da parte del re d’Inghilterra?

EXETER
Spregio e sfida. La considerazione che fa di voi si riassume così: disistima, disprezzo, qualunque cosa che non sia disdicevole al potente che vi manda questo messaggio. Così dice il mio re, e se vostro padre, accogliendo tutte le nostre richieste, non addolcisce l’amara beffa fatta a Sua Maestà, questi vi chiamerà a renderne tal conto che le vuote caverne e le sotterraree viscere della Francia vi rimprovereranno il vostro trascorso e riecheggeranno il vostro scherno con la voce dei suoi cannoni.

DELFINO
Ditegli che, se mio padre gli darà una risposta arrendevole, ciò avverrà contra la mia volontà, perché non desidero che di accapigliarmi col re d’Inghilterra: e a questo scopo per far degno riscontro alla sua giovanile frivolezza gli mandai in regalo palle da tennis di Parigi.

EXETER
E per questo farà tremare il vostro Louvre di Parigi anche se fosse il primo campo di tennis della possente Europa. E state pur certo che troverete una grande differenza, come con meraviglia l’abbiamo trovata noi suoi sudditi, fra le qualità che ci promettevano gli anni della immaturità e quelle che possiede ora. Adesso egli pesa il tempo sino allo scrupolo e ve ne accorgerete a vostro danno se rimane in Francia.

RE DI FRANCIA
Domani saprete pienamente come la pensiamo.

EXETER
Lasciateci in libertà il più presto possible, affinché il nostro re non venga qui in persona a chiedere perché tardiamo, poiché ha già messo piede su questa terra.

RE DI FRANCIA
Sarete presto rimandati con buone condizioni. Una notte è un periodo di respiro assai breve per rispondere a cose di tanta importanza.

[Squillo di tromba. Escono

Atto III

Entra il Coro.

CORO
Così sulle ali dell’immaginazione la nostra scena si sposta con la rapidità del pensiero. Supponete di aver visto il Re bene armato imbarcarsi al molo di Southampton, e la sua splendida flotta far vento al giovane Febo con seriche bandiere. Fare lavorare la fantasia e con l’aiuto suo vedete i mozzi che si arrampicano sui cordami di canapa, udite lo stridulo fischietto che mette ordine fra i suoni confusi; osservate le conteste vele spinte dal vento che spira invisibile condurre pei solchi del mare le immense navi che tagliano con le prore i cavalloni. Immaginatevi di essere sulla riva e di guardare una città che danza sui flutti incostanti, perché tale appare questa flotta maestosa che segue la sua rotta verse Harfleur. Seguitela, seguitela! Afferratevi con la mente alla poppa di queste navi, e lasciate d’Inghilterra silenziosa come il cuor della notte, custodita da vegliardi, vecchie e bambini: tutta gente che ha già oltrepassato la pienezza del vigore o non vi è ancor giunta; chi vi è mai infatti che abbia un sol pelo sul mento e non segua in Francia questa eletta di cavalieri? Lavorate di fantasia e con essa vedete un assedio: notate sugli affusti i cannoni che spalancano le bocche micidiali contro Harfleur circondata; ma poi supponete che l’ambasciatore francese ritorni e dica a Enrico che il Re gli offre sua figlia Caterina e con lei in dote alcuni piccioli ducati di nessuna importanza. L’oferta è respinta, i pronti artiglieri toccano con la miccia i diabolici cannoni allarme, sparo di cannoni] e tutto crolla davanti a loro. E ora siate tanto cortesi da completare ancora il nostro spettacolo con l’opera della vostra mente.

[Esce.

SCENA I.

Francia. Davanti a Hartfleur.
Allarme. Entrano RE ENRICO, EXETER, BEDFORD, GLOUCESTER e Soldati con scale a piuoli.

RE ENRICO
Ancora una volta sulla breccia, cari amici, ancora una volta, o chiudete l’apertura del muro coi cadaveri dei nostri commilitoni. In pace nulla si adatta a un uomo come il contegno dimesso e l’umiltà. Ma quando avete nell’orecchio lo squillo della guerra, allora imitate l’azione della tigre: irrigidite i muscoli, chiamate a raccolta tutto il vostro coraggio, nascondete la bonarietà sotto le sembianze di un truce furore; date all’occhio un aspetto terribile; fate che scruti attraverso alle feritoie del capo come un cannone di bronze, e la fronte lo domini cosi paurosamente come una roccia frastagliata sporge e sopravanza alla base logora divorata dal selvaggio oceano devastatore. Ora serrate i denti, aprite ben bene le narici, rattenete il respiro e tendete il coraggio sin dove può giungere. Avanti, avanti, nobilissimi Inglesi, il cui sangue deriva da padri provati nella guerra, padri che come altrettanti Alessandri combatterono in questi luoghi dalla matrina alla sera e ringuainarono le spade solo per mancanza di avversari. Non disonorate le vostre madri e dimostrate che coloro che chiamete padri vi hanno verametne generati. Siate esempio a uomini di sangue più grossolano e insegnate loro come si fa la guerra. E voi, buoni fanti, le cui membra furono procreate in Inghilterra, qui mostrate come foste nutriti. Possiamo giurare che senza dubbio alcuno siete degni della razza a cui appartenete, poiché non c’è nessuno di voi tanto basso e vile che non abbia un generoso lampo negli occhi. Vedo che state come levrieri che tirano il guinzaglio, pronti a lanciarsi. La partita è incominciata. Seguite l’impulso del vostro coraggio. Questo è l’ordine, e ora gridate: «Dio per re Enrico! Inghilterra e San Giorgio!».

[Allarme. Sparo di cannoni. Escono.

SCENA II.

Lo stesso luogo.
Entrano NYM, BARDOLFO, PISTOLA e RAGAZZO.

BARDOLFO
Su, su, su! alla breccia, alla breccia!

NYM
Per favore, caporale, fermati. I colpi sono troppo caldi, e per parte mia non ho un assortimento di vite; codesto scherzo scotta troppo, questa è l’antifona.

PISTOLA
L’antifona è appropriatissima, poiché gli scherzi di questo genere abbondano.
Colpi a drita e a manca, cadon di Dio i vassalli,
e spada e scudo
nel sanguinoso ludo
acquistan fama immortale.

RAGAZZO
Vorrei essere in un’osteria a Londra! darei tutta la mia fama per un boccale di birra e la pelle salva.

PISTOLA
E io:
Se ai desideri dessi il sopravvento,
non mancherei all’intento,
ma volerei là dov’io bramo.

RAGAZZO
Sì celermente,
ma non sì onestamente,
come uccel canta sul ramo.

Entra FLUELLEN,

FLUELLEN
Su, alla preccia, pirpanti! fia, gaglioffi!

[Cacciandoseli avanti.

PISTOLA
Sii misericordioso, grande duca, verso esseri di mortale argilla; smorza la tua furia, smorza la tua animosa furia, smorza la tua furia, grande duca; bello mio, smorza la tua furia; usaci indulgenza, cocco bello.

NYM
Ecco del buon umore! Vostra Signoria conquista i cattivi umori.

[Escono Nym, Pistola, Bardolfo, seguiti da Fluellen.

RAGAZZO
Giovane come sono, ho osservato questi tre smargiassi. Servo come garzone tutti e tre: ma se loro tre servissero me, non farebbero un uomo intiero; davvero tre pagliacci simili sommati insieme non fanno un uomo. Bardolfo è rosso in faccia, ma ha il fegato bianco come un cencio; quindi la vince con la faccia tosta, ma non con le armi. Pistola ha una lingua che uccide, ma una spada cheta cheta, e così massacra le parole, ma conserva intatte le armi. Nym ha sentito dire che gli uomini taciturni sono i migliori, e perciò non dice le orazioni per paura di essere creduto vigliacco; ma le sue rare male parole s’accompagnano con altrettanto rari buoni fatti, perché non ha mai rotte altre teste che la sua, e ciò avvenne contra un palo un giorno che era ubbriaco. Rubano tutto e lo chiamano acquistare. Bardolfo ha rubato una custodia da liuto, l’ha portata per dodici leghe e l’ha venduta per tre soldi e mezzo. Nym e Bardolfo sono amici per la pelle nel portar via la roba degli altri, e a Calais hanno rubato un ramaiolo; ho capito da questo che erano disposti a mandar giù qualunque cosa. Vorrebbero che acquistassi familiarità con le tasche del prossimo quanta ne hanno i guanti o i fazzoletti: ma sarebbe contro la mia dignità di uomo prender dalla tasca altrui per meter nella mia; poiché non si intascano che le offese. Debbo propio lasciarli e cercarmi qualque servicio migliore. La loro furfanteria mi dà allo stomaco, che non è abastanza forte per soportarla: e debbo perciò rigettarla.

[Esce.
Rientra FLUELLEN seguito da GOWER.

GOWER
Capitano Fluellen, dovete venire subito alle mine; il duca di Gloucester vuol parlare con voi.

FLUELLEN
Alle mine! dite al duca che non è il caso che si fada alle mine perché le mine non sono state fatte secondo i princìpi dell’arte della guerra; gli scafi non sono pene profondi; perché fedete, l’affersario − e potete dirlo al duca − ha scafato circa quattro praccia sotto con le contromine, Per Pacco, credo che farà saltare tutto in aria, se non si prendono migliori disposizioni.

GOWER
Il duca di Gloucester, a cui é affidata la direzione dell’assedio, si lascia consigliare da un Irlandese, un uomo senza dubbio di gran valore.

FLUELLEN
È il capitano Macmorris, non è fero?

GOWER
Credo che sia lui.

FLUELLEN
Per Pacco; è la più grande pestia che ci sia al mondo e glielo direi in faccia; nell’arte della guerra, fedete, dico l’arte romana della guerra, non è più prafo di un pòtolo.

Entrano MACMORRIS e JAMY in distanza.

GOWER
Eccolo qui, e con lui è il capitano Jamy delle truppe scozzesi.

FLUELLEN
Il capitano Jamy è un signore falorosissimo, questo è certo, e di grande esperazanza e cultura circa le antiche pataglie, per quello che so delle sue disposizioni; per Pacco, egli sostiene i suoi argomenti meglio di qualsiasi altro ufficiale al mondo, fondandosi sui princìpi praticati dai Romani nelle anticche pattaglie.

JAMY
Buon ciorno, capitano Fluellen.

FLUELLEN
Puona será a Vostra Signoria, puon capitano Jamy.

GOWER
Ebbene, capitano Macmorris, avete lasciate le mine? gli zappatori hanno smesso il lavoro.

MACMORRIS
Per Grishto! cosce mal fatte: sci rinuncia al lavoro e la tromba sciuona la ritirata. Giuro per queshta mano e per l’anima di mio padre che sciono cosce mal fatte; sci è rinunciato, e io, Grishto mi scialvi, avrei fatto scialtare in aria la città in un’ora. Oh! cosce mal fatte, cosce mal fatte, gashpita, cosce mal fatte!

FLUELLEN
Capitano Macmorris, fi prego ora; forreste concedermi di disputare con foi un poco sulle arti delle pattaglie, delle pattaglie romane, tanto per discutere, fedete, e per scampiare amichefolmente le idee, fuoi per soddisfare il mio pensiero, fuoi per la soddisfazione, fedete, della mia mente, quanto ai principi dell’arte della guerra: ecco il pusillis.

JAMY
Benissimo, cari capitani, ciuraddio, se trovo l’occasione ciusta: proprio davvero.

MACMORRIS
Grishto mi aiuti, non è tempo di chiacchiere. Oggi tutto schotta: il tempo, la batagglia, il Re e i duchi: non è tempo di chiacchiere. La città è ascediata e la tromba ci chiama alla breccia; nos shtiamo qui a parlare e intanto non sci fa nulla, per Grishto. dio mi ascishta, è una vergogna shtar qui con le mani alla cintola, con tutte le gole che ci sciono da tagliare e tutto il lavoro che c’è da fare: e intanto con sci fa niente, per Grishto!

JAMY
Per Dio! prima che kvesti occhi miei si abbandonino in braccio a Morfeo, o farò kvalche cosa di buono o ciacerò sul terreno, sì, procomberò; ma venderò la pelle più cara che potrò, ciuraddio, e kvesto è kvanto; ma, per la Vercine, mi sarebbe fa niente, per Grishto!

FLUELLEN
Capitano Macmorris, state attento e se spaglio correggiatemi liperamente; credo che non fi siano molti della fostra nazione…

MACMORRIS
Della mia nazione? E cosc’è la mia nazione? Furfante, bashtardo, briccone e mashcalzone. Cosc’è la mia nazione? chi parla della mia nazione?

FLUELLEN
Fedete un po’ qui; se prendete la cosa in modo tutto contrario a quello che intendefo io, capitano Macmorris, forse penserò che non mi usate tutta quella cortesía che dofreste se afeste senno, fedete, perché non sono al di sotto di foi per scienza nell’arte delle pattaglie, per nascita e per tutto il resto.

MACMORRIS
No, non credo che sciate un pari mio; e Grishto mi aiuti, vi taglierò la teshta.

GOWER
Signori miei, c’è un malinteso fra voi due.

JAMY
È un brutto ekvivoco.

[Si suona a parlamento.

GOWER
La città invita a parlamentare.

FLUELLEN
Capitano Macmorris, quando si richiederà una occasione più migliore, federe, prenderò la lipertà di farfi defere che conosco pene l’arte delle pattaglie; e pasta così.

[Escono.

SCENA III.

Lo stesso luogo. Davanti alle porte.
Il Governatore e alcuni cittadini sulle mura; truppe inglesi sotto. Entra RE ENRICO col seguito.

RE ENRICO
Cosa decide il governatore della città? questa è l’ultima volta che consentiamo a parlamentare: perciò affidatevi alla nostra clemenza, altrimenti, come uomini che ambiscono la loro stessa distruzione, ci sfidate a fare quanto di peggio può accadere: poiché come è vero che sono un soldato − il nome che nei miei pensieri meglio mi conviene − se comincio ancora una volta il bombardamento, non lascerò questa città di Harfleur semiconquistata, sinché non sia sepolta nelle sue stesse ceneri. Chiuderemo tutte le porte della misericordia e il soldato, fatto rude e spietato dopo aver sentito l’odore del sangue, vagherà libero di uccidere, con una coscienza ampia come l’infemo, mietendo come fossero erba le vostre belle fanciulle e i bambini fiorenti. Che importerà a me allora se l’empia guerra, col volto affumicato e rivestita di fiamme come il principe dei demoni, compirà tutte le fiere gesta attinenti alla distruzione e alla devastazione? Che importerà a me, dal momento che voi stessi ne sarete la causa, se vergini pure cadranno in mano dello stupro ardente e violento? Come si può imbrigliare la malvagità sfrenata quando corre a precipizio giù per la china? Tanto vale comandare ai soldati infuriati che fanno bottino quanto ordinare al leviatano di venire a riva. Perciò, uomini di Harfleur, abbiate compassione della vostra città e del vostro popolo, mentre ho ancora in pugno i soldati, e mentre la fresca e moderata aura della grazia tiene lontane le nubi sozze e infette del massacro impetuoso, del sacco e delle atrocità di ogni specie. Altrimenti, aspettatevi tra pochi istanti di vedere il soldato accecato dal sangue contaminare con sozza mano le chiome delle vostre figlie strepitanti; i vostri padri afferrati per le bianche barbe e le loro teste venerande sfracellate contro i muri, i vostri piccoli infilati nudi sulle picche, mentre le madri impazzite feriranno il cielo con le loro urla confuse, come quando le donna di Giudea imprecavano contra gli sgherri sanguinari di Erode. Che dite? cederete e renderete vano tutto ciò, o colpevoli di volervi difendere a ogni costo.

GOVERNATORE
Le nostre esperanze oggi sono svanite. Il Delfino a cui avevano chiesto aiuto ci risponde che non ha forze pronte per far levare così grande assedio. Perciò, gran Re, affidiamo la nostra città e le nostre vite alla tua umana misericordia. Varca le porte; disponi di noi e delle cose nostre, perché non siamo più in condizione di difenderci.

RE ENRICO
Aprite le porte! Suvvia, zio Exeter, entrate in Hartfleur; rimanetevi e munitela fortemente contro i Francesi: usate clemenza con tutti. Quanto a noi, caro zio, poiché l’inverno si avvicina e le malattie si diffondono fra i nostri soldati, ci ritireremo a Calais. Questa notte saremo vostri ospiti in Hartfleur, e domani saremo pronti a marciare.

[Squillo di trombe. Il Re entra in città col seguito.

SCENA IV.

Rouen. Stanza nel Palazzo.
Entrano CATERINA e ALICE.

CATERINA
Alice, tu as été en Angleterre, et tu parles bien le langage.

ALICE
Un peu, madame.

CATERINA
Je te prie, m’enseignez; il faut que j’apprenne à parler. Comment appelez-vous la main en anglois?

ALICE
La main? elle est appelée de hand.

CATERINA
De hand. Et les doigts?

ALICE
Les doigts? ma foi, j’oublie les doigts; mais je me souviendrai. Les doigts? je pense qu’ils sont appelés de fingres.

CATERINA
La main, de hand; les doigts, de fingres. Je pense que je suis le bon écolier; j’ai gagné deux mots d’anglois vitement. Comment appelez-vous les ongles?

ALICE
Les ongles, nous les appelons de nails.

CATERINA
De nails. Ecoutez; dites-moi si je parle bien: de hand, de fingres, et de nails.

ALICE
C’est bien dit, madame; il est fort bon anglois.

CATERINA
Dites-moi l’anglois pour le bras.

ALICE
De arm, madame.

CATERINA
Et le coude?

ALICE
De elbow

CATERINA
De elbow. Je m’en fais la répétition de tous les mots que vous m’avez appris dès à présent.

ALICE
Il est trop difficile, madame, comme je pense

CATERINA
Excusez-moi, Alice; écoutez: de hand, de fingres, de nails, de arm, de bilbow.

ALICE
De elbow, madame.

CATERINA
O Seigneur Dieu, je m’en oublie! de elbow. Comment appelez-vous le col?

ALICE
De neck, madame.

CATERINA
De nick. Et le menton?

ALICE
De chin.

CATERINA
De sin. Le col, de nick; le menton, de sin.

ALICE
Oui. Sauf votre honneur, en vérité, vous prononcez les mots aussi droit que les natifs d’Angleterre.

CATERINA
Je ne doute point d’apprendre, par la grace de Dieu, et en peu de temps.

ALICE
N’avez-vous pas déjà oublié ce que je vous ai enseigné?

CATERINA
Non, je reciterai à vous promptement: de hand, de fingres, de nails…

ALICE
De nails, madame.

CATERINA
De nails, de arme, de ilbow.

ALICE
Sauf votre honneur, de elbow.

CATERINA
Ainsi dis-je; de elbow, de nick et de sin. Comment appelez-vous le pied et la robe?

ALICE
De foot, madame, et de coun.

CATERINA
De foot et de coun? O Seigneur Dieu! ce sont mots de son mauvais, corruptible, gros, et impudique, et non pour les dames d’honneur d’user. Je ne voudrois prononcer ces mots devant les seigneurs de France, pour tout le monde. Il faut de foot et de coun, néanmoins. Je reciterai une autre fois ma leçon ensemble: de hand, de fingres, de nails, de arm, de elbow, de nick, de sin, de foot, de coun.

ALICE
Excellent, madame!

CATERINA
C’est assez pour une fois. Allons-nous à diner.

[Escono.

SCENA V.

Lo stesso luogo.
Entrano il RE DI FRANCIA, il DELFINO, il DUCA DI BORBONE, il CONNESTABILE DI FRANCIA e altri.

RE DI FRANCIA
È certo che ha passato la Somme.

CONNESTABILE
Se non si combatte contro di lui, sire, non è più il caso di vivere in Francia: abbandoniamo tutto e cediamo i nostri vigneti a un popolo barbaro.

DELFINO
O Dieu vivant! alcuni pochi ramoscelli del nostro tronco, il superfluo della virilità dei nostri padri, i nostri virgulti innestati su un ceppo selvatico e barbaro debbono proprio crescere così improvvisamente sino al cielo e guardare dall’alto in basso chi li ha innestati?

BORBONE
Normanni, ma bastardi, bastardi! Mort de ma vie! se si avanzano e non li combattiamo, venderò il mio ducato e comprerò un podere pantanoso e sudicio in quella frastagliata isola di Albione.

CONNESTABILE
Dieu des batailles! dove trovano tanto spirito? non è il loro clima nebbioso, crudo e grigio, e il sole non li guarda pallido, quasi per dispetto, uccidendo i loro frutti col suo cipiglio? Il loro brodo d’orzo, acqua bollita, un beverone che va bene per rozze fiaccate, potrà riscaldare il loro sangue che è così vivo nelle vene ed è rinvigorito dal vino, sembrerà invece tanto gélido? Oh! per l’onore della nostra terra non pendiamo come ghiacciuoli penzolanti dai tetti delle nostre case, mentre un popolo così frígido trasuda giovinezza e valore nei nostri campi, ricchi sì, ma poveri, diciamolo pure, riguardo ai signori che vi hanno avuto i natali.

DELFINO
In fede mia e sul mio onore, le nostre dame ci deridono e dicono chiaramente che il nostro vigore è esaurito e che concederanno i loro corpi alla esuberante virilità dei giovani inglesi, per approvvigionare la Francia di guerrieri bastardi.

BORBONE
Ci invitano nelle loro scuole di ballo inglesi a insegnare le alte piroette della volta la briosa corrente, dicendo che ogni nostro merito sta nei calcagni e che siamo abilissimi a scappare.

RE DI FRANCIA
Dov’è Montjoy l’araldo? mandatelo al più presto a portare al re d’Inghilterra una secca sfida. Suvvia, principi; affilando lo spirito dell’onore ancora più che le vostre spade, scendete in campo: Carlo Delabreth, gran connestabile di Francia, voi duchi di Orléans, Borbone e Berry, Alençon, Brabante, Bar e Borgogna, Jaques Chatillon, Rambures, Vaudemont, Beaumont, Grandpré, Roussi e Fauconberg, Foix, Lestrale, Bouciqualt e Charolois, granduchi, grandi principi, baroni, nobili e cavalieri, in omaggio al vostro gran rango rimovete da voi grandi onte, arrestate Enrico d’Inghilterra che marcia alteramente attraverso al nostro paese con bandiere tinte nel sangue di Harfleur. Precipitatevi sul suo esercito come la neve sciolta fa sulle valli, quando l’Alpe sputa e spurga la sua bava sulla sottoposta bassura. Calategli addosso, avete forza abbastanza, e portatelo prigioniero su un cocchio a Rouen.

CONNESTABILE
Questo s’addice ai forti. Mi duole che i suoi soldati siano così pochi, ammalati e affamati per effetto delle marce, poiché sono certo che quando vedrà il nostro esercito, il suo cuore cadrà in preda al più abbietto terrore e a mo’ di vittoria ci offrirà il prezzo del suo riscatto.

RE DI FRANCIA
Perciò, monsignor Connestabile, affrettate la partenza di Montjoy: dica al re d’Inghilterra che lo abbiamo mandato per sapere che riscatto è disposto a dare. Príncipe Delfino, voi starete con noi in Rouen.

DELFINO
No, no; ne supplico Vostra Maestà.

RE DI FRANCIA
Chetatevi, perché rimarrete con noi. E ora partite, monsignor Connestabile e principi tutti, e portateci presto la notizia della disfatta del re d’Inghilterra.

[Escono.

SCENA VI.

Il campo inglese in Piccardia.
Entrano GOWER e FLUELLEN incontrandosi.

GOWER
Che novità, capitano Fluellen? venite dal ponte?

FLUELLEN
Fi assicuro che si stanno facendo al ponte cose pellissime.

GOWER
Il duca di Exeter è incolume?

FLUELLEN
Il duca di Exeter è magnanimo come Agamenone; è un uomo che amo e onoro con l’anima, col cuore; pronto a fare per lui tutto il mio dofere, tutto quanto sta in me, a dare la fita stessa: egli non è stato ferito per nulla affato, Dio sia lodato e penedetto! E tiene il ponte con grande prafura e secondo tutte le regole dell’arte della guerra. E c’è al ponte anche un tenente alfiere, e in coscienza mi pare che sia pari a Marco Antonio pel falore: non è uomo di alcun conto, ma gli ho fisto fare pelle prodezze.

GOWER
Come si chiama?

FLUELLEN
Alfiere Pistola.

GOWER
Non lo conosco.

Entra PISTOLA.

FLUELLEN
Eccolo qui in persona.

PISTOLA
Capitano, ti prego di essermi cortese. Il duca di Exeter ti ama assai.

FLUELLEN
Sì, grazie a Dio; questo amore l’ho meritato, in parte almeno.

PISTOLA
Bardolfo, un soldato fermo e dal cuore saldo e di attivo coraggio, per crudo fato e per efetto della volubile ruota della Fortuna folle, la cieca dea che sta su la rotante pietra erratica…

FLUELLEN
Permettete, alfiere Pistola: la fortuna si dipinge cieca, sì, con penda dafanti agli occhi, per significare che è orpa; ed è dipinta anche con la ruota per indicare − e questa è la morale della fafola − che gira ed è incostante, ed è tutta mutapilità e fariazione; e il suo piede, fedete, è su una pietra sferica che rotola, e rotola e rotola: in ferità, il poeta ne fa una pellissima descrizione: la rappresentazione della fortuna è un’allegoria eccellente.

PISTOLA
La fortuna é nemica di Bardolfo e gli fa fiero cipiglio, poiché ha rubato una pisside e deve esser impiccato. Maledetta morte! chiappi i cani il capestro, l’uomo sia libero e la corda non gli strozzi il gorgozzule. Ma Exeter gli ha inflitto la mortal condanna per pisside di poco conto. Vai dunque e parla per lui; il Duca ascolterà la tua voce. Non lasciar che il taglio di una vil corda da un soldo con vile infamia recida di Bardolfo il vital filo. Intercedi, capitano, per la sua vita e te ne rimeriterò.

FLUELLEN
Alfiere Pistola, comprendo solo in parte quello che dite.

PISTOLA
Ebbene, allegrati per questo.

FLUELLEN
Ma, alfiere, non è cosa da rallegrarsi, poiché, fedete, anche se fosse mio fratello, infiterei il Duca a fare quello che più gli piace e a mandarlo a morte, perché la disciplina defe essere rispettata.

PISTOLA
Muori e sii dannato: un fico per la tua amicizia!

FLUELLEN
Penissimo.

PISTOLA
E fico di Spagna!

[Esce.

FLUELLEN
Ottimamente.

GOWER
Bene, questo è un briccone che si dà arie di onest’uomo. Ora lo ricordo: un ruffiano, un borsaiolo.

FLUELLEN
Fi assicuro che al ponte dicefa le più pelle parole che si possano federe un giorno d’estate. Ma fa penone: alla prima occasione si fedrà che quello che mi ha detto fa propio pene daffero.

GOWER
Sicuro: è un imbroglione, un imbecille, un furfante che di quando in quando va alla guerra, per darsi delle arie quando torna a Londra sotto le mentite di combattente. Gente di questa specie ricorda perfettamente i nomi dei grandi generali, e impara a memoria dove sono stati compiuti i vari fatti d’arme, a che ridotta, a che breccia o convoglio, chi fu ucciso, chi ne uscì con onore e chi disonorato, e che condizioni pose il nemico; e questo mandano a mente con perfetta fraseologia guerresca e lo guerniscono con bestemmie di nuevo conio; quando ci si pensa, fa meraviglia vedere che effetto facciano tra boccali spumanti e cervelli imbevuti di birra una barba tagliata come quella di un certo generale e un’uniforme da campagna in pessime condizioni. Ma dovete imparare a conoscere questa gente che disonora il nostro tempo, se non volete commettere qualche grosso equivoco.

FLUELLEN
Fi dico una cosa, capitano Gower; fedo che non è quello che gradirebbe di apparire agli altri; se mi si presenta l’occasione di coglierlo in fallo, gli dirò quello che penso di lui. [Suono di tamburi] Sentite, ecco il Re; debbo dargli notizie di quello che si fa al ponte.

Tamburi e bandiere. Entrano RE ENRICO, GLOUCESTER e soldati.

FLUELLEN
Dio penedica Fostra Maestà!

RE ENRICO
Ebbene, Fluellen! vieni dal ponte?

FLUELLEN
Sì, se piace a Fostra Maestà. Il Duca di Exeter lo ha falorosamente difeso: i Francesi sono stati respinti, dopo farie azioni assai prillanti. L’affersario stafa per impossessarsene, ma è stato costretto a ritirarsi, e il duca di Exeter è padrone della posizione. Posso assicurare Fostra Maestà che lo Duca è un faloroso.

RE ENRICO
Quanti uomini avete perduto, Fluellen?

FLUELLEN
La perdizione dell’affersario é stata molto grande, come era ragionefole; per parte mia credo che il Duca non abbia perso che un uomo, e si tratta di un tale che defe essere impiccato, perché ha rubato in una chiesa, un certo Pardolfo, se Fostra Maestà lo conosce; la sua faccia è tutta pupponi, schianze e pitorzoli, e fuochi folatici. Sempra che le lappra gli soffino sul naso e questo è come un carpone acceso, ora paonazzo e ora rosso; ma a quest’ora il suo naso deve essere stato giustiziato e il fuoco spento.

RE ENRICO
E così vorrei che fossero soppressi tutti i rei di questa sorta: diamo anzi ordine espresso che nelle nostre marce attraverso il paese non si tolga nulla ai villaggi con la forza, che quello che si prende sia debitamente pagato, che nessuno dei Francesi sia rimproverato o offeso con alterigia di linguaggio; perché quando la mitezza e la crudeltà si giocano fra loro un regno, il giocatore più umano è il primo a vincere.

Segnale di tromba. Entra MONTJOY.

MONTJOY
Mi riconoscete certo dal mio abito.

RE ENRICO
Certamente ti riconosco; e che mi vieni a riferire?

MONTJOY
Il pensiero del mio signore.

RE ENRICO
Dimmelo.

MONTJOY
Così parla il mio Re: Dì a Enrico d’Inghilterra che, sebbene sembrassimo morti, non eravamo che addormentati: saper attendere il vantaggio serve meglio in guerra che la precipitazione. Informalo che avremmo potuto inflinggergli un grave scacco a Hartfleu; sennonché abbiamo pensato che non fosse bene tagliare il bubbone finché non fosse maturo.Ora è giunto per noi il momento di recitare la nostra parte e lo faremo con voce imperiale: il re d’Inghilterra si pentirà della sua follia, riconoscerà la sua debolezza e ammirerà la nostra pazienza. Perciò digli di considerare il suo riscatto, che deve essere in proporzione delle spese che abbiamo subite, dei sudditi che ci sono stati uccisi, delle umiliazioni che abbiamo dovuto trangugiare; e se dovesse rispondere in esatta misura, la sua miseria piegherebbe sotto il carico. A compensare le nostre spese il suo tesoro è troppo povero, tutto l’esercito inglese è troppo piccolo per scontare il sangue che abbiamo sparso; e per la nostra umiliazione, se egli in persona si inginocchiasse ai nostri piedi, sarebbe meschina e misera riparazione. A questo aggiungi la mia sfida; e, per concludere, dì che ha tradito i suoi seguaci, la cui condanna è ormai pronunciata. Sin qui il Re mio signore; e sin qui il mio messagio.

RE ENRICO
So qual è il tuo ufficio; ma come ti chiami?

MONTJOY
Montjoy.

RE ENRICO
Sai disimpegnare bene il tuo ufhcio. Ritorna pure e di al tuo Re, che ora non cerco di scontrarmi con lui, ma che vorrei andare a Calais senza impedimenti; poiché, a essere sincero, sebbene non sia saggio fare simili confessioni a un nemico astuto e che sa cogliere così bene il vantaggio, la mia gente è molto indebolita dalle malattie, il mio esercito assottigliato e quei pochi soldati che mi restano non sono meglio di altrettanti Francesi, mentre, se fossero in perfetta salute, te lo dico francamente, araldo, su un paio di gambe inglesi mi parrebbe di veder marciare tre Francesi. Eppure, Dio mio, perdonami, se mi lascio sfuggire queste millanterie, ma è questa vostra aria di Francia che mi ha infettato con questo vizio, e debbo dichiararmi pentito. Va perciò e riferisci al tuo Re che sono qui; il mio riscatto è questo mio fragile corpo che non val nulla, il mio esercito un pugno di uomini estenuati e malaricci. Tuttavia, nel nome di Dio, avvertilo che ci faremo avanti anche se il re di Francia o altro simile potentato ci venisse tra i piedi. Prenditi questo per le tue fatiche, Montjoy. Va e dì al tuo signore di pensarci bene. se ci lasciate passare, passeremo; se ce lo impedite, coloreremo col vostro sangue questa terra giallastra: e così, Montjoy, addio. Il succo della nostra risposta è questo: così come siamo preferiremmo di non venire a battaglia, ma non diciamo che la rifiuteremo. Questo riporta al tuo signore.

MONTJOY
Questo riferirò. Ringrazio Vostra Maestà.

[Esce.

GLOUCESTER
Spero che non ci atacheranno ora.

RE ENRICO
Siamo nelle mani di Dio, fratello, non in quelle dei Francesi. Andiamo al ponte; si avvicina la notte; ci accamparemo oltre il fiume e domani daremo l’ordine della partenza.

[Escono.

SCENA VII.

Il campo francese vicino a Azincourt.
Entrano il CONNESTABILE DI FRANCIA, RAMBURES, ORLÉANS, il DELFINO e ALTRI.

CONNESTABILE
Zitti! La mia è la migliore armatura del mondo; oh, fosse giorno!

ORLÉANS
Avete un’eccellente armatura; ma date al mio cavallo la lode che gli spetta.

CONNESTABILE
E il miglior cavallo d’Europa.

ORLÉANS
Non farà mai giomo?

DELFINO
Monsignore d’Orléans e voi monsignore Gran Connestabile parlate di cavalli e di armature?

ORLÉANS
Sia per l’uno sia per l’altro siete il principe meglio equipaggiato del mondo.

DELFINO
Che notte lunga è questa! Non cambierei il mio cavallo con alcuno che cammina a quattro zampe. Ça, ah! rimbalza da terra quasi che avesse le viscere di crini come una palla da tennis: le cheval volant, il Pegaso, avec les narines de feu! Quando lo cavalco, mi innalzo che mi sembra d’essere un falco: trotta in aria e la terra canta quamdo la tocca; l’infimo corno del suo zoccolo è più armonioso della zampogna di Mercurio.

ORLÉANS
È del colore della noce moscata.

DELFINO
E ha il calore dello zenzero. È l’animale che sembrerebbe fatto apposta per Perseo: è tutt’aria e fuoco; e terra e acqua, torpidi elementi, compaiono soltanto nella sua immobilità paziente quando il cavaliere sta montando in sella: esso solo merita il nome di cavallo, gli altri potete chiamarli bestie.

CONNESTABILE
Davvero, signore, è un cavallo eccellente e impareggiabile.

DELFINO
È il príncipe dei palafreni; il nitrito sembra il comando di un monarca e l’aspetto provoca l’omaggio.

ORLÉANS
Basta, cugino.

DELFINO
No, non ha sale in zucca quell’uomo che dal levarsi dell’allodola fino al coricarsi dell’agnello non sa variare le meritate lodi del mio palafreno. È un tema fluido come il mare: date la parola alle sabbie ed ogni granellino troverà nel mio cavallo argomento suficiente. Merita che un sovrano vi ragioni su, e che un re dei re lo cavalchi e che in ogni parte del mondo, nota e sconosciuta, tutti interrompano le loro particolari occupazioni per ammirarlo. Una volta scrissi in sua lode un sonetto che cominciava così: «O meraviglia di natura…»

ORLÉANS
Ho sentito un sonetto per un’amante che cominciava allo stesso modo.

DELFINO
Sarà stato un’imitazione di quello che scrissi pel mio corsiero, poiché il mio cavallo è la mia amante.

ORLÉANS
E allora si può dire che la vostra amante vi porta bene.

DELFINO
Me, sì: e questa è la migliore lode e riconoscimento di perfezione di una buona amante esclusiva.

CONNESTABILE
No; perché mi pare che ieri la vostra amante vi abbia perversamente scavalcato.

DELFINO
E così forse ha fatto la vostra.

CONNESTABILE
La mia non portava briglia.

DELFINO
Oh! vuol dire allora che era vecchia e docile e che voi cavalcavate vestito come un fante irlandese con calzoni attillati e senza brache larghe alla moda francese.

CONNESTABILE
V’intendete bene d’equitazione.

DELFINO
Lasciatevi consigliare da me, allora; chi cavalca così e non sta attento, va a finire in qualche brutto pantano. Preferisco avere il cavallo per amante.

CONNESTABILE
Tanto varrebbe che la mia amante fosse una giumenta.

DELFINO
Connestabile, ti assicuro che ogni pelo della mia bella è naturale.

CONNESTABILE
Potrei menare simile vanto, se per amante avessi una scrofa.

DELFINO
Le chien est retourné àson propre vomissement, et la truie lavée au boubier; tu fai uso di qualsiasi cosa.

CONNESTABILE
Però non uso il cavallo come amante, o un proverbio simile al vostro così poco a proposito.

RAMBURES
Connestabile, sono stelle o soli quelli che ho visto sull’armatura nella vostra tenda questa notte?

CONNESTABILE
Stelle, signor mio.

DELFINO
Alcune di esse cadranno domani, credo.

CONNESTABILE
E tuttavia il mio cielo non se ne accorgerà neanche.

DELFINO
Può darsi, perché molte sono superflue, e sarebbe più onore se ce ne fosse un minor numero.

CONNESTABILE
Sì, come le lodi del vostro cavallo che trotteterebbe meglio se alcuni dei vostri elogi sperticati scendessero di sella.

DELFINO
Vorrei caricarlo di tutte le lodi che merita! Non si farà mai giorno? domani trotterò un miglio e la mia strada sarà lastricata di facce inglesi.

CONNESTABILE
Non lo direi per timore che mi si facesse rimangiare la mia sfacciataggine. In ogni modo vorrei che fosse mattina per accapigliarmi con gli Inglesi.

RAMBURES
Chi vuol correre il rischio di scommettere che farò venti prigioneri?

CONNESTABILE
Prima dovreste esporvi al rischio di prenderli.

DELFINO
È mezzanotte; vado ad armarmi.

[Esce.

ORLÉANS
Al Delfino par mill’anni che spunti il giorno.

RAMBURES
Al Delfino par mill’anni di mangiarsi gli Inglesi.

CONNESTABILE
Credo che potrà mangiarsi benissimo quelli che ucciderà.

ORLÉANS
Per la bianza mano della mia dama, è un valoroso príncipe.

CONNESTABILE
Anziché per la mano giurate pel piede, che così potrà calpestare il giuramento.

ORLÉANS
Non c’è che dire: è il più attivo gentiluomo di Francia.

CONNESTABILE
Se l’attività sta nel fare, egli è sempre sul punto di fare qualche cosa.

ORLÉANS
No ha mai fatto niente di male, ch’io sappia.

CONNESTABILE
E non ne farà neache domani: si conserverà ancora questa reputazione.

ORLÉANS
So che è un valoroso.

CONNESTABILE
Me lo ha detto anche un altro che lo conosce meglio di voi.

ORLÉANS
Chi è?

CONNESTABILE
Lui stesso: e mi ha ditto che non gli importava che altri lo sapesse.

ORLÉANS
Non occorre neanche dirlo: non è virtù occulta in lui.

CONNESTABILE
Eppure in fede mia lo è, messere: nessuno l’ha mai vista salvo il suo lacchè: è un valore incappucciato come un falco, e quando lo scoprono fa un grande starnazzar d’ali.

ORLÉANS
Il malanimo non parla mai bene.

CONNESTABILE
Risponderò con quest’altro proverbio: «tutti gli amici sono adulatori».

ORLÉANS
E io con questo: «anche al diavolo si debe dare quello che gli spetta».

CONNESTABILE
Giusto! il vostro amico è il diavolo del proverbio e questo gli risponde a puntino: «Al diavolo, il malanno».

ORLÉANS
In fatto di proverbi avete la meglio solo in quanto «lo siocco lancia troppo presto la sua freccia».

CONNESTABILE
Non mi avete colpito.

ORLÉANS
No, e no è neanche la prima volta che siete stato oltrepassato.

Entra un Messo.

MESSO
Gran Connestabile, gli Inglesi sono a millecinquecento passi dalle vostre tende.

CONNESTABILE
Chi ha misurato questa distanza?

MESSO
Monsignor Grandpré.

CONNESTABILE
Un valente ed esperto gentiluomo. Oh, fosse già giorno! Ahimé! il povero Enrico d’Inghilterra non desidera tanto come noi che spunti l’alba.

ORLÉANS
Che miserabile sventato è codesto re d’Inghilterra a brancolare con quei testoni dei suoi seguaci in luoghi che non conosce!

CONNESTABILE
Se gli Inglesi capissero qualche cosa, scapperebbero.

ORLÉANS
E mancano proprio di questo; se fossero armati di intelletto non avrebbero elmi così pesanti.

RAMBURES
L’ Inghilterra genera valorose creature; i loro mastini hanno un coraggio impareggiabile.

ORLÉANS
Cagnacci stupidissimi! che a occhi chiusi si precipitano nelle fauci di un orso russo a farsi schiacciare le teste come mele fradice; sarebbe come dire che una pulce è valorosa perché osa sdigiunarsi sul labbro di un leone.

CONNESTABILE
Proprio, proprio: e gli uomini di quel paese somigliano ai mastini nell’attaccare con violenza e forza brutale, lasciando tutta l’intelligenza alle mogli; imbandite loro generosamente carne di bue, ferro e acciaio e li vedrete mangiare da lupi e combattere da diavoli.

ORLÉANS
Sì, ma ora questi Inglesi sono maledettamente a corto di carne di bue.

CONNESTABILE
E allora domani vedremo che hanno solo voglia di mangiare e punta di combattere. Ora è tempo di armarci; dobbiamo andare?

ORLÉANS
Adesso sono le due; ma lasciatemi un po’vedere; sì, prima delle dieci ciascuno di noi si sarà presi i suoi cento Inglesi.

[Escono.

Atto IV

Entra il CORO

CORO
Ora supponete che un indistinto mormorio e le cieche tenebre riempiano la grande cavità dell’universo. Da un campo all’altro nel grembo dell’ingrata oscurità notturna il mormorio dei due eserciti turba così poco la quiete che ciascuna sentinella immobile quasi sente i bassi bisbigli delle altre che vigilano. Un fuoco risponde all’altro e attraverso alle deboli fiamme ciascun esercito scorge la massa scura dell’avversario. I destrieri sembrano minacciarsi penetrando il sordo orecchio della notte con alti nitriti baldanzosi, e dalle tende gli armorari, dando il tocco finale alle armature dei cavalieri, con operosi martelli ribadiscono le giunture annunciando con terribile suono che si stanno facendo gli ultimi preparativi. I galli per la campagna cominciano a cantare, e gli orologi suonano le tre nel mattino sonnacchioso. Superbi del loro numero, per nulla impensieriti, i Francesi fiduciosi e anche troppo animosi si giocano ai dadi gli Inglesi disprezzati e rimproverano la notte lenta e storpia che pare allontanarsi tediosamente zoppicando come una brutta e turpe strega. I poveri Inglesi condannati, come vittime destinate al sacrifico, stanno pazientemente vegliando intorno ai fuochi e pensano in cuor loro ai pericoli che li attendono il mattino, e il triste atteggiamento, le guance smunte e gli abiti logorati dalla guerra li fanno apparire come altrettanti orrendi spettri alla luna che li guarda. Ma oh! chi ora vedrà il regale comandante di questo esercito in disfacimento andare da tenda a tenda e da un posto di guardia all’altro, gridi: «Lode e gloria sul suo capo!», poiché egli visita tutti i suoi soldati, a ciascuno dà il buon giorno sorridendo affabilmente e li chiama tutti fratelli, amici e compatrioti; dal suo viso non si direbbe che un terribile esercito circonda le sue schiere; egli non ha perduto alcunché del suo colorito per la notte insonne e faticosa, ma appare fresco e vince col lieto aspetto e l’amabile maestà del viso gli effetti della fatica; sicché quei miserabili, prima pallidi e languenti, si fanno coraggio al solo guardarlo. Con una liberalità universale come quella del sole il suo occhio dona a ciascuno, sciogliendo il gelo della paura, cosicché tutto l’esercito, dai più alti personaggi ai più umili soldati, vede, per quanto la nostra debole capacità può rappresentarlo, qualcosa di Enrico nella notte. E ora la nostra scena deve spostarsi rapidamente al campo di battaglia dove, ahimè, con quattro o cinque spadacce intaccate mal maneggiate in ridicolo duello, faremo torto al gran nome di Azincourt. Eppure state a vedere, immaginando la realtà da quello che non ne è che una pallida imitazione.

[Esce.

SCENA I.

Il campo inglese ad Azincourt.
Entrano RE ENRICO, BEDFORD e GLOUCESTER.

RE ENRICO
È vero, Gloucester, che siamo in gran pericolo; ma appunto per questo, tanto più grande dovrebbe essere il nostro coraggio. Buon giorno, fratello Bedford, Dio Onnipotente! Anche nelle cose cattive c’è qualche elemento buono, solo che si sappia discernerlo con l’osservazione; il nostro cattivo vicino ci ha fatti levare di buon’ora, e ciò giova alla salute e all’economia; inoltre esso è come una coscienza esterna a noi che ci predica sante cose, e ci esorta a prepararci alla morte come si deve. Così dalle erbacce possiamo trarre il miele e ricavare un insegnamento morale persino dal diavolo. Entra ERPINGHAM
Buon giorno, venerando sir Tommaso Erpingham, un buon cuscino morbido sarebbe preferibile per la tua testa canuta che una ruvida zolla francese.

ERPINGHAM
No, sire; preferisco questo letto, perché così posso dire «ora dormo come un re».

RE ENRICO
È una bella cosa quando si tollerano i mali solo per effetto dell’esempio altrui: lo spirito è sollevato e, se la mente si ravviva, senza dubbio gli organi del corpo prima spenti e morti sembrano erompere dal sepolcro dove dormivano e si muovono con nuova vivacità e leggereza gettando la vecchia scaglia. Prestami il tuo mantello, sir Tommaso. Frattelli, salutatemi i principi che sono nel campo, augurate loro per me il buon giorno e invitateli a venire presto alla mia tenda.

GLOUCESTER
Lo faremo, sire.

ERPINGHAM
Debbo accompagnare Vostra Maestà?

RE ENRICO
No, mio buon cavaliere; va coi miei fratelli dai signori d’Inghilterra; io debbo intrattenermi alquanto con la mia coscienza, e preferisco esser solo.

ERPINGHAM
Dio ti benedica dal cielo, nobile Enrico!

[Escono tutti eccetto il re.

RE ENRICO
Dio ti rimeriti, vecchio amico, perché parli così serenamente.

Entra PISTOLA

PISTOLA
Chi va là?

RE ENRICO
Amici!

PISTOLA
Parla; sei ufficiale, o vile soldato, comune o plebeo?

RE ENRICO
Sono gentiluomo in una compagnia.

PISTOLA
Trascini tu la possente picca?

RE ENRICO
Proprio così; e voi, chi siete?

PISTOLA
Un gentiluomo che non è da meno dell’imperatore.

RE ENRICO
Allora siete più che il Re.

PISTOLA
Il Re è bel giovinotto, un cuor d’oro, un ragazzo di bella vita e un favorito della fama, di ottima famiglia e dal pugno gagliardo. Gli bacio la scarpa fangosa e con tutte le fibre del cuore amo quell’amabile zerbinotto. Come ti chiami?

RE ENRICO
Harry Le Roi.

PISTOLA
Le Roi! un nome della Cornovaglia. Sei tu della genìa di Cornovaglia?

RE ENRICO
No, sono un gallese.

PISTOLA
Conosci Fluellen?

RE ENRICO
Sì.

PISTOLA
Digli che nel giorno di San Davide gli pesterò il porro sulla testa.

RE ENRICO
E voi non portate lo stocco sul berretto in quel giorno perché non ve lo pesti a sua volta sulla testa.

PISTOLA
Sei tu suo amico?

RE ENRICO
E parente anche.

PISTOLA
Un fico a te.

RE ENRICO
Grazie; Dio vi accompagni.

PISTOLA
Mi nomino Pistola!

[Esce.

RE ENRICO
Un nome adatto alla tua truculenza!

Entrano FLUELLEN e GOWER

GOWER
Capitano Fluellenl!

FLUELLEN
Sì, ma in nome di Gesù Cristo, appassate la foce. Si fa gran merafiglia in tutto l’uniferso quando non si osserfano i feri antichi precetti e leggi della guerra. Se fi deste la priga di studiare le guerre di Pompeo Magno trofereste che non si facevano chiacchiere e non si parlafa a fànfera nel campo di Pompeo. Fe lo garantisco io; fedreste che per cerimonie di guerra, e cure, e forme e serietà e modestia, tutto era pen diferso.

GOWER
Ebbene, il nemico fa chiasso; si è sentito tutta la notte.

FLUELLEN
Se il nemico è una pestia, un impecille, un puffonesco ciarliero, credete che anche noi − guardate bene – dovremmo essere pestie, impecilli, puffoneschi ciarlieri? che ne dite in conscienza?

GOWER
Parlerò a voce più bassa.

FLUELLEN
Sì, fi scongiuro e supplico di farlo.

[Escono Gower e Fluellen.

RE ENRICO
Sebbene siano di foggia antiquata, ci sono molta diligenza e valore in questo Gallese.

Entrano tre soldati; GIOVANNI BATES, ALESSANDRO COURT e MICHELE WILLIAMS.

COURT
Compagno Bates, quella laggiù non è la luce del mattino che spunta?

BATES
Credo di sì; ma non abbiamo nessuna ragione di desiderare l’avvicinarsi del giorno.

WILLIAMS
Colà ne vediamo il principio, ma credo che non riusciremo a vederne la fine. Chi va là?

RE ENRICO
Amici!

WILLIAMS
Chi è il vostro capitano?

RE ENRICO
Sir Tommaso Erpingham.

WILLIAMS
Un ottimo vecchio capitano, e un gentiluomo assai cortese: di grazia, cosa pensa della nostra situazione?

RE ENRICO
Che è come quella di uomini che hanno fatto naufragio su di un banco di sabbia e si aspettano di essere portati via dalla prossima marea.

BATES
Non ha detto al Re come la pensa?

RE ENRICO
No, e non è bene che lo faccia. Perché sebbene non stia a me dirlo, credo che il Re non sia che un uomo come tutti gli altri. La violetta ha lo stesso odore per lui e per me, e il cielo lo stesso aspetto; i suoi sensi sono come quelli di ogni altro uomo e se si mette da parte la pompa reale, visto nella sua nudità non è né più né meno che un mortale qualunque; e sebbene le sue aspirazioni tendano più in alto, quando calano lo fanno con la stessa ala nostra. Perciò quando ha ragione di temere, i suoi timori hanno lo stesso carattere dei nostri; ma è ragionevole che nessuno lo intimorisca, perché se poi mostrasse paura disanimerebbe il suo esercito.

BATES
Può mostrare esteriormente tutto il coraggio che vuole; ma credo che, freddo come fa questa notte, si augurerebbe di essere nel Tamigi sino al collo; e vorrei che lo fosse ed io con lui, a tutti i patti, purché fossimo fuori di qui.

RE ENRICO
A dir la verità, credo in coscienza che il Re non si auguri di essere se non dove è attualmente.

BATES
E allora vorrei che vi restasse solo; perché in ogni caso si pagherebbe il suo riscatto e si salverebbero le vite di tanti poveri uomini.

RE ENRICO
Probabilmente non gli volete tanto male da augurargli di essere solo qui, per quanto lo diciate per vedere che pensano gli altri. Quanto a me, mi sembra che non morirei in nessun posto più felice che in compagnia del Re, poiché la causa per cui combatte è giusta e onorevole.

WILLIAMS
Questo è più di quel che sappiamo.

BATES
Si, e anche più di quel che dovremmo cercar di sapere: ne sappiamo abbastanza se sappiamo che siamo sudditi del Re; se la sua causa è ingiusta, l’obbedienza che dobbiamo al Re ci toglie ogni responsabilità pei suoi atti.

WILLIAMS
Ma se la causa non è giusta, il Re stesso avrà un grosso conto da rendere a Dio, quando tutte le gambe e braccia e teste tagliate in battaglia si ricomporranno il giorno del Giudizio e tutti grideranno: «Morimmo nel tale e tal luogo», chi bestemmiando, chi invocando un chirurgo, chi piangendo per la moglie lasciata povera su questa terra, chi lagnandosi per debiti non pagati e chi pei figli rimasti derelitti. Credo che pochi di quelli che finiscono in battaglia muoiano serenamente: perché come possono disporre l’anima loro a spirito di carità quando il loro pensiero è solo di sparger sangue? Ora, se questi uomini non fanno una pia morte, ciò peserà fortemente sulla coscienza del Re che ve li avrà condotti, mentre essi non possono disobbedire, che sarebbe contra la più elementare idea di sudditanza.

RE ENRICO
Così se un figlio per ordine del padre viaggia in mare per ragioni di commercio e finisce male, stando a quello che dite voi, i suoi peccati dovrebbero essere addebitati al padre che lo mandò; così se un servo, inviato dal padrone a portare una somma di denaro, è assalito dai ladroni e muore in stato di peccato senza essersi riconciliato con Dio, potete dire che gli affari del padrone sono stati la causa della dannazione del servo; ma non è così. Il Re non è tenuto a rispondere della fine speciale dei suoi soldati, né il padre pel figlio, né il padrone pel servo: poiché non avevano per scopo la loro morte, ma solo di sfruttarne i servizi. E inoltre non c’è re che avendo una causa giustissima e dovendo deciderla con le armi, possa tentare di farla trionfare solo con soldati mondi di ogni peccato. Alcuni hanno forse sulla coscienza un omicidio volontario e commesso a sangue freddo, altri la seduzione di vergini ingannate con falsi giuramenti di fedeltà; qualcun altro si è fatto uno schermo della guerra dopo aver ferito il dolce seno della pace con saccheggi e ruberie. Ora, se questi uomini hanno eluso la legge e sono sfuggiti al castigo nel loro paese, sebbene possano sottrarsi all’inseguimento degli uomini, non hanno ali per volare lontani da Dio: la guerra è il suo strumento di punizione e di vendetta; così uomini che hanno prima offeso le leggi del Re si trovano ora ad essere puniti in questa guerra fatta dal Re: quando più temevano la morte riuscirono a salvare la vita, e ora che sperano di essere sicuri, periscono. Allora, se incontreranno la morte senza esservi preparati, il Re non avrà nessuna colpa della loro dannazione, come prima non ne aveva dei peccati pei quali ora stanno per essere puniti. Ogni suddito deve obbedienza al Re, ma l’anima di ciascun suddito è affare tutto suo. Perciò ogni soldato in guerra dovrebbe comportarsi come uno che è a letto, ammalato gravemente, e lavare ogni macchiolina della coscienza. Se muore in questo stato d’animo, la morte gli sarà vantaggiosa; se non muore, avrà speso bene il tempo impiegato in questa preparazione: e in tal caso non è peccato supporre che Dio, facendogli così generoso dono, gli conceda di sopravvivere perché riconosca la sua grandezza e insegni agli altri come ci si prepara a morire.

WILLIAMS
È certo che se uno muore in peccato, questo deve ricadere sul suo capo, e il Re non ne risponde.

BATES
Per conto mio non desidero che risponda per me; e tuttavia combatterò arditamente per lui.

RE ENRICO
Coi miei orecchi ho sentito il Re dire che non vuole essere riscattato.

WILLIAMS
Sì, l’ha detto pet farci combattere allegramente; ma quando ci avranno tagliato la gola, egli può essere riscattato, e noi non ci guadagneremo niente.

RE ENRICO
Se vivo tanto da vedere una cosa simile, non mi fiderò più della sua parola.

WILLIAMS
Gli darete voi la paga allora! Mirate pericolosa scarica di cerbottana: che può fare il risentimento di poveri diavoli contro un monarca? Tanto varrebbe cercar di cambiare il sole in ghiaccio facendogli aria con una penna di pavone. Non vi fiderete più della sua parola! via, è proprio una sciocchezza.

RE ENRICO
Il vostro rimprovero è un po’ troppo forte: andrei in collera con voi, se il momento non fosse inopportuno.

WILLIAMS
Riprenderemo la contesa se campiamo.

RE ENRICO
Ben volentieri.

WILLIAMS
Come farò a riconoscerti?

RE ENRICO
Dammi un tuo pegno e lo porterò sul berretto; se avrai il coraggio di riconoscerlo per tuo, ti sfiderò.

WILLIAMS
Ecco qua il mio guanto; dammene uno dei tuoi.

RE ENRICO
Eccolo.

WILLIAMS
Io pure porterò questo sul berretto; se mai verrai da me quando domani sarà passato e mi dirai «Questo è il mio guanto», perdio! ti darò un ceffone.

RE ENRICO
Se non muoio prima, lo reclamerò come mio.

WILLIAMS
Credo che preferiresti di essere impiccato.

RE ENRICO
Bene; lo farò anche se ti trovo in compagnia del Re.

WILLIAMS
Mantieni la parola, e addio.

BATES
Fate pace, imbecilli d’Inglesi, fate pace; se sapeste contare, vedreste che abbiamo da affrontare in abbondanza duelli coi Francesi.

RE ENRICO
Davvero; i Francesi possono scommettere venti testoni francesi contro uno che ci batteranno, perché i testoni li portano sulle spalle; ma non è reato per un Inglese tosare testoni francesi e domani il Re stesso si farà tosatore. [Escono i soldati] Addosso al Re! Addossiamo al Re le vite, le anime, i debiti, le mogli ansiose, i bambini e persino i peccati. Il Re deve caricarsi di ogni cosa. O dura condizione! nata a un parto con la grandezza del sovrano, sogetto alle critiche di ogni imbecille che non sente altro che i propri dolori. A quanta tranquillità d’animo non debbono rinunciare i monarchi, che invece i privati cittadini godono! e che cosa mai hanno i re che anche i privati cittadini non abbiano, se si esclude il fasto, il fasto regale? E che cosa sei tu, fasto e vano idolo? che razza di divinità, se soffri pene assai più di coloro che ti adorano? quali sono le tue rendite? Quali le tue entrate? O fasto, mostrami quello che vali! Qual’è l’essenza dell’adorazione di cui sei circondato? Sei forse qualche cosa di più del rango, del grado, della forma esteriore che incutono soggezione e timore agli altri uomini? ove tu, che sei temuto, sei men felice di chi teme. Che bevi tu spesso se non adulazione avvelenata invece che un amabile omaggio? Oh! superba grandezza, provati: cadi ammalata e dì al fasto che ti guarisca: credi che l’adulazione spegnerà il fuoco della febbre soffiandovi su titoli, o che la malattia se ne andrà con i profondi inchini e le geruflessioni? Pensi forse, quando ti appropri l’omaggio del povero, di poterti appropriare anche la sua salute? No, orgoglioso sogno che ti trastulli con la quiete del re in modo così sottile; sono un re che ha scoperto le tue malizie. E so benissimo che l’unguento, lo scettro, il globo, la spada, la mazza, la corona imperiale, il manto intessuto di oro e di perle, i titoli pomposi e prolissi che annunciano il sovrano, il trono su cui siede, l’ondata di fasto che batte contra l’alta riva di questo mondo, nessuna di queste cose, fastosissima pompa, poste in un letto maestoso dormono così profondamente come il miserabile servo che con ventre pieno e mente vuota va a riposare, sazio di sudato pane; che non vede mai la paurosa notte, figlia dell’inferno, ma, come un galoppino, dall’alba al tramonto suda sotto l’occhio di Febo e tutta la notte dorme nell’Eliso; e il giorno dopo all’aurora si alza, aiuta Iperione a salire a cavallo, e segue così l’anno che scorre senza posa, lavorando utilmente sino al giorno della sua morte: se non fosse per le cerimonie, questo miserabile che passa i giorni nel lavoro e le notti nel sonno, avrebbe la precedenza sul re. Il servo, vivendo entro l’orbita della quiete pubblica, la gode pienamente; ma quel grosso cervello è ben lontano dal pensare a quale ansiosa veglia il monarca deve sottoporsi per assicurare quella quiete che dà al contadino a tutte le ore i maggiori vantaggi.

Entra ERPINGHAM.

ERPINGHAM
Sire, i nobili ansiosi per la vostra assenza vi cercano per tutto il campo.

RE ENRICO
Buon cavaliere, raccoglili tutti alla mia tenda: ti precedo.

ERPINGHAM
Sarà fatto, sire.

[Esce.

RE ENRICO
O Dio degli eserciti! dà la tempra dell’acciaio al cuore dei miei soldati; distruggi in essi ogni timore; togli loro la facoltà di contare, se la superiorità degli avversari li spaventa. Non oggi, o Signore, non rivolgere oggi il tuo pensiero alla colpa grazie alla quale mio padre ottenne la corona. Ho dato nuova sepoltura ai resti di Riccardo e ho versato su essi più lacrime di contrizione che non siano le gocce di sangue che la violenza gli fece spargere. Mantengo a mie spese cinquecento poveri che due volte il giorno alzano le mani scarne al cielo per impetrare perdono per quel sangue; e ho fondato due monasteri dove gravi e pii sacerdoti attendono a salmodiare per l’anima di lui, e farò ancora di più, sebbene tutto quello che posso fare a nulla valga, giacché, dopo aver fatto tutto ciò, il mio pentimento risorge implorando perdono.

Entra GLOUCESTER.

GLOUCESTER
Mio signore!

RE ENRICO
La voce di mio fratello Gloucester! Sì, so perché sei venuto: verrò con te. L’opera della giornata, i miei amici, tutto insomma attende il mio cenno.

[Escono.

SCENA II.

Il campo francese.
Entrano il DELFINO, ORLÉANS, RAMBURES e altri

ORLÉANS
Il sole indora le notre armature; andiamo, signori.

DELFINO
Montez à cheval! Il mio cavallo! servi! lacchè! ah!

ORLÉANS
O prode!

DELFINO
Via! les eaux et la terre!

ORLÉANS
Rien puis? l’air et le feu!

DELFINO
Ciel! cugino Orléans. Entra il CONNESTABILE.
C’he c’è, monsignor Connestabile?

CONNESTABILE
Ascoltate come i nostri destrieri nitriscono anelando al combattimento!

DELFINO
In sella, e pungete loro i fianchi, affinché il loro caldo sangue sprizzi negli occhi agli Inglesi e li spenga con questa mostra di sovrabbondante coraggio, ah!

RAMBURES
Come! volete che lascino ricadere dagli occhi il sangue dei nostri cavalli? e allora come riusciremo a vedere le loro lacrime genuine?

MESSO
Gli Inglesi sono schierati in battaglia, Pari francesi.

CONNESTABILE
A cavallo, valorosi principi! subito in sella! Basta che vi presentiate a quella meschina banda affamata, e il bello spettacolo che offrirete li svoterà dell’anima non lasciando ad essi che il guscio della loro umanità. Non c’é abbastanza lavoro per tutte le nostre mani: e le loro vene languenti non hanno tanto sangue da macchiare tutte le spade che i prodi Francesi sguaineranno oggi e che dovranno ringuainare per mancanza di selvaggina. Soffiamo su di loro: il fiato stesso del nostro valore basterà a rovesciarli. Non c’è dubbio alcuno, signori, che il superfluo dei nostri valletti e servi che brulicano senza molto profitto intorno alle nostre schiere basterebbero a purgare il campo da questi meschini nemici anche se noi prendessimo posizione alle radici di questo monte per osservare oziosamente lo spettacolo. Ma l’onore non ce lo permette. Che si deve dire? un po’ di lavoro, e poi tutto sarà finito. Le trombe diano il segnale di montare in sella e marciare: al nostro avvicinarci in atto di sfida gli Inglesi si getteranno a terra spaventati e si arrenderanno.

Entra GRANDPRÉ.

GRANDPRÉ
Perché indugiate così a lungo, signori di Francia? quelle carogne di isolani che non hanno più speranza di salvare le ossa, fanno ben brutta figura nel campo a quest’ora mattutina: le loro cenciose bandiere sventolano meschinamente e la nostra aria passando le fa ondeggiare quasi per scherno: il grande Marte sembra aver fatto fallimento nel loro esercito immiserito e sbircia spaventato attraverso ai fori della visiera arrugginita. I Cavalieri seggono immobili come quei candelieri che hanno forma di uomini a cavallo con ia candela brandita; e i loro poveri ronzini stanno a testa bassa con la pelle e i fianchi cascanti, col muco che gocciola dagli occhi spenti, e nelle bocche pallide e inerti il morso è sudicio di erba a metà masticata, fermo e immoto; e quei bricconni di corvi come se fossero gli esecutori testamentari si librano sulle loro teste in attesa del loro momento. Chi volesse descriverlo non può provvedersi di un corredo sufficiente di parole atte a rappresentare al vivo questo esercito svotato di vita com’è.

CONNESTABILE
Hanno recitato le preghiere e attendono la morte.

DELFINO
Dobbiamo mandar loro cibo e nuove vesti, dar la biada ai loro cavalli famelici, e dopo attacarli?

CONNESTABILE
Aspetto solo la mia guardia. Ma no, al campo! Prenderò la bandiera a un trombettiere per non perder tempo. Suvvia: il sole è alto, e qui sciupiamo il tempo.

[Escono.

SCENA III.

Il campo inglese.
Entrano GLOUCESTER, BEDFORD, EXETER, ERPINGHAM con tutte le sue truppe; SALISBURY e WESTMORELAND.

GLOUCESTER
Dov’è il Re?

BEDFORD
Il Re stesso è andato a osservare lo schieramento nemico.

WESTMORELAND
Hanno circa sessantamila combattenti.

EXETER
Sono cinque contr’uno; inoltre sono truppe fresche.

SALISBURY
Il braccio di Dio combatta con noi! è un’inferiorità spaventevole. Dio sia con voi, principi; vado al mio posto. Se abbiamo a rivederci solo in cielo, nobile lord Bedford e caro lord Gloucester e mio buon lord Exeter, caro parente, e voi, guerrieri tutti, addio gioiosamente.

BEDFORD
Addio, buon Salisbury, e la buena fortuna ti accompagni.

EXETER
Addio, buon signore. Combatti da prode quest’oggi: eppure ti faccio torto a ricordartelo poiché tu sei il valore in persona, fermo e fedele.

[Esce Salisbury.

BEDFORD
È pieno tanto di valore quanto di cortesia, e in ambedue queste doti è un principe.

Entra il Re.

WESTMORELAND
Oh! se avessimo qui anche solamente diecimila di quegli Inglesi che in patria se ne stanno sfaccendati oggi!

RE ENRICO
Chi esprime questo desiderio? mio cugino Westmoreland? No, mio bel cugino; se è destino che si muoia, siamo in numero sufficiente a costituire per la patria una grave perdita; e se siamo destinati a sopravvivere, meno siamo e tanto più grande sarà la nostra parte di gloria. In nome di Dio, ti prego, non augurarti che abbiamo un solo uomo di più. Per Giove! non sono avido di denaro, né mi curo di vedere chi mangia a mie spese; e non mi addoloro se altri porta i miei abiti. Tali cose esteriori non sono nei miei desideri: ma se è un peccato essere avido di onore, allora sono l’anima più peccatrice di questo mondo. No, cugino mio, non augurarti neanche un solo soldato che ci venga dall’Inghilterra. Alla pace di Dio! Non vorrei perdere quel tanto d’onore che un sol uomo di più potrebbe condividere con me, neanche se ne andasse di mezzo la salvezza dell’anima mia. Oh! non desiderarne neanche uno; e piuttosto, Westmoreland, fa proclamare in tutto l’esercito che chi non si sente l’animo di combattere se ne vada; gli daremo il passaporto e gli metteremo in borsa denari per il viaggio. Non vorremmo morire con alcuno che temesse di esserci compagno nella morte. Oggi è la festa dei Santi Crispino e Crispiniano: chi sopravviverà e tornerà a casa, si leverà in punta di piedi e si farà più grande al nome di San Crispiniano. Chi non morirà oggi e vivrà sino alla vecchiaia, ogni anno, la vigilia, conviterà i vicini e dirà: «Domani è San Crispiniano»: poi tirerà su la manica e mostrerà le cicatrici e dirà: «Queste ferite le ebbi il giorno di San Crispino». I vecchi dimenticano: egli dimenticherà tutto come gli altri, ma ricorderà le sue gesta di quel giorno −e fors’anche un pochino di più. E allora i nostri nomi, che saranno termini familiari in bocca sua, re Enrico, Bedford e Exeter, Warwick e Talbot, Salisbury e Gloucester, saranno ricordati di nuovo in mezzo ai bicchieri traboccanti: questa storia il buon uomo insegnerà a suo figlio. E sino alla fine del mondo il giorno di San Crispino e San Crispiniano non passerà senza che vengano menzionati i nostri nomi. Felici noi, noi pochi, schiera di fratelli; poiché chi oggi spargerà il suo sangue con me sarà mio fratello, e per quanto bassa sia la sua condizione questo giorno la nobiliterà: molti gentiluomini che dormono ora nei loro letti in Inghilterra malediranno se stessi per non essere stati qui oggi, e non parrà loro neanche di essere uomini quando parleranno con chi avrà combattuto con noi il giorno di San Crispino.

Rientra SALISBURY.

SALISBURY
Mio sire, recatevi al vostro posto sollecitamente. Le truppe francesi sono in perfetto ordine e moveranno tra poco all’assalto contro di noi.

RE ENRICO
Tutto è pronto, se lo sono anche i nostril cuori.

WESTMORELAND
Perisca colui che si sente ora vacillare il cuore.

RE ENRICO
Ora non desideri altri aiuti dall’Inghilterra, cugino?

WESTMORELAND
Per Dio! mio sire, vorrei che voi ed io soli senz’altro aiuto potessimo combattere questa regale battaglia!

RE ENRICO
Ora hai sottratto al tuo augurio cinque mila uomini. E questo mi piace più che l’augurio dell’aggiunta di uno solo. Sapete quali sono i vostri posti: Dio vi assista tutti!

Segnale di tromba. Entra MONTJOY.

MONTJOY
Ancora una volta, re Enrico, vengo a sapere se vuoi trattare per il riscatto prima della tua certa sconfitta, poiché sei così vicino all’abisso che vi sarai inevitabilmente inghiottito. Inoltre, per misericordia, il Connestabile ti invita ad esortare i tuoi compagni al pentimento; sicché le loro anime possano ritirarsi pacifiche e pure da questi campi dove, miseri! i loro poveri corpi debbon giacere e corrompersi.

RE ENRICO
Chi ti ha mandato ora?

MONTJOY
Il Connestabile di Francia.

RE ENRICO
Riportagli ancora, ti prego, la risposta che ti ho dato altra volta. Prima mi uccidano e poi venderanno le mie ossa. Buon Dio! Perché si canzonano così dei poveri diavoli? L’uomo che vendette la pelle del leone ancora vivo, fu ucciso mentre gli dava la caccia. Molti di noi andranno senza dubbio a morire in patria e sulle loro tombe, ne sono sicuro, sarà ricordato eternamente in bronzo quello che avranno fatto quest’oggi; e quelli che, morendo da prodi, lasceranno le loro ossa in Francia, sebbene sepolti nei vostri letamai, diventeranno famosi, perché il sole li bacerà e leverà in alto sino al cielo il loro onore, lasciando che la parte terrena infetti la vostra aria col lezzo pestilenziale. Nota dunque il sovrabbondante valore degli Inglesi che, morti, come un proiettile di striscio, creeranno un secondo periodo di guai, uccidendo nel disfacimento della morte. Permettimi di parlare con orgoglio: dì al Connestabile che siamo guerrieri dei giorni feriali: i colori vistosi, l’oro sono insozzati dalle marce penose sotto la pioggia; il nostro esercito non ha più neanche un pezzo di piuma – buon − segno, spero, che non fuggiremo − e il tempo ci ha ridotti trasandati. Ma, per la Messa, i nostri cuori sono a punto; e i miei poveri soldati mi dicono che prima di notte si rivestiranno di abiti più freschi o torranno di sopra al capo dei Francesi i loro gai vestiti nuovi e cambieranno loro destinazione. Se lo faranno, e non ne dubito se piace a Dio, il mio riscatto sarà presto pagato. Araldo, risparmiati la fatica: non ritomare più a chiedere il riscatto. Non avranno che queste mie membra, e dì al Connestabile che, se le lascio loro come sono, ne ricaverà ben poco.

MONTJOY
Sarà fatto, re Enrico. E così addio: non udrai più la voce di nessun araldo.

[Esce.

RE ENRICO
Credo che verrai ancora una volta per un riscatto.

Entra YORK.

YORK
Sire, chiedo umilmente in ginocchio che mi sia concesso di guidare l’avanguardia.

RE ENRICO
E cosí sia, prode York. Ora, soldati, marciamo. E tu, Dio, disponi in questo giorno secondo la tua volontà.

[Escono.

SCENA IV.

Il campo di battaglia.
Allarmi. Scorrerie. Entrano PISTOLA, un Soldato francese e il Ragazzo.

PISTOLA
Arrenditi, cane!

SOLDATO FRANCESE
Je pense que vous êtes gentilhomme de bonne qualité.

PISTOLA
Qualtitie calmie custure me! sei gentiluomo? come ti chiami? Esponi.

SOLDATO FRANCESE
O Seigneur Dieu!

PISTOLA
Monsignor Diu: è un nome da gentiluomo: pondera bene le mie parole, Signor Diu, e stai attento. Signor Diu, tu perirai sulla punta di questo schidione, salvo che, signore, mi paghi un egregio riscatto.

SOLDATO FRANCESE
O prenez miséricorde! ayez pitié de moi!

PISTOLA
Un moà non basta; quaranta ne voglio, o attraverso la bocca ti caverò la coratella in guazzetto di sangue cremisi.

SOLDATO FRANCESE
Est-il impossible d’échapper la force de ton bras?

PISTOLA
Ombra! cane, maledetto e lussurioso caprone di montagna, non mi offri l’ombra d’un quattrino?

SOLDATO FRANCESE
O pardonnez-moi!

PISTOLA
Dici davvero? vuol dire una tonnellata di moà? Vieni qua, ragazzo: chiedi in francese a questa canaglia come si chiama.

RAGAZZO
Ecoutez: comment êtes-vous appellé?

SOLDATO FRANCESE
Monsieur le Fer.

RAGAZZO
Dice che il suo nome è Signor Fer.

PISTOLA
Signor Fer! dì che lo ferrerò e lo furerò e lo ferirò. Esponiglielo in francese.

RAGAZZO
Non so come si dicano queste cose in francese.

PISTOLA
Non importa: digli che si prepari l’anima perché gli taglierò la gola.

SOLDATO FRANCESE
Que dit-il, monsieur?

RAGAZZO
Il me commande de vous dire que vous faites vous prêt; car ce soldat ici est disposé tout à cette heure de couper votre gorge.

PISTOLA
Ohì, cuppele gorge, permafoà, villanzone, a meno che tu non mi dia corone, buone corone; o altrimenti ti tribierò con la mia spada.

SOLDATO FRANCESE
Oh! je vous supplie pour l’amour de Dieu, me pardonnner! Je suis gentilhomme de bonne maison: gardez ma vie, et je vous donnerai deux cents écus.

RAGAZZO
Vi prega di risparmiargli la vita: è un gentiluomo di buona famiglia e per il suo riscatto vi darà duecento corone.

PISTOLA
Digli che la mia furia si calma e che accetto le corone.

SOLDATO FRANCESE
Petit monsieur, que dit-il?

RAGAZZO
Encore qu’il est contre son jurement de pardonner aucun prisonnier; néanmoins, pour les écus que vous l’avez promis, il est content de vous donner la liberté, le franchissement.

SOLDATO FRANCESE
Sur mes genoux, je vous donne mille remerciements; et je m’estime heureux que je suis tombé entre les mains d’un chevalier, je pense, le plus brave, vaillant, et très distingué seigneur d’Angleterre.

PISTOLA
Dichiarami quello che dice, ragazzo,

RAGAZZO
Vi ringrazia mille volte in ginocchio e si stima felice di essere caduto nelle mani di uno che è, come crede, il più prode, valoroso e degno signore d’Inghilterra.

PISTOLA
Giacché mi è dato succhiargli sangue, gli userò alquanta clemenza. Seguitemi!

RAGAZZO
Suivez-vous le grand capitaine. [Escono Pistola e il soldato francese]. Non ho mai sentito una voce così forte uscire da un cuore così vuoto: ma è vero il detto «Il vaso vuoto è quello che rende più suono». Bardolfo e Nym avevano dieci volte più valore di costui che fa tanto baccano come il diavolo nelle vecchie rappresentazioni che si lascerebbe tagliare le unghie da chiunque con un coltello di legno. Eppure gli altri due sono stati impiccati, e così sarebbe di lui se osasse rubare qualche cosa rischiando la pelle. E ora me ne vado dai lacché che difendono i bagagli del campo; se i Francesi lo sapessero, potrebbero far buona preda, poiché a guardia non ci sino che ragazzi.

[Esce.

SCENA V.

Un’altra parte del campo.
Entrano il CONNESTABILE, ORLÉANS, BORBONE, il DELFINO e RAMBURES.

CONNESTABILE
O diable!

ORLÉANS
O seigneur! le jour est perdu! tout est perdu!

DELFINO
Mort de ma vie! tutto è confusione, tutto! Infamia e vergogna eterna posan beffarde sui nostri elmi piumati. O méchante fortune! Non fuggite.

[Breve allarme.

CONNESTABILE
Tutte le nostre truppe sono in rotta.

DELFINO
O disonore incancellabile! uccidiamoci da noi stessi. Sono questi i miserabili che ci siamo giocati ai dadi?

ORLÉANS
È questo il Re a cui abbiamo chiesto il riscatto?

BORBONE
Infamia, eterna infamia, null’altro che infamia! Moriamo con onore; ritorniamo ancora una volta, e colui che mon seguirà il Borbone ora, se ne vada via di qua, e da vile mezzano, col berretto in mano, faccia la guardia alla porta mentre la sua figlia più bella verrà contaminata da un soldataccio non più nobile del mio cane.

CONNESTABILE
Il disordine che ci ha rovinati ci aiuti ora! Andiamo in folla a sacrificare la nostra vita.

ORLÉANS
Ma di noi ce n’è di vivi quanti bastano per schiacciare col loro numero gli Inglesi, se si potesse mettere un po’ d’ordine fra le nostre file.

BORBONE
L’ordine! il diavolo se lo porti! Andrò nella calca: sia breve la vita, o altrimenti sarà troppo lunga la vergogna.

[Escono.

SCENA VI.

Un’altra parte del campo.
Allarmi. Entrano RE ENRICO e soldati, EXETER e altri.

RE ENRICO
È andata assai bene, prodi compatrioti, ma non è ancora finita: i Francesi tengono ancora il campo.

EXETER
Il duca di York saluta Vostra Maestà.

RE ENRICO
È vivo, mio buono zio? nello spazio di un’ora tre volte l’ho visto cadere e tre volte rialzarsi a combattere insanguinato dall’elmo agli speroni.

EXETER
E in questo stato quel soldato valoroso giace impinguando del suo sangue il terreno; e al suo fianco, compagno per onorate ferite, sta anche il nobile conte di Suffolk. Questi è morto per primo. York, tutto coperto di ferite, gli si avvicina dove giace inzuppato di sangue, gli prende il mento, gli bacia le ferite sanguinanti e grida forte: «Aspettami, caro cugino Suffolk, la mia anima ti sarà compagna; attendi, anima cara, e poi voliamo insieme al cielo come, ben combattendo su questo campo glorioso, insieme abbiamo compiuto il nostro dovere di cavalieri». A queste parole mi avvicinai e cercai di confortarlo. Mi sorrise, mi strinse debolmente le mano e mi disse: «Caro signore, dite al mio sovrano come l’ho servito». Poi si voltò, mise il braccio ferito intorno al collo di Suffolk e gli bacio le labbra; e così sposato alla morte suggellò col sangue un patto di nobile affetto. La dolcezza di questa scena mi costrinse a versare lagrime contro la mia volontà: confesso che non fui uomo abbastanza; quanto v’è di materno in me si raccolse negli occhi e piansi dirottamente.

RE ENRICO
Non ti biasimo; perché, udendo questo, mi si velano gli occhi e poco manca che pianga io pure. [Allarme] Ma, udite! che nuovo allarme è questo? I Francesi si sono riordinati: ogni soldato uccida i suoi prigionieri. Fate circolare quest’ordine.

[Escono.

SCENA VII.

Entrano FLUELLEN e GOWER.

FLUELLEN
Uccidere i ragazzi a guardia del pagaglio! è espressamente fietato dalla legge delle armi: è la più gran furfanteria che si possa fare; non fi pare, in coscienza?

GOWER
È certo che non un solo ragazzo é rimasto vivo; quei vigliacchi bricconi che sono fuggiti dalla battaglia hanno fatto questo macello; inoltre hanno bruciato e portato via tutto quello che era nella tenda del Re; e il Re ha fatto benissimo a ordinare l’uccisione dei prigionieri. È un re prode.

FLUELLEN
Sì, è nato a Monmouth, capitano Gower. Come si chiama la città dofe nacque Alessandro il Grosso?

GOWER
Volete dire Alessandro il Grande.

FLUELLEN
Grande o grosso non è lo stesso? Il grosso, il grande, il possente, l’immenso o il magnanimo sono in fondo la stessa cosa, la stessa musica con qualche fariazione.

GOWER
Credo che Alessandro il Grande sia nato in Macedonia: suo padre era chiamato Filippo di Macedonia, se non sbaglio.

FLUELLEN
Credo anch’io che sia nato in Macedonia. Ora se guardate le carte del mondo, fi assicuro, capitano, che paragonando Macedonia e Monmouth troferete che sono in identica posizione. C’è un fiume in Macedonia e ce n’è uno a Monmouth; a Monmouth si chiama Wye ma nel cerfello non ritrofo più il nome dell’altro; in ogni caso non importa: si assomigliano come le dita della mano e c’è salmone in tutt’e due. Se osserfate la fita di Alessandro e quella di Enrico, troferete che la seconda ha qualche somiglianza con la prima, perché c’è un simpolismo in tutto. Alessandro − lo sa Dio, ma lo sapete anche foi − arrappiato, infuriato, irato, incollerito, infiperito, indignato e anche un po’eppro, pieno di fino e di furia, uccise il sno migliore amico, Clito.

GOWER
Il nostro Re non è come lui in codesto: non ha mai ucciso nessuno dei suoi amici.

FLUELLEN
Non sta pene, notate ora, lefarmi la parola di pocca prima che la storia sia fatta e finita. Parlo per figura retorica di comparazione: come Alessandro, tra i fumi del fino, uccise il suo amico Clito, così Enrico di Monmouth, però in pieno possesso della sua intelligenza e discernimiento, ha messo alla porta il cafaliere grasso dal gran pancione, quello così ricco di scherzi, peffe, furfanterie e canzonature: non ricordo più come si chiami.

GOWER
Sir Giovanni Falstaff.

FLUELLEN
Proprio lui. Fi assicuro che a Monmouth nasce di gran prafa gente.

GOWER
Ecco qui Sua Maestà.

Allarme. Entrano RE ENRICO coi soldati, WARWICK, GLOUCESTER e altri.

RE ENRICO
Dacché sono venuto in Francia è la prima volta che mi incollerisco sul serio. Prendi un trombettiere, araldo; va dalla cavalleria che è su quella collina. Se vogliono combattere, scendano; se no, sgombrino il campo: ci offendono la vista. Se non faranno né l’una né l’altra cosa, andremo noi da loro, e li faremo schizzar via come pietre scagliate da un’antica fionda assira. Inoltre sgozzeremo tutti i prigionieri che abbiamo nelle mani; e nessuno di quelli che prenderemo in seguito godrà della nostra clemenza. Va a dir loro tutto questo.

Entra MONTJOY.

EXETER
Maestà, ecco l’araldo francese.

GLOUCESTER
I suoi occhi più umili del solito.

RE ENRICO
Ebbene che significa questo, araldo? non sai che ho già promesso queste mie ossa come riscatto? e vienni ancora a parlar di riscatto?

MONTJOY
No, gran Re. Vengo a chiederti in carità che ci sia concesso di percorrere questo campo insanguinato, di registrare i nomi dei morti e poi di seppellirli, separando i nobili dai plebei, perché molti dei nostri principi, ahimé, giacciono immersi e annegati nel sangue di mercenari, e i plebei bagnano le rozze membra nel sangue dei principi: i cavalli feriti diguazzano nel sangue sino ai pasturali e con furia selvaggia scalciano coi piedi ferrati contro i morti padroni, uccidendoli una seconda volta. Oh, permettici, gran Re, di esaminare il campo liberamente e di rimuovere i loro cadaveri.

RE ENRICO
Ti dico la verità, araldo, non so ancora se la vittoria è nostra o vostra, perché vedo ancora molti dei vostri soldati the s’affacciano e galoppano nel campo.

MONTJOY
La vittoria è vostra.

RE ENRICO
Dio ne sia lodato, non la nostra forza. Che castello è quello che si vede qui vicino?

MONTJOY
Si chiama Azincourt.

RE ENRICO
Allora chiamiamo questa la battaglia di Anzicourt combattuta nel giorno dei Santi Crispino e Crispiniano.

FLUELLEN
Il fostro pisnonno di fausta memoria, se piace a Fostra Maestà, e il fostro prozio, Edoardo il Principe Nero, come ho letto nelle cronache, compatterono una pellissima pattaglia qui in Francia.

RE ENRICO
Sì, certo, Fluellen.

FLUELLEN
Quello che Fostra Maestà dice è giustissimo: se Fostra Maestà se ne ricorda, i Gallesi compatterono falorosamente in un giardino in cui crescefano dei porri, e ne misero nei loro perretti di Monmouth, e come Fostra Maestà sa, a tutt’oggi il porro è un onorefole distintifo militare per quella gente, e non credo che neanche Fostra Maestà sdegni di portarlo il giorno di San Dafide.

RE ENRICO
Lo porto a ricordo di gesta onorate; perché, sapete, anch’io sono gallese, mio buon compatriota.

FLUELLEN
Tutte le acque del Wye non potreppero lafar dal corpo di Fostra Maestà il sangue gallese, fe lo assicuro: Dio lo penedica e lo protegga finché piacerà alla sua grazia, e difenda Fostra Maestà pure!

RE ENRICO
Grazie, mio buon concittadino.

FLUELLEN
Per Gesù, sono concittadino di Fostra Maestà e non m’importa che altri lo sappia; lo confesserò anzi a tutto il mondo: non è il caso che mi fergogni di Fostra Maestà, sia lode a Dio, fintantoché Fostra Maestà continua a essere un galantuomo.

RE ENRICO
Dio mi conservi così. I nostri araldi vadano con lui e mi riferiscano esattamente il numero dei morti da ambe le parti. Chiamatemi quel tale che è laggiù.

[Accenna a Williams. Gli araldi escono con Montjoy.

EXETER
Soldato, dovete presentarvi al Re.

RE ENRICO
Soldato, perché porti quel guanto sul berretto?

WILLIAMS
Se piace a Vostra Maestà, è il pegno di un tale con cui dovrei combattere se è vivo.

RE ENRICO
Un inglese?

WILLIAMS
Sì; un furfante che ha fatto lo smargiasso con me questa notte, e, se è vivo e chiede la restituzione del guanto, ho promesso di schiaffeggiarlo: o se vedo sul suo berretto il mio guanto che in parola di soldato si è impegnato di portare se vive, glielo leverò a suon di botte.

RE ENRICO
Che pensate, capitano Fluellen? è giusto che questo soldato mantenga il giuramento?

FLUELLEN
Difersamente, non dispiaccia a Fostra Maestà, sareppe un figliacco e un mariuolo, in coscienza.

RE ENRICO
Può darsi che il suo nemico sia un gentiluomo di alto rango, e che perciò gli sia impossibile di rispondere a un uomo di bassa condizione.

FLUELLEN
Anche se fosse nopile come il diafolo, come Lucifero e Pelzepù stesso, è necessario, fedete, che mantenga l’impegno e il giuramento. Se si fa spergiuro, la sua riputazione difentereppe quello del furfante più matricolato e del più sfrontato gaglioffo che mai calcasse con la sua nera scarpa il suolo di Dio e la sua terra, in coscienza, ecco!

RE ENRICO
Allora, giovanotto, mantieni la promessa quando incontri quel tale.

WILLIAMS
Lo farò come è vero che vivo, sire.

RE ENRICO
Sotto chi servi?

WILLIAMS
Sotto il capitano Gower, mio sire.

FLUELLEN
Gower è un puon capitano che è molto istrutto e alletterato nell’arte militare.

RE ENRICO
Fallo venire qui da me, soldato.

WILLIAMS
Si, Maestà.

[Esce.

RE ENRICO
Senti, Fluellen; porta questo segno per me sul tuo berretto. Quando Alençon ed io eravamo insieme a terra, gli strappai questo guanto dall’elmo; se qualcuno lo reclama vuol dire che è amico di Alençon e nemico mio; se t’imbatti in lui, arrestalo, se mi vuoi bene.

FLUELLEN
Fostra Maestà mi fa tanto onore quanto può desiderare il cuore di un suddito: sarei curioso di federe un uomo su due gambe che se la prenda con questo guanto, ciò è tutto; sarei proprio contento di federlo e Dio voglia nella sua grazia che lo veda.

RE ENRICO
Conosci Gower?

FLUELLEN
È un mio caro amico, se fi piace.

RE ENRICO
Va a cercarlo e conducilo alla mia tenda.

FLUELLEN
L’andrò a cercare.

[Esce.

RE ENRICO
Monsignore di Warwick e fratello Gloucester, seguite Fluellen dappresso. Il guanto che gli ho dato come insegna gli può forse procurare un ceffone. È quello del soldato, e, secondo l’accordo, lo dovrei portare io stesso. Seguitelo, buon cugino Warwick: se il soldato lo schiaffeggia, e arguisco dal suo contegno risoluto che lo farà, ne può nascere qualche improvviso guaio; perché so che Fluellen è coraggioso e, se incollerito, è pronto a esplodere come polvere da sparo e a restituiré prontamente l’offesa: seguitelo e vedete che non succeda nulla di male fra di loro; e voi, zio Exeter, venite con me.

[Escono.

SCENA VIII.

Davanti alla tenda di Re Enrico.
Entrano GOWER e WILLIAMS.

WILLIAMS
Sono sicuro che è per farvi cavaliere, capitano.

Entra FLUELLEN.

FLUELLEN
Sia fatta la folontà di dio: capitano, fi prego, fenite supito dal Re: fi attende forse qualcosa a cui siete penlontano dal pensare.

WILLIAMS
Signore, conoscete questo guanto?

FLUELLEN
Se conosco questo guanto! so che questo guanto è un guanto.

WILLIAMS
Io sì che lo conosco e così lo reclamo.

[Lo percuote.

FLUELLEN
Pel sangue di Dio! il più gran traditore che ci sia in tutto il mondo unifersale, o in Francia o in Inghilterra.

GOWER
Come mai! e che furfanteria è questa?

WILLIAMS
Credete che io voglia essere spergiuro?

FLUELLEN
Fatefi da parte, capitano Gower: pacherò il tradimento a suon di colpi, fe lo assicuro io.

WILLIAMS
Non sono un traditore.

FLUELLEN
Menti per la gola. Fi ordino di arrestarlo in nome di Sua Maestà: è un amico del duca di Alençon.

Entrano WARWICK e GLOUCESTER.

WARWICK
Che c’è? che c’è? cosa succede?

GLOUCESTER
Monsignore di Warwick, sia lode a Dio! s’è sfelato il più contagioso tradimento che sia mai fenuto in luce, tal luce, fedete, quale potreste desiderare in un giorno d’estate. Ecco qui Sua Maestà.

Entrano RE ENRICO ed EXETER.

RE ENRICO
Ebbene! cosa state facendo?

FLUELLEN
Mio sire! ecco qui un furfante e traditore che, guardi Fostra Maestà, ha colpito il guanto che Fostra Maestà ha tolto all’elmetto di Alençon.

WILLIAMS
Mio signore, quel guanto era mio; questo è il suo compagno; e la persona a cui l’ho dato in cambio promise di portarlo sul berretto, e alla mia volta giurai di batterlo se l’avesse fatto. Ho incontrato quest’uomo col guanto sul berretto e ho mantenuto la parola.

FLUELLEN
Fostra Maestà ha sentito, con rispetto parlando, che razza di furfante pidocchioso, di pezzente garantito è quest’uomo. Spero che Fostra Maestà mi sarà buon testimonio e certificherà che questo é il guanto di Alençon che Fostra Maestà mi ha dato. Che ne dite in coscienza?

RE ENRICO
Dammi il guanto, soldato − ecco qui l’altro − sono io quel tale che hai promesso di battere, e m’hai detto anche di gran male parole.

FLUELLEN
Piaccia a Fostra Maestà di fargli tagliare la testa, se c’è legge marziale in questo mondo.

RE ENRICO
Che sodisfazione mi puoi dare?

WILLIAMS
Tutte le offese partono dal cuore: dal mio non ne è venuta nessuna contro Vostra Maestà.

RE ENRICO
Ma se hai offeso me!

WILLIAMS
Vostra Maestà non mi apparve in figura di re; sembravate un uomo qualunque; prova ne sia che veniste nella notte con abito e contegno dimesso. Di quello che soffrì Vostra Altezza in quelle sembianze, ve ne supplico, date colpa a voi e non a me, poiché se foste stato proprio la persona per cui vi avevo preso, non vi sarebbe stata offesa. Perciò prego Vostra Maestà di perdonarmi.

RE ENRICO
Qui, zio Exeter; riempite questo guanto di corone e datelo a costui; tienlo, giovanotto, e portalo come onorevole distinzione sul berretto finché non ne reclamerò la restituzione. Dategli le corone e voi, capitano, fate pace con lui.

FLUELLEN
Per la luce del giorno! Questo indifiduo ha fegato in corpo quanto pasta. Tenete, eccofi qui uno scellino e fi raccomando di serfire Dio, di tenerfi lontano da paruffe, pisticci, questioni, disaccordi, e f’assicuro sarà tanto meglio per foi.

WILLIAMS
Non voglio il vostro denaro.

FLUELLEN
Fe lo do di cuore; fi serfirà a far riparare le scarpe. Fia, perché fi dofreste fergognare? le fostre scarpe non son poi così puone; e lo scellino è puono, fe lo garantisco; e se non è puono fe lo cambio.

Entra un Araldo inglese.

RE ENRICO
Dunque, araldo, avete contati i morti?

ARALDO
Ecco l’elenco dei Francesi uccisi.

[S’inginocchia e consegna alcune carte.

RE ENRICO
Zio, che prigionieri di elevata condizione sono stati presi?

EXETER
Carlo duca di Orléans, nipote del Re; Giovanni duca di Borbone e monsignor Bouciqualt: di altri signori, baroni, cavalieri e scudieri ben mille e cinquecento, oltre a gente di non molto conto.

RE ENRICO
Questo elenco mi dice che diecimila Francesi giacciono morti sul campo: fra questi vi sono centoventisei principi e nobili che hanno diritto a insegna; si aggiungano otto mila e quattrocento cavalieri, scudieri e valorosi gentiluomini, dei quali cinquecento erano stati fatti cavalieri proprio ieri; cosicché fra questi diecimila che hanno perduto non vi sono che mille seicento gregari: gli altri sono principi, baroni, cavalieri, scudieri e gentiluomini di buona famiglia. Fra i nomi dei loro nobili che sono stati uccisi trovo Carlo Delabreth, gran Connestabile di Francia, Jacques di Châtillon, ammiraglio di Francia; il comandante dei balestrieri, monsignor di Rambures, il gran Maestro di Francia, il valoroso ser Guiscardo Dauphin; Giovanni, duca di Alençon; Antonio, duca di Brabante, fratello del duca di Borgogna, e Edoardo, duca di Bar; fra i valorosi conti, Grandpré e Roussi, Fauconberg e Foix, Beaumont e Marle, Vaudemont e Lestrale. Ecco qui una regale compagnia della morte! E dov’è il ruolo degli Inglesi morti? [L’Araldo gli mostra un’altra carta] Edoardo duca di York, il conte di Suffolk, sir Riccardo Ketly, Davy Gam scudiere: nessun altro di qualche name; e dei gregari soltanto venticinque. Oh Dio! il tuo braccio ci ha assistiti e al tuo braccio soltanto e non a noi ascriviamo la vittoria. Quando mai, senza l’uso di stratagemmi e come effetto del semplice urto e dell’azione ordinaria della battaglia vi fu nei campi avversari tanta disparità di perdite? Prenditene tutto l’onore, o Dio, poiché è tuo esclusivamente.

EXETER
È veramente meraviglioso!

RE ENRICO
Suvvia, andiamo in processione al villaggio e si proclami in tutto l’esercito che sarà punito con la morte chi coi suoi vanti tenti di sottrarre a Dio la lode che spetta a Lui solo.

FLUELLEN
Ma non è lecito, Maestà, dire quanti sono stati uccisi?

RE ENRICO
Si, capitano, ma sempre riconoscendo che Dio ha combattuto per noi.

FLUELLEN
Sì, in coscienza ci ha aiutati assai.

RE ENRICO
Compiamo i sacri riti: si cantino il «Non nobis» e il «Te Deum»; si dia pia sepoltura ai morti; e poi, a Calais e in Inghilterra, dove non ginnsero mai dalla Francia uomini più felici.

[Escono.

Atto V

Entra il Coro.

CORO
Consentite ora che mi faccia suggeritore a quelli che non hanno letto la storia. A quelli che l’hanno letta domando umilmente che non esigano conto preciso del tempo, dei numeri, della debita successione degli eventi i quali non possono essere rappresentati qui nella loro immensa ed esatta realtà. Ora portiamo il Re verso Calais, e là supponetelo giunto. Dopo averlo visto colà, trasportatelo attraverso il mare sulle ali del pensiero. Vedete; la spiaggia inglese sembra chiudere il mare entro una cerchia di uomini, donne e ragazzi le cui grida e gli applausi superano il basso profondo del mare, e questo pare precedere il Re come un battistrada: così lasciate che sbarchi e proceda in gran pompa verso Londra. Il pensiero muove con passo così rapido che già potete immaginarlo in Blackheath, dove i pari vorrebbero che il suo elmo ammaccato e la spada contorta fossero portati davanti a lui attraverso alla città; senonché egli lo vieta, non sapendo che cosa siano vanagloria e orgoglio, e lasciando a Dio ogni trofeo, segno e manifestazione di onore. Ma ora nella viva fucina e opificio del pensiero vedete come Londra riversa nelle strade i suoi cittadini. Il sindaco e i suoi confratelli di più alto grado, come i senatori dell’antica Roma, coi plebei che si accalcano dietro di essi, vanno incontro al loro Cesare vincitore e lo introducono nella città; così con pari amore seppure con minor pompa, se il generale della nostra graziosa Imperatrice ritornasse dall’Irlanda portando la ribellione infilata sulla punta della spada –come potrebbe essere benissimo a suo tempo – quanti lascerebbero le loro pacifiche occupazioni nella città per dargli il benvenuto! In maggior numero e a maggior ragione lo fecero con Enrico. E ora immaginatelo a Londra, dove la lamentevole condizione dei Francesi gli permette di rimanere, mentre l’Imperatore viene a intercedere per la Francia e a metter pace fra loro. Intanto tralasciate tutti gli altri eventi, qualunque ne sia la natura, sino al ritorno di Enrico in Francia: là dobbiamo portarlo. Io stesso ho rappresentato tutto questo intervallo di tempo col ricordarvi che è passato. Rassegnatevi dunque ad accettare questo breve sommario e riportate l’occhio, seguendo ancora il pensiero, ancora e subito in Francia.

[Esce.

SCENA I.

Francia. Il campo inglese.
Entrano FLUELLEN e GOWER.

GOWER
Sta bene; ma perché portate il ramoscello di porro oggi che il giorno di San Davide è passato?

FLUELLEN
Ci sono occasioni, motifi, scopi e perché in tutte le cose: fe lo dirò perché siete mio amico, capitano Gower. Quel furfante insolente, pezzente, pidocchioso e smargiasso di Pistola che foi e io e tutti sappiamo, fedete, che è uomo di nessun merito, è fenuto da me ieri portando pane e sale infitandomi a mangiare il mio porro. La cosa é accaduta in luogo dove non era il caso che litigassi con lui; ma ora mi prendo la lipertà di portare il ramoscello sul perretto sinché non lo incontri ancora, e allora gli dirò che cosa desidero.

Entra PISTOLA.

GOWER
Ma guardate, eccolo qui che si avanza gonfio e tronfio come un tacchino.

FLUELLEN
Il gonfio, il tronfio e il tacchino non contano niente. Dio fi penedica, alfiere Pistola! scappioso e pidocchioso furfante, Dio fi penedica.

PISTOLA
Ah! sei tu, pazzo; brami, vil Troiano, che ti accorci la fatal tela della Parca? Via di qua: l’odore di porro mi muove lo stomaco.

FLUELLEN
Fi prego con tutto il cuore, priccone pidocchioso e scappioso, a mia richiesta, per mio desiderio e preghiera, mangiate questo porro; e proprio perché, fedete, non fi piace, non lo desiderate non lo appetite e fi guasta la digestione, fi infito a mangiarlo.

PISTOLA
No, per Cadwallader e tutte le sue capre.

FLUELLEN
Eccofi una capra intanto. [Lo percuote] Rognoso, folete afere la compiacenza di mangiarlo?

PISTOLA
Vil Troiano, tu morrai.

FLUELLEN
Dite la ferità, scappioso; ma sarà quando Dio forrà. Intanto fi infito a fifere e a mangiare; suffia, ecco qui la salsa. [Lo percuote] Ieri mi afete chiamato scudiero di alta montagna, e oggi foglio fare di foi «uno scudiero di passo grado». Fi prego, restate serfito; se sapete farfi peffe di un porro, saprete anche mangiarlo.

GOWER
Basta, capitano; lo avete intronato.

FLUELLEN
O mangia un po’ del porro o gli batterò la zucca quattro giorni di seguito. Mangiate, mangiate: fi farà pene alla capoccia insanguinata e alla ferita, finché è fresca.

PISTOLA
Debbo proprio mangiarlo?

FLUELLEN
Si, fuor di duppio e di questione: e senza equivoci.

PISTOLA
Giuro su questo porro che mi vendicherò quanto mai orribilmente: mangio, ma si, mangio; ma giuro...

FLUELLEN
Mangiate per far piacere a me; folete altra salsa per il porro? ma ormai non ne resta tanto da giurarfi su.

PISTOLA
Quieta codesto randello; non vedi che mangio?

FLUELLEN
E puon pro fi faccia, rognoso mariuolo, proprio di cuore. No, no; non gettatene fia. La pelle fi farà pene alla ferita. E se fi capita di federe porri in affenire fatefene pure peffe; e questo è tutto.

PISTOLA
Va bene.

FLUELLEN
Sì, il porro fa pene; eccofi un quattrino per farfi riparare la zucca.

PISTOLA
Un quattrino a me!

FLUELLEN
Sì, daffero, proprio daffero: lo dofete prendere; se no, ho un altro porro in tasca e mangerete anche quello.

PISTOLA
Prendo il quattrino come arra di vendetta.

FLUELLEN
Se fi deppo qualche cosa ditemelo che fi pagherò con pastoni; difenterete mercante di legna e da me non prenderete che randelli. Dio fi accompagni e conserfi, e fi sani la zucca.

[Esce.

PISTOLA
Tutto l’inferno fremerà per questo.

GOWER
Andate, andate un po’: siete un briccone vile che si finge coraggioso. Vi fate beffe di un’antica tradizione, nata per onorevole ragione, di un emblema usato a ricordo di un passato atto di valore, e non avete coraggio di confermare coi fatti alcuna delle vostre parole! Vi ho visto canzonare e beffare questo signore già due o tre volte. Credevate forse, perché non sa parlare inglese come i nativi del luogo, che non sapesse maneggiare un randello inglese? Ora sapete che non è cosi. E per l’avvenire fate in modo che il castigo che vi ha inflitto questo gallese vi faccia vivere da buon inglese. Addio.

PISTOLA
La fortuna mi volta ora le spalle? Nuova mi giunge che la mia Lena è defunta all’ospedale per mal francese; e così il mio punto d’appoggio è scomparso. Vecchio divento, e dalle mie stanche membra l’onore è cacciato a colpi di bastone. Bene, mezzano mi farò e inclinerò a diventare tagliaborse lesto di mano. Andrò in Inghilterra furtivamente e là di furto vivrò. Sulle ferite che mi ha fatto il randello metterò cerotti e dirò che le ho ricevute nelle guerre di Gallia.

[Esce.
Entrano da una porta RE ENRICO, EXETER, BEDFORD, GLOUCESTER, WARWICK, WESTMORELAND e altri Signori; da un’altra il RE DI FRANCIA, la REGINA ISABELLA, la PRINCIPESSA CATERINA e altre Dame; il DUCA DI BORGOGNA e il seguito.

RE ENRICO
La pace a questa assemblea, poiché per la pace siamo qui adunati. Al nostro fratello re di Francia e alla, nostra sorella salute e buon giorno; augurio di gioia alla nostra bella e augusta cugina Caterina; e voi, duca di Borgogna, salutiamo, poiché siete ramo e membro di quella casa reale che ha predisposto questo grande convegno; e principi e pari di Francia, salute a tutti!

RE DI FRANCIA
Assai lieti siamo di vedere il vostro viso, eccellentissimo fratello d’Inghilterra; benvenuto, e così a voi, principi inglesi tutti!

REGINA
Felici siano, fratello d’Inghilterra, la fine di questo fausto giorno e l’esito di questo amichevole convegno, come felici siamo noi di vedere i vostri occhi, quegli occhi che sin qui hanno diretto contro i Francesi, che si trovavano a loro portata, le pupille micidiali del basilisco: speriamo che il veleno di questi sguardi abbia perduto la sua forza e che questo giorno muti in amore ogni dolore e contesa.

RE ENRICO
E qui siamo venuti appunto per dire amen a questo augurio.

REGINA
E voi anche saluto, principi inglesi tutti.

BORGOGNA
Il mio omaggio e l’espressione del mio affetto a entrambi, grandi re di Francia e d’Inghilterra! Le vostre Maestà possono attestare quanto io abbia lavorato con tutta la mia intelligenza e quante fatiche abbia durato e quanti sforzi fatti per condurvi qui, a questa corte e a questo regale colloquio. Poiché i miei buoni uffici son riusciti a farmi incontrare faccia a faccia regale ed a quattr’occhi, permettetemi che chieda alla presenza vostra sovrana, che ostacolo o impedimento vi è per cui la pace nuda, povera e maltrattata, cara nutrice delle arti, dell’abbondanza e della fecondità, non debba mostrare il viso amabile in questa nostra fertile Francia, il più bel giardino del mondo. Ahimè! essa è stata troppo a lungo scacciata da questa terra, le cui ricchezze giacciono confuse corrompendosi per effetto della sua stessa fertilità. Le sue viti, che infondevano letizia al cuore, non potate, periscono; dalle siepi, già accuratamente tenute, germogliano virgulti disordinati come le capigliature dei prigionieri selvaggiamente scarmigliate. Sui maggesi mettono radici il loglio, la cicuta, e la prolifica fumaria, mentre arrugginisce il vomere che dovrebbe distruggere tale selvatichezza. Il prato coltivato che innanzi produceva primavera screziata, salvastrella e verde trifoglio, non toccato dalla falce e non purgato, concepisce in stato di assoluto abbandono e produce in rigoglio solo odiosi lapazi, cardi pungenti, cicute e lappole, senza più bellezza o utilità. E come i nostri vigneti, maggesi, prati e siepi pervertiti nella loro natura inselvatichiscono, proprio così le nostre case, noi stessi e i figli abbiamo perduto, o non abbiamo tempo di acquistare le scienze che dovrebbero ornare il nostro paese; ma come soldati che non meditano altro che sangue, diventiamo selvaggi, abituandoci a bestemmiare, a fare il viso truce, a vestire sciattamente e a praticare ogni costume che non sembra voluto dalla natura. A ridurre tutte queste cose nella loro grazia primiera siete qui convocati: e il mio discorso mira a scoprire l’ostacolo che impedisce alla dolce pace di togliere questi gravi inconvenienti e benedirci coi doni di un tempo.

RE ENRICO
Duca di Borgogna, se volete realmente la pace, la cui mancanza fa nascere le gravi imperfezioni che avete ricordate, dovete comprarla, accogliendo tutte le nostre giuste richieste; il cui tenore generale e le cui clausole particolari avete, brevemente elencati, nelle vostre mani.

BORGOGNA
Il Re le ha sentite, ma non ha ancora risposto.

RE ENRICO
Allora la pace, che avete sostenuto con tanta energia, dipende dalla sua risposta.

RE DI FRANCIA
Ho appena scorsi gli articoli; piaccia a Vostra Maestà di designare qualcuno del suo Consiglio che segga con noi a esaminarli di nuovo con maggiore attenzione, e subito daremo la risposta decisiva su quello che ci sentiamo di accettare.

RE ENRICO
E così faremo, fratello. Andate col Re, zio Exeter, e voi fratelli miei Clarence e Gloucester, e anche voi Warwick e Huntingdon. Vi diamo la più ampia autorizzazione, secondo quello che nella vostra saggezza vi sembrerà più confacente alla nostra dignità, di ratificare, aggiungere, mutare ciò che è contenuto nelle nostre domande e altro ancora, e noi consentiremo a quello che avrete deciso. Volete, bella sorella, andare coi principi o rimanere qui con noi?

REGINA
Amato fratello, andrò con loro: forse una voce femminile può giovare qualche poco, quando su certi articoli si insista con troppa minuzia.

RE ENRICO
Però lasciate qui con noi nostra cugina Caterina: essa è l’oggetto della nostra principale richiesta, ed è inclusa negli articoli che stanno in testa al trattato.

REGINA
Glielo permettiamo ben volentieri.

[Escono tutti eccetto Re Enrico, Caterina e Alice.

RE ENRICO
Bella, bellissima Caterina, vorreste compiacervi di insegnare a un soldato parole di tal natura che riescano a farsi strada nell’orecchio di una dama e al suo cuore gentile perorino la causa dell’amore?

CATERINA
Vostra Maestà mi canzona; non so parlare inglese.

RE ENRICO
O bella Caterina, se volete amarmi direttamente con cuore francese sarò ben lieto di sentirvelo confessare anche col vostro inglese storpiato. Che vi sembra di me, Caterina?

CATERINA
Pardonnez-moi; non capisco che voglia dire «che vi sembra».

RE ENRICO
Vuol dire che un angelo sembra voi e che voi sembrate un angelo.

CATERINA
Que dit-il? que je suis semblable à les anges?

ALICE
Oui, vraiment, sauf votre grace, ainsi dit-il.

RE ENRICO
L’ho detto, cara Caterina, e non c’è da arrossire a dirlo.

CATERINA
O bon Dieu! les langues des hommes sont pleines de tromperies.

RE ENRICO
Che dice? che le lingue degli uomini sono piene d’inganni?

ALICE
Oui, che lingue di uomini esser piene d’inganni; così la Principessa.

RE ENRICO
Allora la Principessa è una vera inglese. In fede mia, Caterina, il mio modo di corteggiare è fatto apposta per la tua intelligenza. Sono lieto che tu non sappia parlare meglio l’inglese; poiché se lo sapessi troveresti in me tanta semplicità da credere che sono un contadino che ha venduto il podere per comperare la corona. Non so di svenevolezze in amore: so dirti solo chiaro e tondo «ti amo»; e se poi dicendomi: «davvero?» e altro voi voleste farmi continuare, trovereste che ho esaurito la mia conversazione amorosa. Rispondetemi, vi prego, e datemi la mano in segno che l’affare è concluso che ne dite, signora?

CATERINA
Sauf votre honneur, io capir bene.

RE ENRICO
Vergine Santa! se mi chiedeste di ballare o far versi per amor vostro, sareste la mia rovina; per la poesia non posseggo né parole né ritmo e per la danza la mia forza non è nel ritmo, sebbene abbia un discreto ritmo di forza. Se potessi conquistare una dama col saltamontone o volteggiando in sella in completa armatura, modestia a parte, salterei presto su una moglie. O se potessi guadagnare le sue grazie a suon di busse o facendo caracollare il mio cavallo, saprei menar botte da orbi o star fermo in sella come uno scimmione senza mai perdere le staffe. Ma, in nome di Dio, Caterina, non so far lo scemo né buttar fuori discorsi con voce strozzata dall’emozione, né ho abilità nel mettere insieme proteste d’amore, ma solo giuramenti piuttosto forti che uso soltanto quando vi sono provocato, ma ai quali non vengo meno a nessun costo. Se ti senti di amare una persona di tal fatta, Caterina, che poco importa se il sole lo abbronza, che nello specchio non cerca un’immagine da vagheggiare, il tuo occhio sia il tuo cuciniere. Ti parlo schietto da soldato, e se puoi amarmi per questo, prendimi; altrimenti, direi cosa vera se ti dicessi che morirò, ma non di mal d’amore per Dio: eppure è anche vero che ti voglio bene. Finché sei a tempo, Caterina, prenditi un individuo d’una costanza semplice e genuina, che non ti farà torto perché non ha il done di saper corteggiare a destra e sinistra. I giovanotti che hanno dovizia di parole, conquistano le belle dame coi versi, ma poi sanno trovare ottime ragioni per piantarle in asso. Che mai! chi sa parlar bene è un chiacchierone, e una poesia non è che una ballata. Una gamba ben tornita è destinata ad afflosciarsi, una schiena dritta a curvarsi, una barba nera a incanutire, una testa ricciuta a diventare calva, un bel viso ad avvizzire e un occhio vivace a spegnersi. Ma un cuore in ordine è come il sole e la luna, o meglio come il sole soltanto che sempre splende, non è mutevole e va costantemente per la stessa strada. Se un tipo simile ti piace, prendi me; e se prendi me, prendi un soldato, e se prendi un soldato, prendi un re. E che dici allora di questo mio amore? parla, bella mia e dì di sì, ti prego.

CATERINA
È possibile io amare il nemico della Francia?

RE ENRICO
No, non è possibile che tu ami il nemico della Francia, Caterina; ma amando me, amerete l’amico della Francia, perché amo tanto la Francia che non rinuncerò neanche a un suo solo villaggio. La voglio tutta, e quando la Francia sarà mia e io vostro, la Francia sarà vostra e voi mia.

CATERINA
Non capisco che voler dire.

RE ENRICO
No, Caterina? allora te lo dirò in francese e questo idioma sarà come una sposa novella che abbraccia il marito, cioè mi si attaccherà tanto alla lingua che non le riuscirà di cacciarlo via. Je quand sur le possession de france et quand vous avez le possession de moi − aspetta, ho perso il filo; San Dionigi mi aiuti – donc votre est France et vous êtes mienne. Caterina, mi è più facile conquistare il regno di Francia che parlarne la lingua. Non riuscirò mai a muoverti in francese, o soltanto ti muoverò alle risa.

CATERINA
Sauf votre honneur, le François que vou parlez il est meilleur que l’anglois lequel je parle.

RE ENRICO
No, Caterina, propio no: è press’a poco lo stesso quando parliamo tu la mia e io la tua lingua dicendo, sì, la verità ma storpiando le parole. Ma Caterina, questo inglese lo capisci? mi vuoi bene?

CATERINA
Non saprei dire.

RE ENRICO
Lo sa qualcuna delle tue conoscenti? glielo chiederò. Suvvia, sono sicuro che mi vuoi bene; e la sera, quando ti ritirerai nella tua camera, domanderai tante cose di me a questa gentildonna, e so che biasimerai in me proprio quelle qualità che ami di tutto cuore. Ma, Caterina, fatti beffe di me bonariamente, perché, amabile principessa, ti amo assai. Se mai sarai mia, come una voce intima mi dice che sarai, ti prenderò d’assalto e perciò sarai una buena procreatrice di soldati; non è possibile che fra te e me, con l’aiuto di San Dionigi e di San Giorgio, mettiamo insieme un ragazzo mezzo francese e mezzo inglese che andrà a Costantinopoli a prendere il Gran Turco per la barba? sì? che ne dici, mio bel fiordaliso?

CATERINA
Non lo so.

RE ENRICO
No, lo saprai in seguito; ma per ora basta che tu prometta: prometti che farai di tutto per la parte francese di questo ragazzo, e per la metà inglese impegno la mia parola di re e di giovane valido. Che rispondi tu, lu plus belle Catharine du monde, mon très cher et divin déesse?

CATERINA
Vostra Maestà saper fausse francese quanto basta per ingannare la plus sage damoiselle che è in Francia.

RE ENRICO
Ora, abbasso il mio cattivo francese! Per il mio onore, e in buon inglese ti amo, Caterina; e per il mio onore non oso giurare che mi ami; eppure il mio sangue comincia a lusingarmi e a dirmi di sì, a dispetto della mia brutta faccia che non sa commuoverti. Maledetta l’ambizione di mio padre! quando mi ha messo al mondo non pensava che alle guerre civili: per questa ragione sono nato con questa scorza dura, con questa faccia di ferro, che, quando fo la corte alle signore, le spaventa. Ma, in fede mia, Caterina, con gli anni migliorerò: la mia consolazione è che la vecchiaia che guasta la bellezza non potrà imbruttire il mio viso più di così. Se mi prendi, mi prendi nella mia condizione peggiore, e, possedendomi, mi troverai sempre meglio: e perciò ditemi, bellissima Caterina, mi accettate? Mettete da parte i vostri rossori di fanciulla; confessate i sentimenti del vostro cuore con volto da imperatrice; prendime per mano e dì «Enrico d’Inghilterra, sono tua» e appena avrai allietato il mio orecchio con queste parole, ti dirò forte «L’Inghilterra è tua l’Irlanda è tua, la Francia è tua ed Enrico Plantageneto è tuo», e costui, sebbene io lo dica in sua presenza, se non è degno di essere compagno del miglior re, troverai almeno che è il miglior re dei buoni compagnoni. Or via, rispondi in musica partita, perché la tua voce è musica e il tuo inglese è inglese solo in parte; perciò, regina su tutte le donne, mettimi an parte della tua mente col tuo inglese, che lo è solo in parte: mi accetti?

CATERINA
Ciò sarà come piacerà al roi mon père.

RE ENRICO
Gli piacerà assai: gli dovrà piacere, Caterina.

CATERINA
Allora piacerà anche a me.

RE ENRICO
E con questo vi bacio la mano e vi chiamo mia regina.

CATERINA
Laissez, mon Seigneur, laissez: ma foi, je ne veux point que vous abaissiez votre grandeur en baisant la main d’une de votre seigneurie indigne serviteur; excusez moi, je vous supplie, mon très puissant Seigneur.

RE ENRICO
Allora vi bacerò le labbra, Caterina.

CATERINA
Les darnes et les damoiselles pour être baisées devant leur noces, il n’est pas la coutume de France.

RE ENRICO
Signora interprete, che dice la Principessa?

ALICE
Che non è uso delle signore di Francia… come si dice «baiser»?

RE ENRICO
Baciare.

ALICE
Vostra Maestà capire meglio di me.

RE ENRICO
Non è uso che le fanciulle in Francia bacino prima del matrimonio, no è vero?

ALICE
Oui, vraiment.

RE ENRICO
Caterina, l’etichetta obbedisce ai grandi re. Cara Caterina, voi ed io non possiamo lasciarci confinare entro i limiti ristretti delle usanze di un paese; siamo noi i creatori delle usanze e la libertà che accompagna il nostro rango tappa la bocca ai critici: e così farò io con la vostra, poiché difendete la schizzinosa usanza del vostro paese e mi negate un bacio: perciò abbiate pazienza e siate arrendevole. [La bacia] Sulle vostre labbra, Caterina, c’è stregoneria: c’è più eloquenza nel loro melato tocco che nella lingua di tutto il Consiglio di Francia, e riuscirebbero a persuadere Enrico d’Inghilterra più che una supplica collettiva di sovrani. Ecco qui vostro padre.

Rientrano il RE e la REGINA DI FRANCIA, il DUCA DI BORGOGNA e gli altri Signori.

BORGOGNA
Dio salvi Vostra Maestà! reale cugino, state insegnando l’inglese alla nostra principessa?

RE ENRICO
Vorrei che imparasse, mio bel cugino, quanto profondamente l’amo, in buon inglese.

BORGOGNA
Non è una scolara intelligente?

RE ENRICO
La nostra lingua é ruvida, cugino, e per conto mio non sono molto morbido di carattere; così non avendo in me né lo spirito né il linguaggio dell’adulazione, non riesco a svegliare in lei lo spirito dell’amore cosicché possa apparirle nelle sue vere sembianze.

BORGOGNA
Perdonate la franchezza del mio scherzo, se cerco di darvi adeguata risposta. Se volete fare degli scongiuri occorre che tracciate il cerchio, e se volete evocare in lei l’amore nelle sue vere sembianze, esso deve apparire nudo e cieco. Vi sentite di biasimarla, se, essendo ancora una fanciulla pronta ad arrossire per pudor verginale, non vuole vedere così a occhi nudi un ragazzo nudo e cieco? Sarebbe, mio signore, una condizione un po’ dura da imporre a una fanciulla.

RE ENRICO
Eppure chiudono gli occhi e cedono, quando il cieco amore le prende a forza.

BORGOGNA
Ma allora sono scusate, perché se chiudono gli occhi non vedono quello che stanno facendo.

RE ENRICO
Quindi, mio buon signore, insegnate a vostra cugina come consentire a chiudere gli occhi.

BORGOGNA
Le strizzerò l’occhio per farle segno di acconsentire, se le insegnate a capire il segnale, perché le ragazze, tenute calde nell’estate, sino come le mosche alla fine di agosto, che hanno occhi e non vedono; e perciò si lasciano toccare, mentre prima non si lasciavano neanche guardare.

RE ENRICO
La morale della favola mi dice di lasciar passare il tempo e il caldo; e così potrò prendere la mosca, vostra cugina, che sarà cieca anch’essa.

BORGOGNA
Come è l’amore prima che si cominci ad amare.

RE ENRICO
Così è davvero; e alcuni di voi possono ringraziare l’amore se sono cieco, e non vedo molte belle città di Francia, perché c’è di mezzo una bella fanciulla francese.

RE DI FRANCIA
Sì, mio signore, le vedete come in una pittura a sorpresa − le città cambiate in fanciulla − poiché tutte sono cinte da mura inviolate, attraverso alle quali la guerra non è mai penetrata.

RE ENRICO
Caterina sarà mia moglie?

RE DI FRANCIA
Sì, se volete.

RE ENRICO
Lo voglio: purché le città inviolate di cui avete parlato l’accompagnino. Così la fanciulla che si frapponeva fra me e l’oggetto dei miei desideri mi spianerà la via a raggiungerlo.

RE DI FRANCIA
Abbiamo consentito a tutte le condizioni che ci sembrarono ragionevoli.

RE ENRICO
E così, signori d’Inghilterra?

WESTMORELAND
Il Re ha accolto ogni richiesta. Prima sua figlia e poi tutto il resto, secondo le formule ferme e chiare delle nostre domande.

EXETER
Però non vuole accettare una cosa, cioè che il re di Francia, dovendo fare concessioni, nomini Vostra Maestà in questa forma e con questa denominazione: Notre très cher fils Henri, Roi d’Angleterre, Héritier de France, e in latino: Praeclarissimus filius noster Henricus, Rex Angliae, et Haeres Franciae.

RE DI FRANCIA
Ma non ho rifiutato in forma tale, fratello, che io non sia disposto, a vostra richiesta, a concederlo.

RE ENRICO
Allora vi prego in segno di affetto e di alleanza di mettere questa clausola con le altre: e concedetemi la mano di vostra figlia.

RE DI FRANCIA
Prendetela, bel figlio, e con lei datemi discendenti perché i regni rivali di Francia e di Inghilterra, le cui spiagge stesse sembrano pallide d’invidia, l’una per la grandeza dell’altra, cessino dal loro odio, e questa felice unione crei nei loro cuori inteneriti rapporti di buon vicinato e cristiana concordia: la guerra, così, non caccerà più tra Inghilterra e Francia la spada che gronda sangue.

TUTTI
Amen.

RE ENRICO
Benvenuta Caterina, e tutti mi siano testimoni che qui la bacio come mia Regina sovrana.

[Squillo di trombe.

REGINA
Dio, autore felice di tutte le nozze, unisca in uno i vostri cuori, in uno i vostri reami! Come il marito e la moglie diventano nell’amore un solo essere, così tra i vostri stati si compia stretta unione, cosicché il malanimo e la crudele gelosia, che turbano spesso la felicità coniugale, non si caccino di mezzo a rompere i patti conclusi fra questi regni, a spezzar il vincolo che fa di essi un corpo solo. Possano sempre i popoli dei due paesi accogliersi a vicenda, i Francesi come fossero Inglesi, e gli Inglesi come fossero Francesi. Dio accolga la nostra preghiera!

TUTTI
Amen.

RE ENRICO
Prepariamoci al matrimonio; in quel giorno, duca di Borgogna, con tutti gli altri Pari ci presterete giuramento a garanzia di questa alleanza. Allora giurerò fedeltà a Caterina e voi a me: e possano i nostri giuramenti essere mantenuti e darci felicità.

[Fanfara. Escono.

EPILOGO

Entra il Coro.

CORO
Sin qui con penna rozza e inadeguata, piegando sotto il peso del suo compito, il nostro autore ha continuato la sua storia confinando entro breve spazio grandi personaggi e ha bistrattato, toccando solo qua e là qualche punto, il corso completo della loro gloria. Piccolo il tempo; ma in quello splendette fulgido quest’astro d’Inghilterra. La fortuna gli fucinò la spada con cui conquistò il più bel giardino del mondo, lasciandone il figlio imperiale signore. Enrico Sesto, coronato in fasce, gli succedette come re di Francia e d’Inghilterra; e sotto di lui tanti comandarono nello Stato, che perdettero e fecero sanguinare l’Inghilterra; come è stato spesso rappresentato nel nostro teatro, e ricordando ciò, fate buon viso anche a questo dramma.

[Esce.