Entra il Coro.
[Esce.
SCENA I.
Francia. Il campo inglese.
Entrano FLUELLEN e GOWER.
GOWER
Sta bene; ma perché portate il ramoscello di porro oggi che il giorno di San Davide è passato?
FLUELLEN
Ci sono occasioni, motifi, scopi e perché in tutte le cose: fe lo dirò perché siete mio amico, capitano Gower. Quel furfante insolente, pezzente, pidocchioso e smargiasso di Pistola che foi e io e tutti sappiamo, fedete, che è uomo di nessun merito, è fenuto da me ieri portando pane e sale infitandomi a mangiare il mio porro. La cosa é accaduta in luogo dove non era il caso che litigassi con lui; ma ora mi prendo la lipertà di portare il ramoscello sul perretto sinché non lo incontri ancora, e allora gli dirò che cosa desidero.
Entra PISTOLA.
GOWER
Ma guardate, eccolo qui che si avanza gonfio e tronfio come un tacchino.
FLUELLEN
Il gonfio, il tronfio e il tacchino non contano niente. Dio fi penedica, alfiere Pistola! scappioso e pidocchioso furfante, Dio fi penedica.
PISTOLA
Ah! sei tu, pazzo; brami, vil Troiano, che ti accorci la fatal tela della Parca? Via di qua: l’odore di porro mi muove lo stomaco.
FLUELLEN
Fi prego con tutto il cuore, priccone pidocchioso e scappioso, a mia richiesta, per mio desiderio e preghiera, mangiate questo porro; e proprio perché, fedete, non fi piace, non lo desiderate non lo appetite e fi guasta la digestione, fi infito a mangiarlo.
PISTOLA
No, per Cadwallader e tutte le sue capre.
FLUELLEN
Eccofi una capra intanto. [Lo percuote] Rognoso, folete afere la compiacenza di mangiarlo?
PISTOLA
Vil Troiano, tu morrai.
FLUELLEN
Dite la ferità, scappioso; ma sarà quando Dio forrà. Intanto fi infito a fifere e a mangiare; suffia, ecco qui la salsa. [Lo percuote] Ieri mi afete chiamato scudiero di alta montagna, e oggi foglio fare di foi «uno scudiero di passo grado». Fi prego, restate serfito; se sapete farfi peffe di un porro, saprete anche mangiarlo.
GOWER
Basta, capitano; lo avete intronato.
FLUELLEN
O mangia un po’ del porro o gli batterò la zucca quattro giorni di seguito. Mangiate, mangiate: fi farà pene alla capoccia insanguinata e alla ferita, finché è fresca.
PISTOLA
Debbo proprio mangiarlo?
FLUELLEN
Si, fuor di duppio e di questione: e senza equivoci.
PISTOLA
Giuro su questo porro che mi vendicherò quanto mai orribilmente: mangio, ma si, mangio; ma giuro...
FLUELLEN
Mangiate per far piacere a me; folete altra salsa per il porro? ma ormai non ne resta tanto da giurarfi su.
PISTOLA
Quieta codesto randello; non vedi che mangio?
FLUELLEN
E puon pro fi faccia, rognoso mariuolo, proprio di cuore. No, no; non gettatene fia. La pelle fi farà pene alla ferita. E se fi capita di federe porri in affenire fatefene pure peffe; e questo è tutto.
FLUELLEN
Sì, il porro fa pene; eccofi un quattrino per farfi riparare la zucca.
PISTOLA
Un quattrino a me!
FLUELLEN
Sì, daffero, proprio daffero: lo dofete prendere; se no, ho un altro porro in tasca e mangerete anche quello.
PISTOLA
Prendo il quattrino come arra di vendetta.
FLUELLEN
Se fi deppo qualche cosa ditemelo che fi pagherò con pastoni; difenterete mercante di legna e da me non prenderete che randelli. Dio fi accompagni e conserfi, e fi sani la zucca.
[Esce.
PISTOLA
Tutto l’inferno fremerà per questo.
GOWER
Andate, andate un po’: siete un briccone vile che si finge coraggioso. Vi fate beffe di un’antica tradizione, nata per onorevole ragione, di un emblema usato a ricordo di un passato atto di valore, e non avete coraggio di confermare coi fatti alcuna delle vostre parole! Vi ho visto canzonare e beffare questo signore già due o tre volte. Credevate forse, perché non sa parlare inglese come i nativi del luogo, che non sapesse maneggiare un randello inglese? Ora sapete che non è cosi. E per l’avvenire fate in modo che il castigo che vi ha inflitto questo gallese vi faccia vivere da buon inglese. Addio.
PISTOLA
La fortuna mi volta ora le spalle? Nuova mi giunge che la mia Lena è defunta all’ospedale per mal francese; e così il mio punto d’appoggio è scomparso. Vecchio divento, e dalle mie stanche membra l’onore è cacciato a colpi di bastone. Bene, mezzano mi farò e inclinerò a diventare tagliaborse lesto di mano. Andrò in Inghilterra furtivamente e là di furto vivrò. Sulle ferite che mi ha fatto il randello metterò cerotti e dirò che le ho ricevute nelle guerre di Gallia.
[Esce.
Entrano da una porta RE ENRICO, EXETER, BEDFORD, GLOUCESTER, WARWICK, WESTMORELAND e altri Signori; da un’altra il RE DI FRANCIA, la REGINA ISABELLA, la PRINCIPESSA CATERINA e altre Dame; il DUCA DI BORGOGNA e il seguito.
RE ENRICO
La pace a questa assemblea, poiché per la pace siamo qui adunati. Al nostro fratello re di Francia e alla, nostra sorella salute e buon giorno; augurio di gioia alla nostra bella e augusta cugina Caterina; e voi, duca di Borgogna, salutiamo, poiché siete ramo e membro di quella casa reale che ha predisposto questo grande convegno; e principi e pari di Francia, salute a tutti!
RE DI FRANCIA
Assai lieti siamo di vedere il vostro viso, eccellentissimo fratello d’Inghilterra; benvenuto, e così a voi, principi inglesi tutti!
REGINA
Felici siano, fratello d’Inghilterra, la fine di questo fausto giorno e l’esito di questo amichevole convegno, come felici siamo noi di vedere i vostri occhi, quegli occhi che sin qui hanno diretto contro i Francesi, che si trovavano a loro portata, le pupille micidiali del basilisco: speriamo che il veleno di questi sguardi abbia perduto la sua forza e che questo giorno muti in amore ogni dolore e contesa.
RE ENRICO
E qui siamo venuti appunto per dire amen a questo augurio.
REGINA
E voi anche saluto, principi inglesi tutti.
BORGOGNA
Il mio omaggio e l’espressione del mio affetto a entrambi, grandi re di Francia e d’Inghilterra! Le vostre Maestà possono attestare quanto io abbia lavorato con tutta la mia intelligenza e quante fatiche abbia durato e quanti sforzi fatti per condurvi qui, a questa corte e a questo regale colloquio. Poiché i miei buoni uffici son riusciti a farmi incontrare faccia a faccia regale ed a quattr’occhi, permettetemi che chieda alla presenza vostra sovrana, che ostacolo o impedimento vi è per cui la pace nuda, povera e maltrattata, cara nutrice delle arti, dell’abbondanza e della fecondità, non debba mostrare il viso amabile in questa nostra fertile Francia, il più bel giardino del mondo. Ahimè! essa è stata troppo a lungo scacciata da questa terra, le cui ricchezze giacciono confuse corrompendosi per effetto della sua stessa fertilità. Le sue viti, che infondevano letizia al cuore, non potate, periscono; dalle siepi, già accuratamente tenute, germogliano virgulti disordinati come le capigliature dei prigionieri selvaggiamente scarmigliate. Sui maggesi mettono radici il loglio, la cicuta, e la prolifica fumaria, mentre arrugginisce il vomere che dovrebbe distruggere tale selvatichezza. Il prato coltivato che innanzi produceva primavera screziata, salvastrella e verde trifoglio, non toccato dalla falce e non purgato, concepisce in stato di assoluto abbandono e produce in rigoglio solo odiosi lapazi, cardi pungenti, cicute e lappole, senza più bellezza o utilità. E come i nostri vigneti, maggesi, prati e siepi pervertiti nella loro natura inselvatichiscono, proprio così le nostre case, noi stessi e i figli abbiamo perduto, o non abbiamo tempo di acquistare le scienze che dovrebbero ornare il nostro paese; ma come soldati che non meditano altro che sangue, diventiamo selvaggi, abituandoci a bestemmiare, a fare il viso truce, a vestire sciattamente e a praticare ogni costume che non sembra voluto dalla natura. A ridurre tutte queste cose nella loro grazia primiera siete qui convocati: e il mio discorso mira a scoprire l’ostacolo che impedisce alla dolce pace di togliere questi gravi inconvenienti e benedirci coi doni di un tempo.
RE ENRICO
Duca di Borgogna, se volete realmente la pace, la cui mancanza fa nascere le gravi imperfezioni che avete ricordate, dovete comprarla, accogliendo tutte le nostre giuste richieste; il cui tenore generale e le cui clausole particolari avete, brevemente elencati, nelle vostre mani.
BORGOGNA
Il Re le ha sentite, ma non ha ancora risposto.
RE ENRICO
Allora la pace, che avete sostenuto con tanta energia, dipende dalla sua risposta.
RE DI FRANCIA
Ho appena scorsi gli articoli; piaccia a Vostra Maestà di designare qualcuno del suo Consiglio che segga con noi a esaminarli di nuovo con maggiore attenzione, e subito daremo la risposta decisiva su quello che ci sentiamo di accettare.
RE ENRICO
E così faremo, fratello. Andate col Re, zio Exeter, e voi fratelli miei Clarence e Gloucester, e anche voi Warwick e Huntingdon. Vi diamo la più ampia autorizzazione, secondo quello che nella vostra saggezza vi sembrerà più confacente alla nostra dignità, di ratificare, aggiungere, mutare ciò che è contenuto nelle nostre domande e altro ancora, e noi consentiremo a quello che avrete deciso. Volete, bella sorella, andare coi principi o rimanere qui con noi?
REGINA
Amato fratello, andrò con loro: forse una voce femminile può giovare qualche poco, quando su certi articoli si insista con troppa minuzia.
RE ENRICO
Però lasciate qui con noi nostra cugina Caterina: essa è l’oggetto della nostra principale richiesta, ed è inclusa negli articoli che stanno in testa al trattato.
REGINA
Glielo permettiamo ben volentieri.
[Escono tutti eccetto Re Enrico, Caterina e Alice.
RE ENRICO
Bella, bellissima Caterina, vorreste compiacervi di insegnare a un soldato parole di tal natura che riescano a farsi strada nell’orecchio di una dama e al suo cuore gentile perorino la causa dell’amore?
CATERINA
Vostra Maestà mi canzona; non so parlare inglese.
RE ENRICO
O bella Caterina, se volete amarmi direttamente con cuore francese sarò ben lieto di sentirvelo confessare anche col vostro inglese storpiato. Che vi sembra di me, Caterina?
CATERINA
Pardonnez-moi; non capisco che voglia dire «che vi sembra».
RE ENRICO
Vuol dire che un angelo sembra voi e che voi sembrate un angelo.
CATERINA
Que dit-il? que je suis semblable à les anges?
ALICE
Oui, vraiment, sauf votre grace, ainsi dit-il.
RE ENRICO
L’ho detto, cara Caterina, e non c’è da arrossire a dirlo.
CATERINA
O bon Dieu! les langues des hommes sont pleines de tromperies.
RE ENRICO
Che dice? che le lingue degli uomini sono piene d’inganni?
ALICE
Oui, che lingue di uomini esser piene d’inganni; così la Principessa.
RE ENRICO
Allora la Principessa è una vera inglese. In fede mia, Caterina, il mio modo di corteggiare è fatto apposta per la tua intelligenza. Sono lieto che tu non sappia parlare meglio l’inglese; poiché se lo sapessi troveresti in me tanta semplicità da credere che sono un contadino che ha venduto il podere per comperare la corona. Non so di svenevolezze in amore: so dirti solo chiaro e tondo «ti amo»; e se poi dicendomi: «davvero?» e altro voi voleste farmi continuare, trovereste che ho esaurito la mia conversazione amorosa. Rispondetemi, vi prego, e datemi la mano in segno che l’affare è concluso che ne dite, signora?
CATERINA
Sauf votre honneur, io capir bene.
RE ENRICO
Vergine Santa! se mi chiedeste di ballare o far versi per amor vostro, sareste la mia rovina; per la poesia non posseggo né parole né ritmo e per la danza la mia forza non è nel ritmo, sebbene abbia un discreto ritmo di forza. Se potessi conquistare una dama col saltamontone o volteggiando in sella in completa armatura, modestia a parte, salterei presto su una moglie. O se potessi guadagnare le sue grazie a suon di busse o facendo caracollare il mio cavallo, saprei menar botte da orbi o star fermo in sella come uno scimmione senza mai perdere le staffe. Ma, in nome di Dio, Caterina, non so far lo scemo né buttar fuori discorsi con voce strozzata dall’emozione, né ho abilità nel mettere insieme proteste d’amore, ma solo giuramenti piuttosto forti che uso soltanto quando vi sono provocato, ma ai quali non vengo meno a nessun costo. Se ti senti di amare una persona di tal fatta, Caterina, che poco importa se il sole lo abbronza, che nello specchio non cerca un’immagine da vagheggiare, il tuo occhio sia il tuo cuciniere. Ti parlo schietto da soldato, e se puoi amarmi per questo, prendimi; altrimenti, direi cosa vera se ti dicessi che morirò, ma non di mal d’amore per Dio: eppure è anche vero che ti voglio bene. Finché sei a tempo, Caterina, prenditi un individuo d’una costanza semplice e genuina, che non ti farà torto perché non ha il done di saper corteggiare a destra e sinistra. I giovanotti che hanno dovizia di parole, conquistano le belle dame coi versi, ma poi sanno trovare ottime ragioni per piantarle in asso. Che mai! chi sa parlar bene è un chiacchierone, e una poesia non è che una ballata. Una gamba ben tornita è destinata ad afflosciarsi, una schiena dritta a curvarsi, una barba nera a incanutire, una testa ricciuta a diventare calva, un bel viso ad avvizzire e un occhio vivace a spegnersi. Ma un cuore in ordine è come il sole e la luna, o meglio come il sole soltanto che sempre splende, non è mutevole e va costantemente per la stessa strada. Se un tipo simile ti piace, prendi me; e se prendi me, prendi un soldato, e se prendi un soldato, prendi un re. E che dici allora di questo mio amore? parla, bella mia e dì di sì, ti prego.
CATERINA
È possibile io amare il nemico della Francia?
RE ENRICO
No, non è possibile che tu ami il nemico della Francia, Caterina; ma amando me, amerete l’amico della Francia, perché amo tanto la Francia che non rinuncerò neanche a un suo solo villaggio. La voglio tutta, e quando la Francia sarà mia e io vostro, la Francia sarà vostra e voi mia.
CATERINA
Non capisco che voler dire.
RE ENRICO
No, Caterina? allora te lo dirò in francese e questo idioma sarà come una sposa novella che abbraccia il marito, cioè mi si attaccherà tanto alla lingua che non le riuscirà di cacciarlo via. Je quand sur le possession de france et quand vous avez le possession de moi − aspetta, ho perso il filo; San Dionigi mi aiuti – donc votre est France et vous êtes mienne. Caterina, mi è più facile conquistare il regno di Francia che parlarne la lingua. Non riuscirò mai a muoverti in francese, o soltanto ti muoverò alle risa.
CATERINA
Sauf votre honneur, le François que vou parlez il est meilleur que l’anglois lequel je parle.
RE ENRICO
No, Caterina, propio no: è press’a poco lo stesso quando parliamo tu la mia e io la tua lingua dicendo, sì, la verità ma storpiando le parole. Ma Caterina, questo inglese lo capisci? mi vuoi bene?
CATERINA
Non saprei dire.
RE ENRICO
Lo sa qualcuna delle tue conoscenti? glielo chiederò. Suvvia, sono sicuro che mi vuoi bene; e la sera, quando ti ritirerai nella tua camera, domanderai tante cose di me a questa gentildonna, e so che biasimerai in me proprio quelle qualità che ami di tutto cuore. Ma, Caterina, fatti beffe di me bonariamente, perché, amabile principessa, ti amo assai. Se mai sarai mia, come una voce intima mi dice che sarai, ti prenderò d’assalto e perciò sarai una buena procreatrice di soldati; non è possibile che fra te e me, con l’aiuto di San Dionigi e di San Giorgio, mettiamo insieme un ragazzo mezzo francese e mezzo inglese che andrà a Costantinopoli a prendere il Gran Turco per la barba? sì? che ne dici, mio bel fiordaliso?
RE ENRICO
No, lo saprai in seguito; ma per ora basta che tu prometta: prometti che farai di tutto per la parte francese di questo ragazzo, e per la metà inglese impegno la mia parola di re e di giovane valido. Che rispondi tu, lu plus belle Catharine du monde, mon très cher et divin déesse?
CATERINA
Vostra Maestà saper fausse francese quanto basta per ingannare la plus sage damoiselle che è in Francia.
RE ENRICO
Ora, abbasso il mio cattivo francese! Per il mio onore, e in buon inglese ti amo, Caterina; e per il mio onore non oso giurare che mi ami; eppure il mio sangue comincia a lusingarmi e a dirmi di sì, a dispetto della mia brutta faccia che non sa commuoverti. Maledetta l’ambizione di mio padre! quando mi ha messo al mondo non pensava che alle guerre civili: per questa ragione sono nato con questa scorza dura, con questa faccia di ferro, che, quando fo la corte alle signore, le spaventa. Ma, in fede mia, Caterina, con gli anni migliorerò: la mia consolazione è che la vecchiaia che guasta la bellezza non potrà imbruttire il mio viso più di così. Se mi prendi, mi prendi nella mia condizione peggiore, e, possedendomi, mi troverai sempre meglio: e perciò ditemi, bellissima Caterina, mi accettate? Mettete da parte i vostri rossori di fanciulla; confessate i sentimenti del vostro cuore con volto da imperatrice; prendime per mano e dì «Enrico d’Inghilterra, sono tua» e appena avrai allietato il mio orecchio con queste parole, ti dirò forte «L’Inghilterra è tua l’Irlanda è tua, la Francia è tua ed Enrico Plantageneto è tuo», e costui, sebbene io lo dica in sua presenza, se non è degno di essere compagno del miglior re, troverai almeno che è il miglior re dei buoni compagnoni. Or via, rispondi in musica partita, perché la tua voce è musica e il tuo inglese è inglese solo in parte; perciò, regina su tutte le donne, mettimi an parte della tua mente col tuo inglese, che lo è solo in parte: mi accetti?
CATERINA
Ciò sarà come piacerà al roi mon père.
RE ENRICO
Gli piacerà assai: gli dovrà piacere, Caterina.
CATERINA
Allora piacerà anche a me.
RE ENRICO
E con questo vi bacio la mano e vi chiamo mia regina.
CATERINA
Laissez, mon Seigneur, laissez: ma foi, je ne veux point que vous abaissiez votre grandeur en baisant la main d’une de votre seigneurie indigne serviteur; excusez moi, je vous supplie, mon très puissant Seigneur.
RE ENRICO
Allora vi bacerò le labbra, Caterina.
CATERINA
Les darnes et les damoiselles pour être baisées devant leur noces, il n’est pas la coutume de France.
RE ENRICO
Signora interprete, che dice la Principessa?
ALICE
Che non è uso delle signore di Francia… come si dice «baiser»?
ALICE
Vostra Maestà capire meglio di me.
RE ENRICO
Non è uso che le fanciulle in Francia bacino prima del matrimonio, no è vero?
RE ENRICO
Caterina, l’etichetta obbedisce ai grandi re. Cara Caterina, voi ed io non possiamo lasciarci confinare entro i limiti ristretti delle usanze di un paese; siamo noi i creatori delle usanze e la libertà che accompagna il nostro rango tappa la bocca ai critici: e così farò io con la vostra, poiché difendete la schizzinosa usanza del vostro paese e mi negate un bacio: perciò abbiate pazienza e siate arrendevole. [La bacia] Sulle vostre labbra, Caterina, c’è stregoneria: c’è più eloquenza nel loro melato tocco che nella lingua di tutto il Consiglio di Francia, e riuscirebbero a persuadere Enrico d’Inghilterra più che una supplica collettiva di sovrani. Ecco qui vostro padre.
Rientrano il RE e la REGINA DI FRANCIA, il DUCA DI BORGOGNA e gli altri Signori.
BORGOGNA
Dio salvi Vostra Maestà! reale cugino, state insegnando l’inglese alla nostra principessa?
RE ENRICO
Vorrei che imparasse, mio bel cugino, quanto profondamente l’amo, in buon inglese.
BORGOGNA
Non è una scolara intelligente?
RE ENRICO
La nostra lingua é ruvida, cugino, e per conto mio non sono molto morbido di carattere; così non avendo in me né lo spirito né il linguaggio dell’adulazione, non riesco a svegliare in lei lo spirito dell’amore cosicché possa apparirle nelle sue vere sembianze.
BORGOGNA
Perdonate la franchezza del mio scherzo, se cerco di darvi adeguata risposta. Se volete fare degli scongiuri occorre che tracciate il cerchio, e se volete evocare in lei l’amore nelle sue vere sembianze, esso deve apparire nudo e cieco. Vi sentite di biasimarla, se, essendo ancora una fanciulla pronta ad arrossire per pudor verginale, non vuole vedere così a occhi nudi un ragazzo nudo e cieco? Sarebbe, mio signore, una condizione un po’ dura da imporre a una fanciulla.
RE ENRICO
Eppure chiudono gli occhi e cedono, quando il cieco amore le prende a forza.
BORGOGNA
Ma allora sono scusate, perché se chiudono gli occhi non vedono quello che stanno facendo.
RE ENRICO
Quindi, mio buon signore, insegnate a vostra cugina come consentire a chiudere gli occhi.
BORGOGNA
Le strizzerò l’occhio per farle segno di acconsentire, se le insegnate a capire il segnale, perché le ragazze, tenute calde nell’estate, sino come le mosche alla fine di agosto, che hanno occhi e non vedono; e perciò si lasciano toccare, mentre prima non si lasciavano neanche guardare.
RE ENRICO
La morale della favola mi dice di lasciar passare il tempo e il caldo; e così potrò prendere la mosca, vostra cugina, che sarà cieca anch’essa.
BORGOGNA
Come è l’amore prima che si cominci ad amare.
RE ENRICO
Così è davvero; e alcuni di voi possono ringraziare l’amore se sono cieco, e non vedo molte belle città di Francia, perché c’è di mezzo una bella fanciulla francese.
RE DI FRANCIA
Sì, mio signore, le vedete come in una pittura a sorpresa − le città cambiate in fanciulla − poiché tutte sono cinte da mura inviolate, attraverso alle quali la guerra non è mai penetrata.
RE ENRICO
Caterina sarà mia moglie?
RE DI FRANCIA
Sì, se volete.
RE ENRICO
Lo voglio: purché le città inviolate di cui avete parlato l’accompagnino. Così la fanciulla che si frapponeva fra me e l’oggetto dei miei desideri mi spianerà la via a raggiungerlo.
RE DI FRANCIA
Abbiamo consentito a tutte le condizioni che ci sembrarono ragionevoli.
RE ENRICO
E così, signori d’Inghilterra?
WESTMORELAND
Il Re ha accolto ogni richiesta. Prima sua figlia e poi tutto il resto, secondo le formule ferme e chiare delle nostre domande.
EXETER
Però non vuole accettare una cosa, cioè che il re di Francia, dovendo fare concessioni, nomini Vostra Maestà in questa forma e con questa denominazione: Notre très cher fils Henri, Roi d’Angleterre, Héritier de France, e in latino: Praeclarissimus filius noster Henricus, Rex Angliae, et Haeres Franciae.
RE DI FRANCIA
Ma non ho rifiutato in forma tale, fratello, che io non sia disposto, a vostra richiesta, a concederlo.
RE ENRICO
Allora vi prego in segno di affetto e di alleanza di mettere questa clausola con le altre: e concedetemi la mano di vostra figlia.
RE DI FRANCIA
Prendetela, bel figlio, e con lei datemi discendenti perché i regni rivali di Francia e di Inghilterra, le cui spiagge stesse sembrano pallide d’invidia, l’una per la grandeza dell’altra, cessino dal loro odio, e questa felice unione crei nei loro cuori inteneriti rapporti di buon vicinato e cristiana concordia: la guerra, così, non caccerà più tra Inghilterra e Francia la spada che gronda sangue.
RE ENRICO
Benvenuta Caterina, e tutti mi siano testimoni che qui la bacio come mia Regina sovrana.
[Squillo di trombe.
REGINA
Dio, autore felice di tutte le nozze, unisca in uno i vostri cuori, in uno i vostri reami! Come il marito e la moglie diventano nell’amore un solo essere, così tra i vostri stati si compia stretta unione, cosicché il malanimo e la crudele gelosia, che turbano spesso la felicità coniugale, non si caccino di mezzo a rompere i patti conclusi fra questi regni, a spezzar il vincolo che fa di essi un corpo solo. Possano sempre i popoli dei due paesi accogliersi a vicenda, i Francesi come fossero Inglesi, e gli Inglesi come fossero Francesi. Dio accolga la nostra preghiera!
RE ENRICO
Prepariamoci al matrimonio; in quel giorno, duca di Borgogna, con tutti gli altri Pari ci presterete giuramento a garanzia di questa alleanza. Allora giurerò fedeltà a Caterina e voi a me: e possano i nostri giuramenti essere mantenuti e darci felicità.
[Fanfara. Escono.