Félix Lope de Vega y Carpio, Lo fingido verdadero

La finzione veritiera




Edición filológica utilizada:
Lope de Vega,La finzione veritiera / Lo fingido verdadero, edizione de M.T. Cattaneo, trad. Marco Vecchia, Milano, CUEM, 2008.
Procedencia:
Texto base
Edición digital a cargo de:
  • Corbellini, Natalia (Artelope)

Elenco

PERSONAGGI

MARZIO
CURIO
MASSIMIANO
CAMILLA
SEGESTO
DUE MUSICI
SALLUSTIO
DIOCLEZIANO
LELIO, CONSOLE
FELISARDO
AURELIO, CESARE
SEVERIO
LENTULO
NUMERIANO
PATRIZIO
FABRIZIO
APRO, CONSOLE
PINABELO
MARCELLA
CARINO
OTTAVIO
SULPIZIO
ROSARDA
UN ANGELO
UN CARCERIERE
GENESIO
UN CAPITANO
ALBINO
IL GUARDAROBIERE
UN SOLDATO

Atto I

(Entra Marzio, soldato.)

Marzio
Maledetto l'imperatore e sette imperi. Ci trascina fino in Mesopotamia, nudi, distrutti, coperti di insulti, per acquistare non gloria, ma vergogna. Suo figlio, a Roma, è come un satiro alle nozze di Ippodamia,
Allusione alle tragiche nozze di Piritoo e Ippodamia, dove si scateno lalotta tra i Centauri e i Lapiti. Si noti 1'imprecisione di Lope che sostituisce'satiro1 a 'centauro'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
un nuovo vituperato Nerone, e intanto noi vaghiamo per mari stranieri per vincere i Persiani.

(Entra Curio, soldato.)

Curio
Gli scrivono che Carino,
Carino, figlio dell'imperatore Aurelio Caro, divenne nel 282 d.C. Cesare e nello stesso anno Augusto, in occasione della partenza del padre per la Pannonia e la Mesopotamia. Nel 283 Caro mori, si disse colpito da un fulmine, ma forse per malattia o uccisione; il figlio minore, Numeriano, che combatteva accanto al padre, anche lui nominate Cesare, divenne Augusto e prese la via del ritorno in Occidente. Fu pero ucciso da Apro, prefetto del pretorio e suo suocero, neU'autunno del 284, presso il Bosforo. Diocleziano vendico il delitto e venne proclamato imperatore dai soldati. Allora Carino gli mosse contro e sostenne alcune dure e incerte battaglie con le milizie di Diocleziano. La battaglia definitiva ebbe luogo presso Viminacio (285); quando le sue sorti belliche cominciavano a declinare, fu ucciso, pare per vendetta personale, da un tribuno. La fonte storica di Lope fu con molta probabilita la Historia Imperial y Cesdrea di Pero Mexia, che racconta minutamente queste vicende. Mexia sottolinea la singolarita della morte di Aurelio Caro, colpito dal fulmine: 'que por grande y poderoso que era Caro ningun acatamiento le tuvo el rayo' e ragiona a lungo su come agli imperatori romani siano accaduti 'tantos infortunios, como a los mas bajos y mas traviesos hombres del mundo' concludendo che 'ningun genero de muerte hay tan vil ni tan extrano que no se haya ejecutado en romano emperador" (Historia Imperial y Cesdrea ... agora nuoevamente enmendada y corregida por el mismo Autor, Sevilla, Dominico de Robertis, 1547, f. 51). Mexia insiste piu volte sulla viziosita di Carino 'deshonesto y nefandissimamente libidinoso y adiiltero', cui e opposta come controcanto la virtu di Numeriano 'dado a virtuosos ejercicios y habilitades ... poeta ... y orador muy excelente' (f. 53). Mexia propone anche la traduzione del nome latino di Apro in 'jabalf, spiega come pote avvenire 1'uccisione di Numeriano che, affetto da una forte malattia agli occhi, viaggiava in una portantina chiusa e non poteva essere visto se non da pochissimi, tra cui il suocero, ricorda il 'gracioso' racconto di Flavio Vopisco intorno al pronostico di una vivandiera con fama di maga (una druida gallica) per cui Diocleziano sarebbe diventato imperatore uccidendo un cinghiale. Solo quindi la morte di Carino, nella notte romana, sembra essere invenzione di Lope. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
suo figlio, infamia del valore romano, vive come un furioso libertino, e lui ci porta a conquistare la Persia? L'altro figlio, il valoroso Numeriano, meriterebbe altari e onori divini e lui, nell'inclemenza di luglio, lo conduce a morte certa per opporsi ai Persiani?

(Entra Massimiano, soldato.)

Massimiano
Se Numeriano fosse meno buono, tu, Aurelio Caro, non avresti più un soldato che segua i tuoi labari e le tue aquile; per loro conta solo il suo felice comando. E quando già credevamo che il tuo avido cuore facesse ritorno in patria, tu nell'ardente luglio, ci porti contro i Persiani ribelli? E voi, soldati, lo tollerate?

(Entra Diocleziano, soldato.)

Diocleziano
Per il sacro Giove, venerato nell'Olimpo, se solo due la pensassero come me, Aurelio, già più nessun soldato ti seguirebbe. Adesso, ci conduci fin dove sorge l'aurora? Adesso, che il Sole splende nella Vergine e il focoso Leone ne soffre i raggi più della forza del possente Ercole? Ma hai un cervello? Hai un'anima? Dopo tutto questo navigare, ora con la tormenta ora con la bonaccia, sino alle sorgenti del sacro Giordano, ora ci porti da una palma all'altra fino alle rive del Tigri, fino al gelido Cidno
Cidno, fiume dell'Anatolia (oggi Tarso); in seguito a un bagno nelle sue fredde acque Alessandro Magno corse pericolo di vita. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
, che nelle sue acque volle dar morte all'invitto Alessandro? Massimiano!

Massimiano
Valoroso Diocleziano!

Diocleziano
Marzio, Curio, che succede?

Curio
Mettiamo alla prova questo francese
Frances': secondo molti storici antichi citati da Mexia (Aurelio Vittore, Eusebio, Paolo Orosio, Eutropio) Aurelio Caro era originario della Gallia, nato a Narbona. Altre fonti lo dicono invece originario del'Illiria. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
imperatore romano, che ci trascina nel regno di Semiramide.

Diocleziano
Può ben ringraziare Numeriano per non essersi proclamato Cesare ed essergli debitore della libertà.

Massimiano
Impazzisco quando sento le notizie su Carino. Si dice che viva turpemente a Roma, forzando le donne più oneste, senza escludere mogli di senatori o sacerdotesse di Vesta; che abbia ucciso e oltraggiato migliaia di patrizi, senza rispetto per le venerande canizie di uomini che furono consoli, giudici, pretori e più volte degni del trionfo.

Marzio
Perché non ha lasciato a Roma Numeriano, fratello di questa fiera sanguinaria, così colto in tutte le discipline, così umano? Lo stato sarebbe felice e la patria, famosa per i suoi Cesari, tornerebbe a conoscere i tempi di Traiano.

Diocleziano
Perché non ne fa una giusta e perché Roma frena la superbia con questo genere di mostri. C'è qualcosa da mangiare?

Curio
Che parli di mangiare?

Diocleziano
E neanche denaro?

Massimiano
Denaro! Se ce ne fosse, mi sentirei di affrontare le fatiche o le favole di Ercole e anche peggio.

Diocleziano
Che io non diventi il Cesare: tu che comandi tanta gente bellicosa e fiera, perché non la curi, perché non la sostieni? Aiutatemi a insultare Aurelio.

Massimiano
E' un decrepito
Sopprimo il segno di interrogazione presente nella Parte XVI e nell'edizione moderna, che mi sembra ingiustificato. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
.

Curio
E' un ubriacone.

Marzio
E' un pazzo.

Diocleziano
E' l'imperatore: parliamo piano; non bisogna disprezzare lo scettro anche se è in mano a un barbaro Circasso.

Curio
Non sei stato tu a incitarci?

Diocleziano
Se vi ho incitato, ora me ne pento.

Marzio
Non è il caso.

Diocleziano
Lo dico, perché potrebbe anche succedere che diventassi imperatore.

Curio
Chi?

Diocleziano
Io, un giorno.

(Entra Camilla, fornaia, con una cesta di pani.)

Camilla
Chi compra il buon pane, soldati? E' bianco e ben cotto.

Massimiano
Ci sono già le vivandiere? Non siamo alloggiati così male.

Diocleziano
Sparlavamo a torto del Cesare.

Marzio
Sì. Se solo ci fossero i soldi per comprarlo...

Massimiano
Oggi aspetto un aiuto.

Diocleziano
Parlate senza animosità e tornate a dir bene del Cesare.

Curio
Dopo aver mangiato.

Camilla
Chi vuole pane, chi ne vuole?

Massimiano
Io lo voglio.

Marzio
Anch'io.

Diocleziano
Camilla, tu mi conosci. Dammi un pane e che il cielo ti protegga.

Camilla
E i soldi chi me li dà?

Diocleziano
Non ho denaro, ma ti pagherò quando sarò imperatore a Roma.

Camilla
Spiritoso!

Diocleziano
Non potrebbe succedere?

Camilla
E io che ne so? ma già altre volte, soldato, mi hai detto nella tua miseria che quando sarai imperatore e incoronato di alloro, mi pagherai quello che ora mi chiede il tuo bisogno. Ma sei sempre qui.

Diocleziano
E' forse una burla Roma? Che cosa c'è di meglio che andarci e diventare Cesare e imperatore, signore di tutto il mondo con potere assoluto?

Camilla
Ed è forse una burla il pane: prenderlo e non pagarlo?

Diocleziano
Spero di pagarti se mi daranno l'impero.

Camilla
Prendi, che quando ucciderai un cinghiale diventerai imperatore.

Massimiano
Se è tutto qui, prendilo, non esitare.

Diocleziano
E non dovrei esitare se questa donna mi dice che diventerò Cesare quando riesca a uccidere un cinghiale? Ho accolto l'augurio in modo tale che, pure se è una burla, ci credo; anche se, come vedete, sono un soldato di ben poco conto, di cinghiali ne ho uccisi più di mille.

Curio
Non fidarti mai degli oracoli.

Diocleziano
La religione romana è tutta fondata sugli oracoli.

Curio
Mangia e smetti di pensare a quello che non succederà mai.

Diocleziano
Prendete del pane, amici; e quando un giorno, per vie misteriose, diventerò imperatore saprò dividere il potere bene come questo pane. Prendi e mangia Massimiano, che sarai mio aiutante. E tu, amica, per il tuo amore, vedrai cosa vali per me se riuscirò ad essere Cesare.

Camilla
Il tuo animo mi innamora: vuoi tutto il mio pane e tutto quello che porto qui? Vuoi denaro? Prendi.

Diocleziano
Ti ho già detto che quando sarò imperatore a Roma, là ti ricompenserò per questo amore.

Camilla
Anche se sono una popolana, gli uomini d'alto pensiero mi fanno morire.

Curio
Che vento furioso!

Camilla
Sta per piovere, devo andare. Ma dimmi il tuo nome.

Diocleziano
Io sono Diocleziano.

Camilla
E, uccidendo un cinghiale, sarai imperatore romano.

(Camilla esce.)

Massimiano
Come si oscura la luce del cielo.

Marzio
Che buio terribile!

Diocleziano
Pare una spaventosa notte; i lampi e i tuoni somigliano al furore della battaglia.

Curio
Si squarciano i neri seni delle nubi e versano fuoco che dilata l'aria.

Diocleziano
Sembrano
'parecen': cosi la Parte XVI, 'parece' nell'edizione moderna. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
serpi argentee che fendono il proprio elemento e gli spaventosi ruggiti del mare si sentono fin qui.

Marzio
Gli elementi, finora uniti, vogliono separarsi.

Curio
Il vento estirpa dal suolo tende e padiglioni.

Diocleziano
Che c'è di strano se strappa una tela legata a quattro pioli, quando svelle dal luogo natale le querce più antiche, i faggi frondosi, forti cipressi, robusti lecci, palme e gloriosi allori?

Curio
Rifugiamoci sotto quel masso.

Marzio
Fossimo a Damasco, sotto un buon tetto!

Massimiano
I fulmini mi fanno venir meno: fuggi.

Diocleziano
Non temere. Hai mai visto un imperatore romano morire fulminato?

(Escono e entra il Cesare Aurelio con la corona d'alloro.)

Aurelio
Cielo, che è questa follia di opporti al mio braccio adirato, dopo che ho superato montagne di ghiaccio e vulcani di fiamme? Non vedi che contro la mia forza sono poca cosa la tua grandine e i tuoi lampi? Tra sfere di neve tu sputi feroci vipere di fuoco, mentre Roma ardisce affrontare la grandezza dell'impero greco? Non vedi che il mio sacro alloro è preservato dalla tua furia? Non vedi, divino Giove, che sono tue le aquile romane? Questo sacro manto, avvolto al mio braccio, e questa nuda spada doma i Parti e i Medi e la regione che guarda con timore il sole. Io sono Aurelio Caro; io sono il Cesare di Roma; io reggo sotto il mio dominio questo basso mondo; se tuo è il firmamento, la terra è mia; il potere si mantiene dividendolo in tal modo. E tu, Marte divino: furono i tuoi figli a sacrificarti per primi nel foro romano i tori selvaggi, riscaldando gli altari con sangue che tinse le sacre asce; come puoi ora permettere che, in queste solitudini, le tempeste disperdano il nostro esercito, le bandiere di Roma e la corona, temuta dovunque giunge lo sguardo di Febo, dall'antartico all'Orsa maggiore
Calixto: nome mitologico della costellazione dell'Orsa, dalla ninfa omonima, amata da Zeus e trasformata da Artemide in orsa e poi dallo stesso Zeus in costellazione. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
? Giove, se pensassi che le nubi possano mostrare, senza il tuo consenso, questa orrida faccia, crederei che ignori che stanno squarciando contro Roma il loro grembo gravido di saette e di tuoni. Tu, o cielo, disperdi l'esercito romano? com'è possibile? Se distruggi l'ordine imposto dai suoi consoli, non stupirti quando ti muoveranno guerra i giganti. Bada, Giove, che se ammucchiamo monte su monte ti farò ben spaventare; e dopo fulminami pure, come Tifone, purché la mia vendetta moderi la potenza del tuo furore. Oserò far ascendere alle tue supreme sfere mille squadroni di gente armata e audace. Sembra che tu punisca i miei discorsi! Ah, che tuono selvaggio! Giove, mi fulminasti ed io ora muoio.

(Si finge un rumore di tuono ed egli cade al suolo come colpito dal fulmine. Entrano Numeriano, suo figlio, i soldati e Diocleziano, Marzio, Curio e Massimiano.)

Numeriano
Venite qui, soldati, venite; è caduto vicino alla tenda di mio padre.

Diocleziano
Empio cielo, la tua furia non rispetta neanche i sacri allori.

Numeriano
Che dici?

Diocleziano
E' morto.

Numeriano
Oggi, Roma, la tua corona va in pezzi; è proprio lui, lo ha ucciso il fulmine.

Massimiano
Che volto nero ha!

Curio
Non è ferito.

Numeriano
Amato padre, chi può guardarti senza provare un deliquio mortale?

Marzio
Viene Apro, tuo suocero.

(Entra Apro, suocero di Numeriano.)

Apro
Che cos'ha il Cesare, Numeriano?

Numeriano
Ahimé, Apro. Non vedi che ha la carne bruciata fino alle ossa?

Apro
Figlio mio, e di che ti stupisci?

Numeriano
Di vedere, nel mezzo degli eventi più prosperi e costanti, un finale così sventurato, avvenimenti tali. Di vedere chi mi ha generato e chi portava sulle spalle tutto l'Impero, precipitato a terra; perché se con il suo valore, nuovo Ercole, sorresse il mondo, pensavo che cadendo lui anche il mondo cadesse.

Apro
Figlio, i fulmini colpiscono le torri più alte; un uomo così grande, che riuscì a supplire alle manchevolezze di Roma e che onorò la propria fronte con una corona maggiore di quella di Augusto, non poteva essere ucciso che da un fulmine. Portate il suo corpo là dove lo si possa onorare debitamente, affinché dal suo fuoco e dal suo valore sorga la novella fenice Numeriano.

Numeriano
Non è giusto parlarne mentre regna mio fratello. Carino impera a Roma; se mi elegge Cesare, se mi nomina, - anche se dubito che accetti di avere uno pari a sé, foss'anche la sua stessa ombra - allora servirò l'impero.

Diocleziano
Questi discorsi non sono senza mistero.

Apro
E come pensi di tenere le legioni romane sotto il tuo comando?

Numeriano
Imitando il valore di Aurelio Caro, rifiutando ogni offesa
L'edizione moderna sostituisce ben poco convincentemente: '^Como admitir ofensas?'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
contro il Cesare, mio fratello e nominandomi console Numeriano. Orsù, forti soldati, ora militate sotto il mio comando!

Apro
Confido nei sacri cieli e nella pietà di Giove, che ti cingeranno la fronte di alloro e di olivo! Evviva il console!

Tutti
Viva il console!

(Escono. A Roma. Entra Carino, in abito notturno, con due musici, Celio, servo, e Rosarda, in vesti maschili.)

Carino
Bella burla gli abbiamo fatto!

Rosarda
Per Dio, l'imperatore si è battuto con coraggio!

Carino
E' che ho te nel cuore.

Rosarda
C'è un'arma con nome di donna?

Carino
Non potrebbe essere egida?

Rosarda
Eh sì: è femminile, mentre scudo in effetti è maschile!

Celio
Dato che sono più amiche degli scudi, sarebbe meglio chiamarla scudo, signore.

Carino
Mi stanchi davvero col tuo spirito alla spagnola.

Celio
Che vuoi? è di lì che vengo.

Carino
E adesso dove si va, che ci sia una dama sola?

Musico 1
Qui vicino vive Falsirena, una generosa napoletana, ma...

Carino
E' difficile.

Musico 1
E' anziana.

Carino
Anziana, falsa e sirena. Tre belle qualità! Non nominarla neppure.

Musico 2
Un mese fa ne sono giunte tre, accordate nell'età come le corde di una chitarra
Lope allude alia successione degli intervalli nell'accordatura di uno strumento a corde; il gioco di parole, ripreso in requintada, si intensifica in tercera, che significa sia 'intervallo di due tonf che 'mezzana'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
. Prima, seconda e terza.

Carino
La prima.

Musico 2
Quindici anni.

Carino
Ottimo. La seconda.

Musico 2
Una quinta sotto: quindici più della prima.

Carino
Trenta: ragionevole, e poi...

Musico 2
Due volte trenta.

Carino
Male: sessanta.

Musico 2
E' mezzana di quella di trenta.

Rosarda
Oh, che la bruci il fuoco ardente! Non andiamo dove c'è una vecchia.

Carino
Perché?

Rosarda
Sono gru che sorvegliano i giovani.

Carino
E che pelano dalla barba alle ciglia.

Celio
Qui vive un grande avvocato, con una moglie...

Carino
Dillo.

Celio
Di grande grazia.

Carino
Allora lui ne otterrà tantissime: l'ho sentito dire in una copla spagnola
II probabile riferimento e alia letra "La mujer del letrado" di Juan de Salinas che inizia con 'Yo se un idiota letrado/Que diera buen parecer/Con solo dar su mujer, /Porque lo tiene extremado' cfr. Adolfo de Castro, Poetas liricos de los sighs XVI y XVII, 1857. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
.

Celio
Una volta sono andato a parlargli e, in un'ora sola, ho visto arrivare più di mille clienti.

Rosarda
Non c'è da stupirsi se era lei a concedere le grazie.

Celio
Anche le donne di quegli attori sono molto graziose.

Carino
Sono sposate?

Celio
Nossignore.

Carino
E un imperatore potrà far la corte a queste donne?

Rosarda
Oh bella. Non sono imperatrici e regine?

Celio
E tu credi di regnare con maggior autorevolezza? La vera differenza è che la loro commedia dura un'ora e mezza, la tua commedia dura tutta la vita. Anche tu reciti, ma sei vestito da re fino alla morte, che è l'ombra della fine.

Rosarda
Bello!

Carino
Che c'è di bello? Celio, non ti ho mai visto così sciocco.

Celio
Ti domando perdono.

Carino
Io sono in giro a divertirmi e tu mi tiri fuori i tuoi filosofeggiamenti sul morire e sul regnare.

Celio
Ho detto che è una recita; non ti ho abbreviato i giorni. Che Giove ti conservi per mille anni.

Carino
Sono di malumore.

Rosarda
Per essere il servo, Celio, oggi hai recitato male piaceri, adulazioni e inganni.

Celio
E allora fai tu la parte delle dama con l'abilità di chi è innamorata
Nella Parte XVI e nell'edizione moderna 'con el primor que quien ama'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
e parla al Cesare adirato.

Rosarda
Occhi miei, guarda che sono io la dama di questa commedia.

Carino
Solo la tua vista placa il mio male: abbracciami. Che vuol dire morte o essere vestito da re? Io sono il Cesare romano, signore supremo, non un imperatore finto. Questo non è recitare, come quello di chi vive qui. Sono nato re, signore, Cesare, per imperare e regnare. Quando Genesio va in scena a fare il re in una tragedia, regnerà per un'ora e mezza e poi non lo sarà più. Ma io che, per la mia sorte fortunata, sono davvero re, lo sarò in vita e in morte; sono certo di vivere per la mia età e la mia salute, per la mia forza e il mio valore, e per il fatto di essere imperatore, che è un'altra grande virtù. Che cos'è la morte? Che sciocchezza è dire che un re muore? Le leggi dell'uomo non toccano l'imperatore Carino. E' ridicolo filosofare su questo e gli avvenimenti umani nulla possono contro il potere divino. Noi imperatori, lo sapete, siamo quasi uguali agli dei celesti; siamo signori del mondo come loro lo sono del cielo; vivaddio, se solo sapessi dove vive questa morte feroce, spauracchio della terra, ci andrei e le tirerei due pugnalate. Cantate! Godiamoci il piacere e la libertà finché la fortuna è con noi. Facciamo musica per Genesio e le sue attrici.

Rosarda
Sei tornato di buon umore.

Carino
Mi sento l'argento vivo in corpo. Vada pure mio padre in Persia a conquistare terre per Roma con tante guerre diverse; dica pure che la patria è sua madre; io me ne andrò per di qua divertendomi a piacer mio.

Rosarda
Forse già dorme.

Carino
Se dorme si sveglierà.

Rosarda
Chiamate il capocomico, perché non credo che sia Genesio.

Celio
Genesio è uno della compagnia, ma penso che sia il migliore, perché è anche poeta e scrive le commedie.

Carino
Se è un cattivo poeta, smetta e non insista a scriverle. Che reciti e già non sarà poco.

Celio
Eccolo

(Entra Genesio.)

Genesio
La mia casa, signore, ha l'inaudita fortuna che tu la venga a visitare.

Carino
Non chiamarmi per nome, voglio recitare la parte di un nobile qualsiasi, di un uomo. Cosa stavi facendo?

Genesio
Distribuivo le parti di una commedia.

Carino
Chi è l'autore?

Genesio
Aristocele.

Carino
Bell'ingegno! Sarà potente.

Genesio
Certo. C'è persino un toro: è la storia di Pasifae.

Carino
Te ne ricordi qualche brano a memoria?

Genesio
E perché? Devi venire a vederla.

Carino
Musicisti, ne hai?

Genesio
Eccellenti. Verranno, se vuoi ascoltarli.

Carino
E come stai a donne? Senza loro, tutto è nulla.

Genesio
Ho fatto del mio meglio. Ne avevo una eccezionale che si chiamava Lisarda, un vero incantesimo per l'orecchio, perché non era molto bella; ma si è fatta cristiana.

Carino
E non ha più recitato?

Genesio
Si è imbarcata in fretta e furia per farsi penitente sui monti di Marsiglia.

Carino
Vuoi che la mandi a prendere?

Genesio
C'è un grande problema: quella di adesso ha già studiato tutte le parti e temo che se ne andrebbe se gliele togliessi.

Carino
Recitami una commedia, qui, in mezzo alla strada.

Genesio
Signore, temo che non riuscirei a radunare la compagnia.

Carino
Eh già: alcuni saranno in giro per Roma e altri staranno dormendo.

Rosarda
Presumo che sarà impossibile.

Carino
Bada, voglio che domani un poeta famoso scriva una magnifica storia su me e Rosarda; e lei sia molto abile e discreta e io molto sciocco e geloso; prendi questa borsa.

Rosarda
Anch'io lo pagherò, perché il suo autore famoso descriva te amato e ingrato e me piena di mille gelosie.

Carino
Hai denaro?

Rosarda
Questa catena; ma no, che reca il tuo ritratto.

Carino
Dagliela e Genesio sarà rappresentante imperiale perché ha il sigillo regale che, dopotutto, è il mio ritratto; i ritratti furono creati solo per l'assenza, perché i ritratti in presenza dell'originale non hanno mai avuto alcun senso.

Genesio
Per simile onore e beneficio, dammi mille volte il tuo piede.

Carino
Da oggi, Genesio, ti chiameranno attore regale. Quando rappresenterai la commedia?

Genesio
Dipende dal poeta a cui affiderò l'incarico: solo questo è il problema. Perché c'è qualche poeta che ha la musa per moglie.

Carino
Spiegati meglio.

Genesio
Il fatto è che ci farà aspettare, fossi anche tu a chiederglielo, prima di annunciare il parto, perché genera qualsiasi commedia solo dopo nove mesi.

Carino
Ma devi essere certo, Genesio, che i figli saranno maschi e belli.

Genesio
E se fossero femmine e brutte?

Carino
Suvvia: cerca Aristele e la scriverà in fretta.

Genesio
Si atterrà al buon gusto.

Carino
Recita come fai di solito: non mi piace seguire le regole e i precetti.

Genesio
Qualche intenditore avrà da ridire.

Carino
E tu lascialo ridire. Diletta l'orecchio e basta, purché non si vedano errori grossolani.

Rosarda
Stiamo consumando inutilmente la notte. Va' a dormire, Genesio.

Genesio
Vado, con tua licenza.

(Esce Genesio.)

Carino
E adesso dove andiamo, che i piedi
Qui e piu avanti Lope gioca con il doppio senso di 'pie' come piede umano e come unita metrica; anche se meno esatto che in spagnolo o in latino, il doppio senso sopravvive anche in italiano. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
non me li sento più? a furia di parlare con i poeti sono finiti tutti nei loro versi.

Celio
Andiamo dalle cugine.

Carino
Non portarmi mai tra le vecchie.

Musico 1
Se non fosse che è lontano, ci sarebbe una focosa spagnola, che colpisce, uccide e stritola.

Carino
Non ho mai conosciuto una spagnola fredda: però non mi diverto, se non facciamo anche noi qualcosa di male.

Rosarda
Che bel temperamento

Carino
Quello che più mi dà diletto e piacere, Celio, è disonorare una donna casta e nobile e virtuosa, e se è moglie di un senatore, mi piace il doppio.

Rosarda
Bada però: ti dico che Roma soffre molto per quello che dici.

Celio
Signore, ho sentito mille voci; correggiti e segui i buoni esempi; Lelio, il console, che hai così gravemente offeso nell'onore, conosce il tuo amore folle e anche la sua vergogna.

Carino
Certo che questa notte Celio è proprio noioso!

Rosarda
Se è vero che gli hai violentato la moglie, ti sembra strano, imperatore, che il console Lelio sia adirato?

(Entra Lelio, con tre uomini.)

Carino
Ti ci metti anche tu?

Lelio
Fermatevi lì.

Fabio
Vuoi parlargli?

Lelio
Sì.

Fabio
Sei pazzo?

Lelio
E' questo l'onore? E' qui il Cesare?

Carino
Chi è?

Lelio
Un console del tuo senato a cui hai violentato la moglie, ancor più nel proclamarlo dopo, che prima nel compiere questa immensa malvagità.

Carino
Come osi parlare al Cesare senza rispetto?

Lelio
Perché la tua maestà l'hai perduta quando hai macchiato il tuo onore; tu, che sei obbligato, per il sacro alloro che ti cinge la fronte, a difendere l'onore di tutti, fosti tu a togliermi il mio: da quel momento sei rimasto senza il tuo e senza valore. Tu non sei re, né mai lo è stato chi non sa regnare sulle volontà e offende il cielo con tante malvagità. Che cosa hai fatto da quando sei imperatore? Di quanto oro hai accresciuto l'erario, tu che hai preso tutto quello che c'era per spenderlo con buffoni e puttane? Che province hai conquistato per il popolo romano?

Carino
Lelio, sei impazzito?

Lelio
Come il tuo gran padre Aurelio e Numeriano tuo fratello, quale uomo virtuoso hai premiato, se non imbroglioni, mezzani e ruffiani? Rispondi, mostro vizioso, vipera di Roma, di', quale è stato il tuo pensiero?

Carino
Cielo, e tu sopporti questa audacia senza prendere le mie parti? Roma, non sono io il tuo signore? Roma, sono questi i figli che generi?

Lelio
Se raffronti alle tue imprese questo audace furore, vedrai quanto lo meriti. In quale tribunale stai facendo giustizia, in quale trionfo vai marciando, che tributo offri a Roma perché ti adori e ti ami, se non di notte, la maestà mascherata e ornata da un buffone e una puttana?

Carino
Potenza di Giove! gente, guardie, uccidetelo!

Lelio
Quali guardie? Con te ci sono solo due musici e Rosarda; ma io voglio estirpare da Roma un nuovo Nerone.

(Lo colpisce e intervengono i soldati che ha con sé.)

Carino
Sono morto! Tradimento, tradimento!

Lelio
Pezzenti, fate passare!

Celio
Nessuno soccorre il Cesare?

Lelio
Via!

Rosarda
Ah mio bene!

Celio
Che disgrazia!

Carino
Ho recitato la mia parte: fui Cesare, Roma, ero re; la tragedia è terminata, la morte mi ha spogliato: credo che, in tutto, la mia vita non sia durata più di un'ora e mezza. Queste vesti teatrali di re - perchè è legge comune di tutti coloro che nacquero
Restituisco 'fueron' della Parte XVI al posto di 'fueran' e regolarizzo la punteggiatura. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
- mettetele dove poi le possa prendere il mio successore, quando dovrà recitare; voglia il cielo che lo faccia meglio!

Rosarda
Crudele mano omicida! Ma credimi: appena sarà acceso il sacro rogo, l'amore ti offrirà la mia vita.

Carino
No, Rosarda, vivi.

Celio
Roma, il tuo Cesare è morto.

Musico 1
E' tutta in subbuglio.

Carino
Patria, fai vendetta. Crudele morte, dov'eri? Chi riuscirà a sfuggirti? Quale forza è pari alla tua, che distrugge persino i re?

(Entra Apro, con Severio.)

Apro
La malattia del Cesare Numeriano ci ha obbligato, Severio, a condurre l'esercito romano sulla strada del ritorno: fu decisione unanime.

Severio
E il Cesare viaggia ormai completamente risanato?

Apro
La lunga strada e il mare agitato gli hanno appena permesso la convalescenza: però non gli mancano attenzioni e cure.

Severio
Tu avrai un genero che sarà unico imperatore di tutta Roma: suo fratello è un barbaro e fa desiderare la sua triste fine.

Apro
Tanto opprime e tiranneggia Roma.

Severio
Si dà solo ai vizi, non guarda al bene pubblico, né prende un documento in mano; insomma, la gente aspetta Numeriano con gioia.

Apro
Mio genero, Severio, è il più valoroso principe che avrà visto questo impero. Dal suo governo mi aspetto solo felicità: i cieli lo proteggono per un arcano disegno.

(Entra Felisardo.)

Felisardo
Dov'è Numeriano?

Apro
Oh, Felisardo!

Felisardo
Valoroso Apro! Nobile Severio!

Severio
Sii il benvenuto! Che notizie da Roma? Come prende il popolo il nostro arrivo?

Felisardo
Gli archi di trionfo preparati per Aurelio Caro, di cui ignoravo la morte che mi riempie di sgomento, ora li cambia dedicandoli al fortunato Numeriano; ma, ahimé, che in questo stesso giorno, o meglio notte, con mala sorte Carino uscì in incognito per divertirsi.

Apro
E' morto?

Felisardo
Lelio, offeso, lo ha ucciso.

Apro
E come lo aveva offeso?

Felisardo
Ti sembra piccola offesa avergli violentato la moglie, nobile matrona?

Apro
E' finto il tuo dolore?

Severio
Felisardo è saggio.

Felisardo
Quale mortale risparmia la morte feroce?

Apro
E Lelio è fuggito?

Felisardo
No. Marco Ottavio difende la sua persona con mille uomini e il popolo non lo attacca perché è ben felice di proclamare tuo genero imperatore Augusto.

Apro
Va' Severio e fa che tutte le legioni che hai riportato in patria si muovano subito: farò partire anche gli squadroni.

Felisardo
Fai molto bene, perché l'aria di Roma è infuocata.

Severio
Mentre tu incoroni Numeriano con l'alloro, e che lo goda per mille anni in serenità, io vado a rimettere nei ranghi la nostra gente.

(Esce Severio.)

Apro
Devo parlarti in segreto.

Felisardo
Quale che sia il problema, puoi fidarti di me.

Apro
Che direbbe la città se vedesse me sul trono di Cesare?

Felisardo
Ciò che direbbe di molti altri che furono stimati per la loro virtù. I soldati ti amano? Ti hanno, per caso, eletto? Perché sono loro che hanno il potere di proclamare un imperatore a cui Roma, per paura, cerca poi di ubbidire. Ma, finché è vivo Numeriano, tuo figlio e genero, non credo che il tuo desiderio sia condiviso dall'esercito romano.

Apro
Vivo, dici?

Felisardo
Non vive, dunque?

Apro
Infermo, su una portantina, l'ho trasportato sulla riva dove l'accampamento lo accoglie ma, fingendo che sia malato, non lascio che lo vedano, perché a dire il vero...

Felisardo
Parla, non hai nulla da temere.

Apro
Io l'ho ucciso e l'ho trasportato così, coperto e nascosto.

Felisardo
Hai ucciso tuo genero?

Apro
Sono giustificato da un così grande impero; non si chiama tradimento il desiderio di regnare.

Felisardo
Come pensi di annunciare la sua morte?

Apro
In questa occasione, poiché già viaggiava infermo, la cosa sarà molto credibile; e dato il mio grande potere, la fama, il sangue, non si può eleggere nessun altro, là dove ci sono io.

Felisardo
E Numeriano è morto; il più degno di regnare per restaurare Roma.

Apro
Che dici?

Felisardo
Che hai colto nel segno e che il senato romano approva senza distinzione di sangue o di fama qualunque Cesare eletto dall'esercito e dalle legioni.

Apro
Che succede?

Felisardo
Concludi in fretta: i soldati sono in fermento per la morte di Carino.

(Da fuori scena.)

Voces
Evviva! Evviva!

Apro
Che follia. Tutti ingannati.

(Da fuori scena.)

Voces
Viva Numeriano!

Tutti
Evviva!

Apro
Ecco la portantina. Oh cielo!

Felisardo
Non devi aver timore che non ti accettino come Cesare.

(Viene condotto in scena Numeriano su una portantina. Entrano tutti i soldati con una corona d'alloro e Diocleziano, Marzio, Curio, Massimiano, Severio.)

Diocleziano
Che sia malato o no, che importa, l'esercito vuole vederlo e spasima perché gli sia data la corona.

Marzio
Suo suocero Apro è qui.

Diocleziano
Console! Dacci il permesso di adorare la presenza del Cesare.

Apro
Fatelo, dunque; ma era così malato che, se vi ho impedito di vederlo, è stato solo perché avevo paura per la sua sopravvivenza. Dio solo sa con quante attenzioni ho protetto la sua vita.

Curio
Console, l'esercito gli dia il sacro alloro e lo adori come signore. Il piacere gli darà sollievo.

Apro
Mentre ancora riposa, pensate all'amore con cui vi ho comandato e guidato da quando Aurelio è morto e che sono sempre stato un padre per ogni soldato. Quale bottino non ho condiviso? Quale povero non ho soccorso? A chi mai ho fatto danno o sono stato ingrato? Do licenza a tutti di dire in che cosa l'ho offeso.

Massimiano
Apro, foss'anche così, che c'entra il bene che fai all'esercito romano con l'adorazione della presenza del grande Cesare Numeriano? Alzate questa cortina e inginocchiatevi.

Diocleziano
Vengo anch'io ad adorarlo con te.

Marzio
Datemi queste fronde divine, ché lo voglio incoronare.

Diocleziano
Onora l'alloro con la sua fronte.

Marzio
Tutte le tue genti romane, Cesare, vengono ad adorarti.

Curio
Quanto è pallido, quanto abbattuto e triste!

Diocleziano
Ah, signore. Essere imperatore romano, non ti ha risollevato e commosso?

Marzio
La potenza di questo alloro, signore, ottenga la tua guarigione; credo che ne abbia tanta che basti a darti forza.

Diocleziano
Osserva, grande Numeriano, come tutto il mondo ti adora; guarda come queste foglie vittoriose circondano le tue tempie, perché anche se sembra che sia tu ad onorare le sacre foglie, sono loro che hanno onorato molte fronti. Non può rispondere, soldati; io credo che sia morto.

Massimiano
Prendigli la mano; ti dirà se è vivo.

Diocleziano
Mai nella zona più fredda Finmarchia
Finmarquia: la regione piu settentrionale della Norvegia. Libonia: o Livonia, nome antico della Lettonia. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
e Livonia hanno visto ghiaccioli così gelati. Il Cesare è morto.

Curio
Che dici?

Diocleziano
Che è morto e che la morte muta in cipressi i sempreverdi allori di questa corona.

Marzio
Non è stata la malattia a ucciderlo, per Giove.

Massimiano
Questo è certo. E' stato Apro ad ucciderlo.

Curio
Da quello che ha detto poco fa, si capisce bene che è stato Apro e che gli ha dato il veleno

Apro
Soldati, guardatelo bene.

Marzio
Portatelo via e con nera solennità gli daremo una funesta sepoltura.

(Portano via la lettiga.)

Curio
Quanto incerta l'umana gloria!

Apro
Soldati, sono suo suocero; se Numeriano riposa in pace con i santi dei, era mortale e questo è quanto. Ciò che dovete considerare è che solo la mia persona è degna del verde alloro; perché né nell'accampamento né a Roma c'è altro uomo che lo meriti e non è giusto che l'esercito mi anteponga nessuno che vesta clamide o toga. Io sono Apro, io sono console, io sono colui le cui eroiche imprese sono note in tutta l'Asia e l'Europa. Sono io il vostro Cesare, soldati?

Marzio
Non ci sembra una cosa giusta. Hai avvelenato tu il tuo genero Numeriano.

Apro
Io, figli miei, io?

Felisardo
Apro, perché neghi la tua notoria malvagità? Me lo hai detto tu, proprio qui, e avvelenandolo o soffocandolo hai tolto la vita al solo uomo che in tutta la storia romana, per tacere di Traiano e della grandezza spagnola, abbia dato
Correggo un 'no' che altera il senso della frase. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
una speranza così forte di fare di Roma, ancora una volta, il centro e la regina del mondo; e dunque ti sembra giusto cingerti l'alloro che hai strappato a tuo genero?

Apro
Tutto questo che importa, soldati, se voi apprezzate il mio valore, i miei trionfi e le mie vittorie?

Diocleziano
Ricordo che a una fornaia che vendeva il suo pane promisi di pagarglielo quando fossi diventato imperatore a Roma, e lei mi disse: "Sarai Cesare quando la tua famosa spada uccida un cinghiale"; o cielo, se il console si chiama Apro, che nella nostra lingua latina significa cinghiale, in cui la sua malvagità lo trasforma, senza dubbio ora si sta compiendo l'oracolo promesso; ma... e se l'accampamento si rivoltasse e mi togliessero la vita?... Ma che mi offre la vita, quando c'è una posta così alta? I soldati stanno persuadendosi e sono pronti ad accettarlo come imperatore di Roma. Fermati, mano; dove vai? bada che nessuno ti sostiene e che io sono figlio di uno schiavo; ma il solo tentarlo è sufficiente per ottenere eterna fama. Se combatto sulla terra e sul pericoloso mare per ottenere fama, e ora espongo questa vita, sempre troppo breve, a un così certo pericolo per l'impero e la corona niente meno che del mondo, c'è morte più onorevole? Ascolta, Apro.

Apro
O Diocleziano! Aiutami: se oggi la tua legione sarà dalla mia parte, domani farò sì che tu cinga una corona murale e navale e ossidionale.

Diocleziano
E io, console, ti ringrazio; ma l'immagine spaventosa di Numeriano, tuo genero, mutata in nera ombra, mi apparve questa notte e mi disse con voce rauca che offrissi a Roma questa vendetta del suo sangue innocente.

Apro
Muoio!

Curio
Sommo Giove, che succede?

Diocleziano
Oh, corona e gloria del mondo; oh, forti soldati, compagni del mio onore, che combattendo al mio fianco avete dilatato la vostra felice fama dalla rosata aurora fino all'occidente! Non ribellatevi, che non è uomo d'onore chi si ribella vedendo uccidere un traditore che priva la nostra patria del più pacifico re che abbia visto la nostra città gloriosa da quando regnarono su di essa i due figli della lupa. Ma se fu mal fatto e se Diocleziano vi offende, che il mio miglior amico snudi la spada e apra il petto in cui albergò questa pietà.

Marzio
Per gli dei; divina virtù ti adorna e sei degno che l'Italia ti incoroni con lo stesso alloro che cinse il troiano fuggiasco.

Massimiano
Esercito, tu che hai visto la spada di Diocleziano in tante diverse vittorie, più forte e più valorosa di quella di Pirro in Epiro e nella grande Sparta di quella del forte Alcibiade, onora un uomo che ti onora; non dar tempo a Roma di nominare un re che interrompa la tua consuetudine marziale

Diocleziano
Soldati, la mia retorica non è quella di Ulisse, né la mia lingua ha studiato le sue lusinghe; sono un vostro compagno; se la vostra mano incorona le mie tempie, le vostre tempie potranno condividerne le foglie; sarete tutti Cesari. Che ne dite?

Tutti
Dategli l'alloro.

Diocleziano
Sono il vostro Cesare?

Tutti
Sì.

Diocleziano
E dunque tutta la tenda di Numeriano e di suo suocero, soldi, armi e gioielli, divideteli fra di voi. A me basta questo manto e questa spada che vi difenda.

Curio
L'esercito ti adora; regna, Diocleziano.

Tutti
Evviva!

Diocleziano
L'esercito marci su Roma.


Atto II

(Entra Diocleziano, con seguito e musica.)

Diocleziano
Sono molto grato a Roma che mi chiama padre e Augusto, con tanta gioia e così grandi feste.

Lentulo
E' assai contenta di vederti suo imperatore; non si ricorda un'accoglienza così plaudente per nessun altro Cesare.

Diocleziano
Ben presto la mia gratitudine le farà capire che non si è sbagliata; così sarà per l'esercito, che espresse ad alta voce il suo consenso; farò dare ai soldati gran quantità di denaro da ripartire fra loro.

Tutti
Vivi mille anni!

Diocleziano
Non voglio acquistare e accumulare null'altro che il loro benvolere.

Lentulo
(aparte) All'inizio, sono tutti così ben disposti; e poi compiono mille malvagità.

Diocleziano
Pranzino con me i senatori e anche le loro consorti; ed è giusto organizzare feste per il popolo, che mi ha chiamato padre della patria, Augusto, sacro, eroico e trionfatore.

Lentulo
Che feste vuoi che si facciano, signore?

Diocleziano
Quelle che più vi piacciano: domani i gladiatori con armi di mille tipi, poi getterete alle belve schiavi e malfattori. E' già tutto preparato?

Lentulo
Sissignore.

Diocleziano
Che belve ci sono?

Lentulo
Un orso, una tigre, un leone e un serpente.

Diocleziano
Bene.

Lentulo
Il serpente è stato catturato in Libia e Marzio lo ha portato con la sua nave. Roma non l'ha ancora visto e non sa com'è fatto.

Diocleziano
Credo di averne visto uno in Arabia.

Lentulo
Perché in te c'è qualcosa di Ercole.
Riferimanto al mito di Ercole che, ancora in fasce, avrebbe strozzato due serpenti. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)

(Entra Massimiano.)

Massimiano
Bacio i tuoi piedi.

Diocleziano
Arrivi in ritardo. Il mio amore è offeso, nobile Massimiano, per il tuo poco amore.

Massimiano
Signore invitto, il vederti incoronato imperatore fu causa della mia mancanza; ormai la tua sacra maestà ha un seggio così alto, che il pensiero umano la considera una divinità. Per questo non ho avuto il coraggio di guardare il tuo sole al suo sorgere; che farò quando sarà nel pieno del suo splendore?

Diocleziano
Massimiano, la fortuna innalza e abbassa chi vuole: abbandona alcuni, altri ne preferisce, senza nessuna costanza. Questo immenso potere ce l'ha sulle cose terrene, non sulle anime celesti, perché è impossibile. Da ciò capirai che se il mio stato mutò, non mutò l'anima, e sento che non muterà mai. Massimiano, fummo entrambi soldati e compagni; amici, sempre uniti, sopportammo sete, fame e atroci fatiche. Ora che la fortuna mi ha collocato in alto, non è giusto che dividiamo, senza nessuna differenza fra noi, questo stato di prosperità? Dirai che è impossibile; sì, che è possibile, perché l'amore uguaglia chi ama all'amato e, insieme, l'amato a chi l'ama, e amandoti è giusto che divida con te anche l'alloro della mia fronte. Ti nomino Cesare; ricorda che siamo sempre vissuti in pace e come fummo soldati, saremo imperatori. Quando dividevamo il pane tolto al nemico eravamo buoni amici; oggi che il cielo benigno ci dà questo impero, dividiamolo fra noi; so, e in Dio lo spero, che non ci sarà invidia né gelosia. Datemi una corona.

Massimiano
Generoso Diocleziano, se bastassero a soddisfarti le ragioni dell'ingegno umano, con esse potrei mostrarti la forza del tuo divino valore, ma, signore, chi potrà soddisfarti con esse? Ti supplico di tenermi come servo nella tua casa, perché è al disopra del giusto che tu mi renda uguale a te. Io sarò contento così.

Diocleziano
Su, portatemi l'alloro!

(Portano una corona d'alloro.)

Massimiano
Non farmene degno se fu degno di te.

Diocleziano
Con le mie stesse mani pongo sulla tua fronte, Massimiano, queste fronde consacrate.

Massimiano
Il vero alloro, Diocleziano, non è l'albero stesso o l'impero romano, ma che le sue fronde siano state onorate dalla tua mano.

Diocleziano
Siediti al mio fianco.

(Mentre i due, già incoronati, si siedono, entra Camilla, fornaia.)

Camilla
(aparte) Ciò che provvede il cielo nei suoi divini segreti, va per così misteriosi sentieri che la terra non lo intende. Seguii l'esercito romano, vendendo il mio pane, fin dove adesso stanno gli accampamenti; conobbi in Asia Diocleziano, che ora, per il suo valore e la sua fortuna, è imperatore, da schiavo romano che era. Viveva in tale miseriaNella Parte XVI: 'hasta donde agora estan / los campos que conoci. / En el Asia Diocleciano, / que agora es Emperador / por su fortuna y valor, / siendo esclauo de un Romano. / Viuia en tanta pobreza...'. L'edizione moderna riassesta la punteggiatura sopprimendo il punto dopo 'Romano' e ottenendo un senso scorrevole, con 1'eccezione di 'conocf che, anche interpretato come 'ho frequentato1, suona sempre sovrabbondante. Propongo quindi una lettura piu soddisfacente ma che non puo che restare congetturale in presenza di un solo testimonio. (N. ed. Cattaneo-Vecchia) che se mi prendeva un pane diceva, ridendo gentilmente, che rimandava il pagamento a quando sarebbe stato imperatore; e io, allegra per il suo valore, per burla rispondevo che lo sarebbe diventato uccidendo un cinghiale; diede morte al console e così, burlando, arrivò ad essere Cesare. Ora che ho visto farsi veritiere le sue burle e le mie, vengo a vedere se in questo giorno pagherà i vecchi debiti.

Camilla
(A Diocleziano) Famoso Diocleziano, invitto signore del mondo, poiché sei imperatore del grande impero romano! Ricordi quei giorni quando eri soldato di Aurelio in Asia e, perseguitato dalla fame, mi chiedevi il pane, signore, e mille volte mi promettesti di pagarlo quando ti fossi visto nel luogo da cui ora risplendi? Ora è tempo, sacro Cesare, poiché pronosticai il tuo onore, che tu mantenga da Imperatore ciò che promettesti da soldato. Io sono Camilla, io fui contadina e fornaia; hai un debito, pagamelo adesso; ci sono testimoni contro di te, perché Massimiano sa bene che tutto questo è vero.

Diocleziano
Per la suprema divinità di Giove sovrano, vorrei che le donne fossero ammesse alla dignità imperiale: nell'averti incontrato c'era un disegno arcano. Ciò che promisi da soldato, lo pagherò da imperatore, Camilla, perché il valore cresce di pari passo con il grado. Ciò che dissi, lo manterrò; chiedimi il valore del tuo pane.

Camilla
I Cesari sempre danno da Cesari.

Diocleziano
So bene che per pagarti adeguatamente al loro decoro non c'è in Roma tesoro abbastanza grande; tu chiedi e fammi pagare.

Camilla
Vuoi dunque che sia io a chiedere? Chiedo il permesso di poter entrare e uscire dai tuoi appartamenti imperiali e dovunque tu sia, senza che nessuno me lo impedisca.

Diocleziano
Non vuoi nulla di più?

Camilla
Questa è una grazia senza pari; e con ciò mi ritengo pagata.

Diocleziano
Così, anzi, mi rendi più debitore. Voi tutti, ricordate che Camilla ha libero accesso alla mia persona, fossi anche impegnato in affari del Senato.

Servo
Signore, è giunto Genesio, che chiede di baciarti il piede.

(Entra Genesio.)

Genesio
Principe invitto
Fino al v. 1291 seguono endecasillabi sciolti interrotti, in maniera irregolare, da distici, sempre endecasillabi, rimati, che sottolineano a mo' di clausola i diversi passaggi del discorso. Tale forma metrica e interessante in quanto Lope riprende, proprio nel momento in cui si addentra in question di teoria teatrale, la metrica peculiare dell'Arte nuevo, sebbene con minor accuratezza. Sulla metrica dell'Arte nuevo si veda la nota di F. Rico in Primera cuarantena, Barcelona 1982, pp. 123- 124. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
, che la tua maestà mi dia il suo piede imperiale.

Diocleziano
Provo grande piacere nel conoscerti, perché mi era giunta notizia della tua fama.

Genesio
Se le tue glorie, se le tue grandi imprese, se la tua rara divina intelligenza, inclito Cesare, potessero essere espresse in versi e in storie, Genesio reciterebbe il tuo elogio e tutti gli ingegni che illustrano non solo Roma, ma anche Spagna e Grecia, sarebbero intenti a scriverlo.

Diocleziano
Oggi devi montarmi una grande festa; mentre mangio e il Senato onora la mia tavola, prepara una bella commedia.

Genesio
Scegline una che possa piacerti. Vuoi l'Andria di Terenzio?

Diocleziano
E' vecchia.

Genesio
Vuoi Il milite glorioso di Plauto?

Diocleziano
Dammi una storia nuova che sia piena di invenzione anche se manca di arte; in questo ho un gusto da spagnolo e, se il verosimile è salvo, non guardo tanto alle regole, anzi il rigore mi stanca e ho notato che chi è attento a rispettare l'arte non riesce mai ad essere naturale.

Genesio
Ho una commedia che si chiama Il prigioniero d'amore.

Diocleziano
Titolo generico: non vedi che andrebbe bene per qualsiasi altra, poiché in tutte ci sono per forza degli amanti? Chi è l'autore?

Genesio
Fabrizio, sacerdote di Giove olimpico.

Diocleziano
I versi?

Genesio
Duri, sacerdotali, ricercati; se può chiamare il sole "lampada eterna", non c'è modo che lo chiami Febo; rimescola gli odori, le spezie delle due Indie e non lascia in Libia animale feroce o serpente.

Diocleziano
E che lo ascoltino loro.

Genesio
Ho una storia intitolata La contesa di Marsia e Apollo; ne è autore Corinto, uomo eccellente nella pittura di versi furiosi, infelice nelle trame e nelle invenzioni ma, quando gli viene bene, vale la pena di ascoltarlo.

Diocleziano
Passa a un'altra.

Genesio
Ho una commedia di un poeta greco che le basa tutte sul far salire e scendere mostri dal cielo; il teatro sembra una scrivania con diversi cassetti e tendine. Non c'è una scacchiera pari al suo fondale; i versi, se li guardi tutti insieme, sembrano pietre che una rustica mano abbia messo in ordine sull'aia per trebbiare; ma di solito stupiscono il volgo rozzo e ci fanno guadagnare più di quelli ben scritti, perché egli parla la lingua degli sciocchi, e pure se due protestano, ne restano più di cinquecento che lo capiscono
Seguo la Parte XVI. L'edizione moderna: la atiendan'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
.

Diocleziano
Hai qualche tragedia?

Genesio
Ho l'Elettra di Leonizio, preferita a quella di Sofocle: farà piangere le pietre; versi tragici che superano in gravità quelli di Seneca. Ne ho un'altra di Eraclio, intitolata La Sofonisba; è una cosa celestiale, Virgilio non fu altrettanto eroico; e ho La Tisbe di Cornelio, grande filosofo spagnolo, parente di Lucano.

Camilla
Non chiedergli una tragedia. Vogliano i cieli estendere il tuo impero da un polo all'altro: se le tragedie narrano la rovina degli imperi, non sarebbe di buon auspicio il giorno della tua incoronazione.

Diocleziano
E allora mettimi in scena una commedia che piaccia a te, sceglila tu.

Genesio
Farò la mia. Se per caso non ti piacerà, nessun poeta ci perderà la fama.

Diocleziano
Mi hanno detto che sai imitare alla perfezione un re, uno spagnolo, un persiano, un arabo, un capitano, un console, ma che superi te stesso quando imiti un innamorato.

Genesio
Imitare è essere attore; ma, come non è possibile che il poeta descriva con affetto e dolcezza sentimenti d'amore se non li ha in sé e dai suoi versi si capisce quando è amore che detta ciò che egli scrive, così l'attore, se non prova la passione amorosa, è impossibile, gran signore, che riesca a recitarla; una lontananza, una gelosia, un'offesa, un rigido sdegno e gli altri tenerissimi effetti d'amore, li renderà con tenerezza se li prova; ma non saprà fingerli se non li sente.

Diocleziano
Andiamo, valoroso Massimiano; rendiamo onore al senato e loro rendano onore a noi.

Massimiano
Tu, sommo signore, hai onorato Roma con la speranza del tuo sacro impero.

Diocleziano
Vieni Camilla, tu hai libera entrata.

Camilla
Così l'avessi nel tuo cuore...

Diocleziano
Tieni al mio amore?

Camilla
Adoro la tua persona e ti ho amato più del maggior tesoro.

(Escono tutti e Genesio resta solo.)

Genesio
Amore, sarai orgoglioso di rendere con la tua fiamma tanto più eccelsa la mia fama, quanto più grande è il tuo rigore. Persino il grande Imperatore ha saputo che io interpreto il tuo fuoco, il tuo sentimento con tanta perfezione che già desidera vedere come imito quello che provo; ma, per essere precisi, non mi sembra giusto chiamare imitazione ciò che è la pura verità; commedia è il mio volere, poeta l'intenzione della storia che narro, in cui con bei versi esprime i forzati movimenti del mio pensiero. Tutti i miei sensi folli, con somiglianti apparenze, si sono fatti interpreti dei miei affetti sottomessi: le mie orecchie fanno la parte di un sordo che non vuole ascoltare la ragione. E i miei tristi occhi rappresentano un cieco che va a lamentare la sua passione. Il mio olfatto imita quelle genti che, come dicono mille scrittori, si nutrono solo del profumo dei fiori; perché in così mutevole stato, questo pazzo senso si nutre del profumo della mia speranza, che è un fiore per ciò che ha di verde e dietro cui perde i propri passi chi mai ne coglierà il frutto. Il tatto delle mie mani fa la parte di un furioso che cerca di toccare il cielo con i suoi vani pensieri; sprezzo i sani consigli e seguo quelli che mi uccidono; dentro di me e con me convivono mille manicomi; e amore dice che sono ancora pochi per il mio giusto castigo. Il mio gusto, che era il primo e miglior attore, ora recita la parte di un innamorato che va dietro al proprio errore; e sebbene sia una commedia d'amore, se l'autore non l'aggiusta, non avrà finale da commedia, e non si concluderà con le nozze, perché tutte le figure il dolore le trasforma in tragedia.

(Entra Pinabelo, attore che fa le parti di servo.)

Pinabelo
La compagnia è qui.

Genesio
I costumi sono arrivati?

Pinabelo
Anche loro.

Genesio
I musicisti?

Pinabelo
Floriseno ha detto che veniva dopo.

Genesio
Per la mia vita, molto bene! Un musicista ci deve sempre mancare.

Pinabelo
C'è ancora tempo, l'imperatore
La Parte XVI da, sicuramente errato, 'embaxador', ripreso dall'edizione Menendez Pelayo. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
sta mangiando. Dimmi se vuoi, signore, che omaggino Marcella.

Genesio
Omaggiare chi non mi fa dormire e non mi ha mai amato? Pinabelo, non nominarmi quella donna.

Pinabelo
Reciti per me, Genesio, o mi racconti storie?

Genesio
Volesse il cielo! Quando agghiaccio nel mio ardore, devi capire che ho timore di amarla, dubitando che non mi odi aspramente; che se la gelosia è amore, è un amore pieno di incertezze.

Pinabelo
Manda via Ottavio - che Dio ti protegga - e vivi tranquillo.

Genesio
Ormai, per questa idea, il tuo consiglio arriva tardi; a parte che, se passo in rassegna gli attori che ci sono adesso, pochi emergono e mi soddisfano come lui, i miei mali peggiorano se se ne va a causa del mio male. Marcella farà in modo di andarsene dalla mia compagnia, sarà triste giorno e notte, non studierà e non proverà; e dato che il recitare è cosa che richiede piacere, se io le do questo dispiacere, accentuando la sua offesa, assumerà in assenza di Ottavio un ingiusto atteggiamento.

Pinabelo
Allora, chiedila in sposa a suo padre; che preferirà darla al suo capocomico più che a un uomo appena arrivato.

Genesio
Sposare chi ne ama un altro, non è onorevole né prudente: il matrimonio è l'unione di due volontà ed è impossibile l'unione fra condizioni differenti. Il Cesare mi chiede una commedia d'amore; penso che inscenerò una commedia di gelosia, che risponda al gusto di entrambi.

Pinabelo
Sicuramente non ti scorderai di abbracciare Marcella.

Genesio
L'ho scritta apposta per poterla abbracciare tante volte quanti sono le prigioni e i lacci dove lei pone l'anima a cui ha tolto il riposo; e il passaggio in cui faccio il pazzo l'ho scritto per poter maltrattare Ottavio.

Pinabelo
La tua mente gelosa non ha eguali.

Genesio
Suo padre, poi, l'ho dipinto come un avido.

Pinabelo
Ho sentito la maniera in cui ti parla
Seguo la Parte XVI, nell'edizione moderna: 'decia'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
.

Genesio
Stanno vestendosi?

Pinabelo
Sono già vestiti.

Genesio
E allora, si vestano anche i miei sensi e recitino per me.

Pinabelo
Arriva l'imperatore; vai a trasformarti in innamorato.

Genesio
Ottavio e Marcella parlano fra loro. Ah, che dolore!

Pinabelo
Là, amore mette in scena i desideri e le inquietudini e qua i tuoi stessi sospetti una commedia di gelosia.

Genesio
Quella in cui recita la gelosia, Pinabelo, chiamala tragedia.

(Entrano l'imperatore Diocleziano e Massimiano, due senatori, Lentulo e Patrizio.)

Lentulo
In nome del Senato e di Roma, fortunata sotto il tuo impero, ti porgo le nostre felicitazioni e mille ringraziamenti per questo pranzo sontuoso.

Diocleziano
Se questa buona disposizione, per cui assomiglio ai migliori Cesari, merita alcunché, Roma me l'ha già dato, offrendomi onori pari a quelli con cui soddisfa gli dei. Ringraziate anche Massimiano, amici senatori, per i favori che riceveste dalla sua eroica mano.

Massimiano
Tu solo puoi favorire loro e Roma: tu, Diocleziano, che in grandezza superi tutto, eccetto il cielo sovrano; è giusto che Roma dica di te quello che disse di Giove e Augusto, giacché hai diviso
Correggo la lezione evidentemente errata della Parte XVI: 'ha repartido', ripresa dall'edizione moderna. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
l'Impero con me.

Diocleziano
Con te, lo dica Roma, ho diviso il comando della terra, poiché per sorte la terra mi è toccata.

Massimiano
Il tuo valore racchiude una eroica grandezza.

Diocleziano
Ora, Senato, mentre dimentico l'esercizio della dura guerra, offrirò feste al popolo di cui desidero l'affetto.

Lentulo
Giusto desiderio, ma già l'hai realizzato, perché il popolo ti adora e prega il cielo per la tua vita.

Diocleziano
Lo desidero sereno e prospero.

(Entra Camilla.)

Camilla
La commedia è pronta per te.

Diocleziano
E allora vai a dire, Camilla, che il mio orecchio è pronto ad ascoltare l'immagine della vita. Sedetevi e si cominci.

Massimiano
Qualcuno canti.

Patrizio
Questo Genesio è un grande attore.

(Si siedono ed entrano i Musici.)

Musici
Entrò Diocleziano a Roma
col più notevole applauso
che mai si sia udito al mondo
per nessun romano Cesare.
5
E' il miglior imperatore
cinto d'alloro divino
quello che per le sue imprese
elessero i suoi soldati.
Roma, Roma nel trionfo,
10
suona strumenti diversi
e Marte, fra soldati e lieti auguri
suona, suona le trombe ed i tamburi.
Il merito non consiste
in imperi ereditati
15
ma nella forza dell'animo
e nelle imprese del braccio.
Perciò merita l'impero
il divino Diocleziano,
che solo pel suo valore
20
merita il sacro impero.
Roma, Roma nel trionfo,
suona strumenti diversi
e Marte, fra soldati e lieti auguri
suona, suona le trombe ed i tamburi.

(Escono, ed entra Genesio, da folle.)

Genesio
25
Quando il grande Alessandro,
giunse ad Atene, aveva
desiderio di conoscere
Tebano, un grande poeta,
(poiché i principi allora
30
onoravano i poeti)
e anche Socrate diceva
che l'elogio delle armi
e delle arti si fondava,
sulla penna e sulla lingua
35
di Tebano. Questi entrò
e sfilandosi all'entrata
i guanti, ché portar guanti
davanti al Re è malfatto,
e chi li indossi sarebbe
40
una bestia, più che un uomo,
ché solo i forti cavalli,
che non possono levarli,
stanno con i loro ferri
dinnanzi al re; il poeta
45
i guanti li tenne in mano
e chinando le ginocchia
davanti alla sua grandezza,
per il gran turbamento
d'essere la prima volta
50
alla sua presenza, i guanti
gli caddero all'aprir bocca;
Tebano ne udì il rumore,
chinò lo sguardo al suolo
e vedendoli pensò
55
ch'erano quelli del re;
li raccolse e baciandoli
glieli diede con vergogna
e Alessandro gli rispose
"Sono tuoi" e con modestia
60
frenò tra le labbra il riso
per non ferire il poeta
incapace di dir motto
e sprofondato in inchini.
Io, invitto imperatore,
65
a cui concedano i cieli
lunghi e fortunati anni,
oggi che sei giunto a Roma
come Alessandro ad Atene,
volendo che ti vedesse
70
Genesio - la mia umiltà
non può pensare che tu
volessi vedere me -
entrando con il discorso
preparato per servirti,
75
sfilai da tutta l'anima
i sensi e le potenze
che indossa come dei guanti
come più le si adattano,
ma non li tenni in mano,
80
anche se mano è la lingua
poiché la lingua è la mano
dell'anima, che con quella
si fa ciò che essa dispone,
ciò che comanda si esegue.
85
Vedendo la tua divina
augusta e sacra presenza
mi caddero, mio signore,
tutti i suoi ragionamenti;
mi chinai al suolo, là dove
90
giacevano ed è ben giusto
che giacciano sulla terra
discorsi giunti al tuo sole
con ali fatte di cera,
li ho presi e con umiltà
95
li ho porti alla tua grandezza,
che, come Alessandro, dice,
con la sua stessa modestia:
"Sono tuoi, Genesio, guarda
che son tuoi ragionamenti
100
che se fossero i miei elogi
non starebbero per terra."
Conosco, invitto signore,
la mia volgare umiltà,
e tu devi riconoscere
105
che se alla tua presenza
per rispetto son cadute
le tre potenze dell'anima,
non merito alcuna colpa
anzi è ben giusto che possa
110
ottenere il tuo perdono
chi fino a terra le umilia.

(Esce.)

Massimiano
Questo è Genesio, signore.

Diocleziano
Attore notevole; non ho mai visto recitare così.

Lentulo
E' unico fra i tanti.

Diocleziano
Questo l'ha improvvisato?

Camilla
Sì signore, è un grande poeta.

Diocleziano
Splendido paragone!

Patrizio
Ingegnoso.

Diocleziano
Come ha detto bene ciò che intendeva! Camilla!

Camilla
Signore.

Diocleziano
Dai adesso questo anello a Genesio per la loa, dopo avrà la ricompensa tutta in una volta.

(Entrano i musici.)

Musici
Lucinda
Lope utilizza qui il parallelismo oppositivo "bien puede ser / no puede ser" reso popolare da Gongora nella letrilla 'Que pida a un galan Menguilla'. Alcuni critici (Castro, A. Alonso, Umpierre, Diez de Revenga) hanno messo in evidenza il riferimento biografico di questi versi, dedicati a Lucinda e detti nella fmzione metateatrale in onore di Camila: Camila Lucinda è appunto il nome poetico con cui Lope si dirige all'amata Micaela de Lujàn. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
, che le tue belle
pupille non siano stelle
esser ben può,
115
ma che nel loro brillìo
non abbiano un che di Dio
esser non può.
Che il tuo labbro divino
non sia proprio un rubino
120
esser ben può,
ma che non vinca
Correggo l"excedan' della Parte XVI e dell'edizione moderna. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
la rosa
così rossa ed odorosa
esser non può.
Che il tuo bianco seno lieve
125
non sia di cristallo e di neve
esser ben può,
ma che non vinca in splendore
di neve e cristalli il candore
esser non può.
130
Che tu non sia il sole, cara,
o angelo santo o fenice rara
esser ben può,
ma che d'angelo in te non tenga
ciò che ad angelo si convenga
135
esser non può.
Che non sian gigli i piedini
o le mani gelsomini
esser ben può,
ma che in loro non ci sia
140
ciò che un amante desìa
esser non può.

(Entrano Genesio, da primo attore, e Marcella, da dama, per dare inizio alla commedia.)

Marcella
Deh, smetti di tormentarmi

Genesio
Tanto tormento ti do?

Marcella
Tanto, Rufino, che ho
145
più che per il tuo amarmi
per il mio odiarti, dolore
e mille accidenti mortali.

Genesio
Se provi sì grandi mali
Fabia, odiando il mio amore,
150
quali siano quelli pensa
che, odiato, provo io,
ché dall'amore all'oblio
la distanza è immensa.

Marcella
La mia pena è maggiore

Genesio
155
Non crederlo Fabia, in vita
non fosti mai aborrita.
Tutti ti offrono amore
e fra uccidere e morire
c'è lo spazio, hai da pensare.
160
che c'è fra aborrita e amare
e fra amata e aborrire;
ma spiegami la ragione
per cui mi lasci.

Marcella
Se mai
mi importassero i tuoi lai
165
ti darei soddisfazione.

Genesio
E Fabia davvero intende
trattarmi con tal rigore
e non gradire il mio amore?

Marcella
Disinganno non offende.

Genesio
170
Ben so, Marcella, che viene
il darmi questa ferita
da che Ottavio è la tua vita,
a Ottavio vuoi molto bene,
ami Ottavio, sleale;
175
lasci me per lui che adori.

Marcella
(Sottovoce.) Genesio, stai recitando?

Genesio
Sì. Recito i miei dolori
per chi mi fa tanto male.

Marcella
Perché mi chiami Marcella, se sono Fabia?

Genesio
Per parlarti veramente,
e obbligare il tuo rigore
180
a provar qualche dolore
per il mio amore demente.

Marcella
Che cosa devo rispondere?

Genesio
Meglio mi risponderai
se accetterai il mio amore

Marcella
Questo non c'è nel testo. Guarda che il Cesare ci guarda.

Genesio
Placa, Marcella, il furore,
185
poni rimedio ai miei guai.

Marcella
Bada che mi hai turbato, ricominciamo la scena.

Genesio
Ricomincia pure, che se il mio amore giunge a buon fine, oggi mi sposerò con te e reciterò per il Cesare le mie nozze.

Marcella
E io reciterò l'odio, con cui voglio abbandonarti.

Massimiano
Credo che si siano turbati: stanno parlando fra loro.

Lentulo
Vedendoti, signore, avranno dimenticato tutto ciò che avevano studiato.

Diocleziano
Penso invece che sia un artificio di questo grande attore, poiché il turbamento è sempre stato il maggior indizio dell'essere amante.

(Entra Fabrizio, vecchio.)

Fabrizio
Esiste al mondo compito peggiore
che a quel d'un padre puoi paragonare
cui tocca la difesa dell'onore?
Dove dal vero potresti copiare
190
Argo se non da me, perché è impossibile
una bella ragazza sorvegliare?
Quanto per custodirla è preferibile
quel drago
Dragón, da identificarsi con la testa della Gorgone Medusa dipinta sull'egida di Pallade e che la tradizione dice essere difesa della castità delle fanciulle (vedi R. Graves, / miti greci, Longanesi, Milano 1979, p. 39 n. 5). (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
dalla vista rigorosa
che dipinsero a Pallade invincibile!
195
Che fai qui, Fabia? Quale nuova cosa
è qui vederti in compagnia?

Marcella
Il signore
con richiesta educata e virtuosa
chiese di te.

Genesio
Sia di Febo il favore
su te, signor Tebandro.

Fabrizio
Che vuoi tu?

Genesio
200
La mia audacia non è nuova in amore;
la fama garantiva la virtù
della tua bella figlia, e gli anni miei
incitava all'amore sempre più.
Che venisse mio padre non volei;
205
io volevo parlarle, io rimirarla,
non mi ingannai, ché ho visto il sole in lei.
Ti supplico signor...

Fabrizio
Se chi ti parla
non sapesse che non è novità
quella che provi e anch'io ebbi a provarla,
210
ti direi: il tuo sangue pagherà
il fio alla casa che tu disonori.

Genesio
Il sangue no, che non ne ha colpa, ma
il mio stesso onore, e gli aggressori
primi, occhi e lingua, nel delitto uguali,
215
e i desideri: ecco i debitori
che suppliranno per mancanze tali,
se pur ce n'è, ove amore mi condona,
che placa il duolo ed inasprisce i mali.
Trovi un difetto nella mia persona?
220
Non sai che sono figlio di Patrizio
che di console ebbe la corona?

Fabrizio
Se i tuoi occhi e la lingua sono indizio
così chiaro d'amor, quali ragioni
avrò mai per oppormi al tuo giudizio?
225
Ma poiché suole in simili occasioni
più dell'ira valer la tolleranza
ti rispondo...

Genesio
No, se anche mi perdoni,
aspetta, che se a me neghi speranza
qui mi darò la morte di sicuro.

Fabrizio
230
Ora voglio che in me poni fidanza;
ma, senza aver parlato al padre, è duro
che nella propria casa un uom si accetti.

Genesio
Vieni a parlargli del mio amore puro.

Fabrizio
Andiam: così conoscerai i miei affetti.

Genesio
235
Ma bada bene: la tua Fabia è mia

Fabrizio
Farò sì che realizzi i tuoi progetti.

Genesio
Concedi allora che la man mi dia:
segno di gioia e patto a noi sarà.

Fabrizio
Come il tuo amor, forte è la bramosia;
240
figlia, giacché la ferma volontà...
il tuo nome?..

Genesio
Rufino.

Fabrizio
...di Rufino
t'assicura che poi ti sposerà
puoi concedere pure, giacché opino
che nulla rischi, questa tanto ambita
245
tua mano a lui.

Marcella
Ahimé, folle destino!

Genesio
M'allieti, Fabia, la mano squisita;
non lasciarmi morire.

Marcella
Alla mia sorte
obbedisco.

Genesio
Amore offra la mia vita
con la tua mano e il tuo braccio alla morte.

(Nel frattempo entrano Ottavio e Pinabelo, servo.)

Ottavio
250
L'hai visto?

Pinabelo
L'ho visto.

Ottavio
E che
l'abbracciò?

Pinabelo
Vidi anche questo.

Genesio
Vieni con me adesso, presto,
parla a mio padre per me.

Fabrizio
Andiamo ed il cielo sia
255
propizio nel suo favore.

Genesio
Che non può fare l'amore?

(Escono Genesio e Fabrizio.)

Ottavio
Che non può la gelosia?

Marcella
Ottavio, eccoti!

Ottavio
E come
hai in bocca il mio nome, ingrata?
260
Chi male si è comportata
non dica più il mio nome.
Viva Giove consacrato!
se qui restava Rufino
gli avrei fatto un bel festino
265
d'augurio pel nuovo stato!
Erano queste le attese
questi i vani giuramenti?
Così muoiono i miei intenti
e le mie dementi imprese?
270
Questa è tutta la speranza
che nutrii di fedeltà?
Fabia, sei donna, si sa,
e sei la stessa incostanza!
Gioisci col nuovo marito,
275
che in breve
Seguo la Parte XVI accettando 'tan breve' e non 'tras breve'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
finirà tutto,
per lui porterai il lutto
prima di averne gioito.
Voglia il cielo, se lassù
c'è qualche divinità
280
che castighi la slealtà
degli amanti di quaggiù
che ho ascoltato stasera!

Marcella
Trattieni sì grandi offese,
che sono, e sarà palese,
285
Ottavio...

Ottavio
Il nome?

Marcella
Sincera.
Senza esser stata avvisata
senza aver dato occasione
Rufino dal mio portone
entrò e son stata obbligata
290
dal padre per obbedienza
a dargli la mano; che importa?

Ottavio
Frena la lingua contorta
o inciterai la pazienza
a che ti trapassi il cuore.

Marcella
295
Che prova sarà bastante
Pinabelo a un folle amante
perché freni il furore
se son vani i giuramenti
se è vana la persuasione?

Pinabelo
300
Chi ama perde la ragione
in mille sdilinquimenti;
se di Ottavio sei presa
e Ottavio di Fabia è preso
dal tuo vero non sia offeso
305
né ti faccia ingiusta offesa
e venga qui concertato
ciò che volete che sia,
quello che il cuore desia,
non ciò che fu concordato.
310
Adirato e fiero, amore
fugge la concertazione,
e non c'è contrattazione
che più esiga un mediatore;
se tuo padre ha decretato
315
che Rufino abbia ingresso
nel tuo volere oppresso
e la tua mano gli ha dato,
il rimedio è nella mano:
trarla indietro è sufficiente.

Ottavio
320
Conosci un espediente
che non sia inutile e vano
nella attuale situazione?

Pinabelo
Da qui Fabia portar via
se me l'affidi e lei sia
325
d'accordo in tal soluzione;
per mare la guiderò;
poi, libera dalla guerra,
la condurrai alla tua terra.

Marcella
Così a rischio metterò
330
per te la vita e l'onore;
se ancor dubiti di me
dovrò pensare di te
che non hai alcun amore.

Ottavio
Ora andrai con Pinabelo
335
là dove ti porterà?

Marcella
Parte remota non v'ha
né in terra né sotto il cielo,
dove col tuo servitore
non vada.

Ottavio
Con lui e con me.

Marcella
340
Perdona padre, perché
seguo lo sposo.

Pinabelo
Oggi, amore
crudele, fosti pietoso;
macchierò la mia lealtà
ma Ottavio più non l'avrà.

Marcella
345
Prometti d'esser mio sposo?

Ottavio
Mano e parola ti do.

Marcella
Cielo, se la commedia fosse reale!

Ottavio
Non chiederei di meglio.

Marcella
Sono così presa di te che vorrei proprio che glielo facessimo questo tiro a Genesio.

Ottavio
Ammiro la tua fedeltà, Marcella.

Marcella
La vedrai sempre maggiore.

Diocleziano
Ho il sospetto che stiano recitando la loro stessa verità.

Massimiano
Con la loro autenticità rendono più credibile la storia.

Lentulo
E adesso il servo vuole tradire il suo padrone, così Ottavio, traditore del padre, sarà ingannato a sua volta. In questo modo quel Rufino e questo Ottavio resteranno senza Fabia e se la godrà il suo schiavo.

Patrizio
E' arrivato il padre.

(Entra Genesio con Fabrizio.)

Fabrizio
Sono felice che il tuo genitore
essere voglia mio parente e amico.

Genesio
Se non capisse quanto gli fai onore
350
padre non mi sarebbe, ma nemico.

Fabrizio
Attende, affetto da lieve malore,
che gli portiamo Fabia.

Genesio
Ed io ti dico:
se foss'io, non sarebbe il mal bastante.

Fabrizio
E' il piacer la salute d'ogni amante.
355
Gli ho parlato di dote ma già intendo
che più gli preme la virtù.

Genesio
Non credere
che più domandi di ciò ch'io pretendo.

Fabricio
E' il centro del tuo amor che mi vuoi chiedere.

Genesio
Nella bellezza per la qual sto ardendo
360
vedi la dote che dovrai concedere.

Fabrizio
Non ha per dote piccola ricchezza
chi virtù ottiene, nobiltà e bellezza.

(Entra Celio, da servo.)

Celio
Più volte Roma conobbe,
Tebandro savio e discreto,
365
da esempi la tua prudenza
e il tuo raro intendimento;
di vedere ora è il momento
se fu inganno o se fu vero
che superasti Catone
370
in un esempio più grave.
Tua figlia Fabia, Tebandro,
vedendo che la mariti,
che la dai a questo giovane,
che pure è giovane illustre,
375
disperata e prendendo
da amante il peggior consiglio,
perché chi ama giammai
scelse i migliori consigli,
con Ottavio, quell'Ottavio
380
più nobile che prudente,
che in questa strada ti offese
presuntuoso e superbo,
al porto di Ostia s'avvia,
e dicono che fuggendo
385
in una nave...

Fabrizio
T'arresta
non dir di più, Celio.

Genesio
Celio,
che dici? Fabia è fuggita
con Ottavio?

Celio
Già dal porto
saran partiti, Rufino.

Genesio
390
E che? io ragiono ancora?
Va' Tebandro, va', per Dio;
provvedi in massima fretta
che non si imbarchino o lascia
che io per primo mi uccida.
395
Ci fu mai tale disgrazia?

Fabrizio
Rufino, al mio dolore
rimedio non è la morte,
rimedio è seguire Fabia;
Ottavio mi disonora.

(Esce Fabrizio.)

Genesio
400
Celio, fermati un momento,
fermati e dimmi, da chi
si seppe questo accidente?
Chi l'ha visto? Chi lo narra?

Celio
Io stesso, io, io che vengo
405
proprio adesso dal porto
io li vidi preparare
una nave per la Spagna.

Genesio
Fermala, cielo nemico;
alza, spumoso mare,
410
le arene dai tuoi abissi
alle stelle che adornano
il dorato firmamento;
vento animoso, rivolta
le onde con tal impeto
415
che ululi il mare oppresso,
e tremino gli elementi.
Erri l'esperto pilota
- sempre alla bussola intento -
nel governare la nave;
420
perda del tutto la rotta
né più ascolti ciò che dice
il timoniere turbato,
né gli ubbidisca la ciurma
nel suo confuso sconcerto;
425
cadan le vele stracciate
dall'infuriare dei venti,
si rompano drizze e trozze
scotte e neri sartiami;
se al corridoio di poppa
430
vai col tuo amante superbo
come Elena con Paride
andava ingiuriando il greco,
venga un tal colpo di vento
che ti getti in un momento
435
fino ai bompressi di prua,
sopra la cima dei trevi;
ma, deh, fermatela o cieli:
mal la raggiungeranno i miei pensieri
se cammina per acqua ed io per fuoco.

Celio
440
Non lasciare le redini
con tale eccesso al tuo amore,
che è un cavallo imbizzarrito.

Diocleziano
Recita bene.

Massimiano
Estremamente.

Diocleziano
Genesio è sempre stato elogiato per questo personaggio del pazzo, con tutte le sue ansie e passioni.

Lentulo
Vedi questa scena?

Diocleziano
La vedo sì!

Lentulo
Per Giove, tutto ciò che vedi fare a Genesio come amante, commuovendo persino le pietre, è nulla in confronto al vederlo fare un cristiano di quelli che, seguendo Cristo e abbandonando i nostri dei, sacrifici e fuochi sacri, si accostano al suo battesimo, perché lo fa con tanto vigore, con tale forza di oratoria, che ti lascerà stupefatto.

Diocleziano
Domani, per mettere in burla costoro che negano il dovuto incenso a Marte e a Venere, a Giove e a Mercurio, voglio che Genesio reciti e faccia per me uno di loro, per vedere dal vivo un cristiano risoluto fra tanti tormenti.

Massimiano
Ascolta che ricomincia il suo furore.

Genesio
Se del liquido elemento
sei il sacro dio Nettuno
445
e ti obbedisce Proteo,
alza dalle fredde urne,
dove in pareti di gelo
formano arazzi le alghe
e seggi la madreperla,
450
la tua testa, che incoronano
perle e teneri coralli
e col tridente ferisci
il grande salino impero
perché tutto alterato
455
contro gli scogli superbi
contro gli Euripi e le Scille
Euripos y Scilas. per antonomasia, gli stretti. Euripo significava presso i greci genericamente stretto di mare e, più specificamente il passaggio di mare tra l'Eubea e la Beozia, che porta ancora questo nome. Scilla, appaiata con Cariddi, indica lo stretto di Messina. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
come chi spezza uno specchio
vada la nave in frantumi.
Celio, che posso dirti, Celio? Di' che entrino, che già ho dovuto improvvisare tutto questo; bada che questa tirata finisce qui.

Celio
Mi sono accorto che parli all'impronta.

Genesio
Certo si staranno vestendo; ripeterò quei primi versi:
ma, deh, fermatela o cieli:
460
mal la raggiungeranno i miei pensieri
se cammina per acqua ed io per fuoco.

(Entra Fabrizio.)

Fabrizio
Perché ti stanchi, Genesio, con queste esclamazioni?

Genesio
Tu mi fai questi discorsi, mentre sto recitando per il più grande imperatore del mondo?

Fabrizio
Sappi che Ottavio ha reso veritiera l'offesa e sicuro il mio disonore.

Genesio
Come?

Fabrizio
Si è portato via Marcella.

Genesio
Togliti la barba e annuncia che la storia finisce qui e svela l'intrigo.

Fabrizio
Castigo, signore invitto, ché quella stessa scena che recitava Fabia, ossia mia figlia Marcella amata dall'autore, l'hanno resa così veritiera che sono usciti dal palazzo e in questo breve tempo che era ancora la prima parte, non riappaiono né c'è alcuno che ci dica dove vanno.

Genesio
Se i Cesari, e Roma dà loro questo nome, sono obbligati a far rispettare la giustizia, signore, ordina che si insegua il traditore che porta via questa donna senza cui non è possibile finire la storia.

Diocleziano
E' questa una recita ed è coerente all'invenzione, o ci vuoi mostrare, Genesio, che con simili burle trasformi anche noi in attori?

Genesio
No, signore; è ben noto che Ottavio amava Marcella e dato che il padre mi mostrava amore, essendo io il suo capocomico, tramarono questo intrigo ed io stesso ho scritto l'inganno che mi hanno teso.

Diocleziano
Per Giove, sospetto che tu voglia che io reciti e non so se rifiutare! Dici il vero, o no?

(Entra Pinabelo.)

Pinabelo
Signore, Ottavio è tornato; Vostra Maestà voglia sedersi.

Fabrizio
Guarda, gran signore, se Genesio è stato buon attore.

Genesio
D'ora innanzi voglio, gran signore, essere tutto dalla tua parte, poiché mi hai aiutato così bene nel raggiungere il mio intento.

Diocleziano
La burla mi è piaciuta e poiché ho recitato la mia parte nella vostra storia non c'è motivo che il mio tesoriere vi paghi.

Genesio
Con un simile collega, questo mi sarà di gloria.

Diocleziano
E allora non andate oltre; ma tornate domani perché vi paghi la mia gratitudine, dato che oggi sono attore anch'io, e sappi che voglio vedere come fingi un cristiano.

Genesio
Vedrai, signore sovrano, il meglio di ciò che so fare.

Diocleziano
Andiamo, Massimiano.

Massimiano
Credo che ti sia piaciuta la trovata di Genesio.

Diocleziano
Che raffinatezza!

Genesio
Vorrei sapere, Pinabelo, se è vero il ritorno di Marcella o se è stato per non far adirare l'Imperatore.

Pinabelo
Ammaina le vele del pensiero, che neppure lui può raggiungere Ottavio.

Genesio
Dunque la mia disgrazia è certa.

Pinabelo
Sì, Genesio, lei ed Ottavio si vanno ad imbarcare.

Genesio
Che terribile sconcerto!

Pinabelo
Bada, che può sentirti.

Genesio
Se il mio tormento è sicuro, voglio dire ancora una volta
ma, deh, fermatela o cieli:
mal la raggiungeranno i miei pensieri
se cammina per acqua ed io per fuoco.


Atto III

Camilla
Sono riuscita nel mio intento e ti ho dichiarato le mie aspirazioni.

Diocleziano
Il mio affetto è sempre rimasto celato nei miei pensieri.

Camilla
Se ti chiesi libero accesso, signore, fu solo perché lo ottenesse il mio amore, che ormai è entrato presso di te.

Diocleziano
Hai seminato il grano del tuo pane in buona terra, Camilla, anche se era tempo di guerra.

Camilla
Con te ho seminato speranze e ho raccolto un frutto così eccelso come premio del mio affetto che in tributo posso offrire al cielo tutta la terra. Sulla tua sacra maestà si fonda la mia, perché tu sei signore del mondo e io lo sono della tua volontà.

Diocleziano
Il sapere che era la magnanimità del tuo cuore a chiedere di poter entrare alla mia presenza, e non l'interesse per la ricchezza, anche se il tuo pane a mala pena sarebbe stato ripagato da un tesoro, l'ho apprezzato tanto, Camilla, che ti giudicai moglie degna di un Cesare e così ti diedi accesso alla mia anima.

(Entra Rutilio.)

Rutilio
Adesso puoi venire a vedere le belve che ti hanno portato, mentre si termina il palco che Roma appronta nel grande Anfiteatro.

Diocleziano
Sono belve molto rare?

Rutilio
Mai Roma ne vide tante. Vuoi che te le descriva?

Diocleziano
Mi godrò la tua presentazione.

Rutilio
Coraggiosi leontocomi
L'apax spagnolo leontocomo' è derivato dal greco e si ritrova ancora in Lope Valeroso leontocomo' nella sua Jerusalén conquistada, libro X v.791. Come precisa Vosters (v. S. A. Vosters, Lope de Vega y Juan Ravisio Téxtor. Nuevos datos, in AIH. Actas IV, pp. 785-818, México,1971) quasi tutti i riferimenti agli animali più o meno favolosi citati qui e in altre opere lopiane derivano dal capitolo 'Ammalia diversa' del Theatrum poeticum et historicum, sive Officina, di J. Tixier de Ravissy (1520) a cui Lope ricorse spesso per le citazioni erudite. A pp. 817-818 del suo saggio, Vosters propone un preciso confronto fra i passaggi di Tixier e quelli della tirata di Rutilio da cui si può vedere come anche l'ordine sia quasi lo stesso. Tixier, a sua volta, utilizza la zoologia fantastica dei bestiari medievali, descrivendo animali reali caratterizzati con vivaci e talora favolosi tratti - leoni, orsi, cinghiale, cercopiteco, linee, giraffa (camelopardal), bisonte, pantera, tigre, renna (tarando), iena, cefo (specie di cercopiteco dell'Africa occidentale), rinoceronte - e altri più leggendari quali il cinoprosopo, scimmia cinomorfa (dal greco 'prósopon', aspetto, e 'kyon, kinós', cane), il catobleto (o catoblepa), quadrupede africano raffigurato col capo grosso sempre abbassato verso ; terra: è anche altro nome dello gnu. L'onocentauro (da 'onos', asino) (nella Parte XVI 'oricentauro'), per il quale Nolting-Hauff propone una derivazione biblica (Isaia 13,21; 34,14), è, appunto, un animale metà uomo e metà asino. Se poi il pathaga è una specie di coccodrillo, è difficile invece dare una immagine al monopo, che pure fa parte del bestiario lopiano anche nella Hermosura de Angelica e in El esciavo de Roma (si veda C. Fernandez Gomez, Vocabolario completo de Lope de Vega, Real Academia Espanola, Madrid, 1971). (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
, che sono i maestri che governano i leoni, ne portano due di colore nero come ce ne sono solo in Siria, perché quelli che vediamo in Italia sono sempre di colore rosso, con macchie brune e sanguigne; portano due orsi dalla Misia, femmine, che sono più feroci, le più grandi che mai il popolo romano abbia visto; un famoso cinghiale dalla cui forte testa fuggono le serpi, così grande che sembra quello che spaventò le foreste piangenti per Adone amato da Venere, ed è nato in Macedonia dove vivono quelli più superbi; un cercopiteco indiano, con barba e capelli umani, bianca la faccia e nero il resto del corpo; questo dall'alto di pini e tetti si burla e dà la baia a quelli che passano con risate e buffi gesti; portano un cinoprosopo con la testa di cane e tutto il resto di uomo ed estremamente agile; una lince dalla vista acuta e, dalla coda al collo, tal quale la dipinge Virgilio nei suoi eleganti versi; viene poi un camelopardo che i neri etiopi chiamano nabim e che si vide in Roma per i giochi circensi quando Cesare era dittatore; e viene inoltre dalla Germania un bisonte che in testa ha un solo corno; due pantere come quelle che Scauro portò a Pompeo, con la variegata pelliccia dipinta come coda di pavone; una forte tigre dalla Persia come quelle che un tempo portò a Roma l'imperatore Claudio; il suo corpo è come due grandi leoni e i suoi denti feroci hanno tre chiostre che potrebbero aprire un bue a metà; un tarando, la cui pelle prende tutti i colori dei diversi alberi ed ha corna dai mille rami: gli sciti fanno scudi con la sua pelle che, una volta conciata e stesa sul legno, nessun ferro li può penetrare: un Pegaso della grandezza di un cavallo frisone o nostrano, dalla coda così bella che si vende ad alto prezzo, perché le donne indiane la usano come capelli; un pataga simile per corazza, tronco e pelle al coccodrillo d'Egitto, che piange e poi uccide; ed anche un onocentauro con volto d'uomo e corpo di bestia e un monopo, dell'altezza di un cammello; dai monti africani una iena dai due sessi, che inganna i pastori fingendo la loro stessa voce; portano il temuto catobleto dal terribile aspetto e, con piedi e mani d'uomo, l'agilissimo cefo, un rinoceronte corazzato che da lontano sembra uno scoglio del mare, e un drago che, attaccandosi al petto di un elefante, lo uccide, anche se non può gloriarsene perché quello, cadendo morto su di lui, uccide chi lo uccide: questi ed altri che non nomino li porta Servilio da vari regni remoti per le tue feste, che dà spavento il solo narrarli.

Camilla
Se fra queste belve ne portano anche una che so io, sono sicura che non sarà da meno di loro.

Diocleziano
Te l'aspetti più grande di queste?

Camilla
Più grande ed invincibile e di ferocia più crudele.

Diocleziano
E come si chiama?

Camilla
Amore.

Diocleziano
Hai ragione, è terribile.

Camilla
Se non portate questa belva, non ce ne sarà nessuna così forte, perché non teme neppure la morte quando cerca il proprio piacere. Le altre possono far danno alla vita, ma amore lo fa all'anima, che è una ferocia più stupefacente e strana.

Diocleziano
Va adesso Rutilio e di' che vengo a vederle.

Camilla
Io però, signore, non ho voglia di accompagnarti, se devono gettare prigionieri a belve con tali nomi.

Diocleziano
E perché mai?

Camilla
Perché sono uomini; non voglio vederli uccidere perché tu sei un uomo e per te rispetto tutti gli uomini.

Diocleziano
Ti ringrazio per questo pensiero.

Camilla
Per me sei un uomo; anche se so bene, Cesare, che sei nel numero degli dei; ma questo sarà solo quando riposerai in pace.

Diocleziano
Non si parli più di questa festa delle belve, perché non è una festa la crudeltà: che Roma le ammiri per la loro novità.

Camilla
Solo tu puoi essere così discreto e gentile.

Diocleziano
Orsù. Che venga la commedia!

Rutilio
Sarà un'ora e mezza che sono avvisati.

(Entra Genesio.)

Genesio
Se lo ordina la tua Maestà, possiamo cominciare.

Diocleziano
Genesio! Non ti vediamo da quando Marcella ti fece quella cattiveria. Che hanno fatto dopo?

Genesio
Suo padre andò a cercarli e per maggior castigo li fece sposare.

Diocleziano
Dici bene Genesio, se si amavano molto: ne perderanno il piacere quando saranno così uniti. L'amore dura se si teme di perdere chi si ama; quando diventa padrone, amore perde le forze. Che ne è stato?

Genesio
Li ho accolti, li ho sposati e li ho perdonati.

Diocleziano
E il vederli, non ti rende geloso?

Genesio
Molto, ma ora non più, vedendo che è sua moglie.

Diocleziano
E sei riuscito a perdonarli? Ti sei comportato veramente come un poeta, che sa più che amare.

Genesio
Noi poeti siamo maggiormente obbligati a perdonare le debolezze amorose.

Diocleziano
Le vostre anime, predisposte alle attenzioni, per la naturale delicatezza a cui le spingono i versi e perché immaginano meglio come amore turba l'anima, hanno più obblighi. Sai che commedia desidero che rappresenti?

Genesio
Aspetto solo la tua scelta.

Diocleziano
L'imitazione del cristiano battezzato, che è un tuo grande successo.

Genesio
E allora lo farò, signore.

Diocleziano
Dunque, in attesa del Senato, monta il teatro e prepara l'occorrente; e tu, amor mio, vieni nel giardino, i cui fiori si vedono sulle tue guance, e nel frattempo dilettati delle sue fontane.

Camilla
Per me non c'è diletto al di fuori di te, né più voglio, né spero di più.

(Escono.)

Genesio
465
Amor condusse a sì grande sventura
la verde primavera dei miei anni
ch'io credetti, nel mare dei suoi inganni,
non al porto arrivar, ma a sepoltura.
E se in cenere ancora il fuoco dura
470
già con forza minor ne sento i danni;
se fui geloso e amai, tra i disinganni
non penso sia più amor, ma follia pura.
Può, mentre vive tra gli inganni preso,
mantenersi
Mantengo "conservarse" della Parte XVI. L'edizione moderna: "confesarse". (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
fedele a amor mentito
475
la costante attenzion d'amante offeso.
Ma poi, che importa se continua a amare?
Chi ama, dichiarandosi tradito,
è già sul punto di dimenticare.

(Entra Marcella.)

Marcella
Signor capocomico, vuol dirmi che commedia dobbiamo recitare?

Genesio
Quella del tuo finto amore.

Marcella
Non può essere finto, se è il maggiore del mondo.

Genesio
Era finto solo per me?

Marcella
Sì, per me fu cosa passeggera, e solo per te fu amore, mentre per l'uomo che amai fui costante e sincera.

Genesio
Dici bene e sarebbe giusto che si mettesse in scena il tuo inganno.

Marcella
Se la colpa fosse stata mia, mi spiacerebbe per il tuo dolore e ti darei soddisfazione; ma fosti tu a scrivere la commedia in cui mi assegnasti la parte di Fabia amante di Ottavio, che mi indicò la strada, e dunque tu ne avesti la colpa.

Genesio
Scrissi che abbandonavi tuo padre assieme ad Ottavio che amavi all'eccesso, per far sentire la crudeltà con cui allora mi trattavi, non affinché tu fuggissi.

Marcella
E allora io l'ho intesa meglio.

Genesio
Vorrei solo che tu fossi veramente contenta.

Marcella
Questo lo sa amore.

Genesio
E che non dovessi pentirtene.

Marcella
Come potrei pentirmene?

Genesio
Temo i tuoi cambiamenti.

Marcella
Se cambio, ti amerò.

Genesio
E cambierai?

Marcella
Non lo so.

Genesio
Continuo a sperare.

Marcella
Non hai detto che dovrò cambiare?

Genesio
Sì.

Marcella
E allora, se già lo sai, certo non ti costerà molto aspettarmi.

Genesio
Tengo a mente i tuoi discorsi e ne voglio trarre vantaggio per scrivere una scena su quello che mi fai passare, perché sembra proprio che stiamo recitando tutti e due.
(A parte.) Dio, brucio per i suoi occhi!

(Entra Ottavio.)

Ottavio
Stanno parlando fra loro.

Genesio
Tuo marito!

Marcella
E allora, che importa?

Ottavio
Che commedia staranno preparando? Onore e dignità moderate la gelosia che mi procurano quei due.

Genesio
Il Cesare mi ha ordinato di preparare la commedia del cristiano battezzato.

Marcella
E' una parte da una colonna e mezza: penso di averla scordata, ma la ripasserò.

Ottavio
Vieni che ti darò le battute della scena che faccio con te. (A Marcella.) Non ti ho detto e te lo ripeto che non voglio che parli con lui, se non quando il capocomico recita con te?

Marcella
Ottavio, se tanto amore non bastasse a rassicurarti, ricordati che ho il mio onore.

Ottavio
Sono tutte gelosie, chimere; Marcella, fa' ciò che ti dico, perché non solo quelle vere, ma anche le finzioni che recita con te mi paiono veritiere.

Marcella
Non lo farò più.

Ottavio
E questo basta, ché una moglie nobile e casta rifugge anche dalle occasioni.

(Escono.)

Genesio
Penso che siano solo schermaglie; i malumori dello sposo. Bene: e adesso bisogna pensare al personaggio che piace al Cesare; vuol vedere un cristiano incrollabile nella propria legge. Come riuscirò a sembrare proprio quel cristiano quando mi offrirò al martirio? Con quali azioni, espressioni, gesti meriterò l’applauso? Parlerò con Cristo? Sì. E con Maria? Anche, perché ho sentito che è sua madre, e mi pare di aver scritto assai bene tutto questo passaggio. Chiamerò, come essi chiamano, in mio aiuto i santi, che qui versano il sangue; furioso rovescerò gli idoli che essi odiano. Voglio sedermi qui come se, posto fra grandi tormenti, abbia visto spalancarsi il firmamento; è così che essi dicono. E se un martire mi parlasse o io parlassi a lui? che grande scena, che grande trovata! Chiamerò crudele Cesare, come se mi stesse accanto.
Cane, sanguigno tiranno
480
(così va bene, così mostro il mio furore, )
bada che del mio tormento
solo la tua crudeltà
ne trae offesa, e Dio
l’accoglie con grande gioia.
485
Non pensar, bestia feroce,
che possano il ferro e il fuoco,
né il più atroce martirio
farmi adorare i tuoi dei.
Come alzo bene la voce! Ora voglio rivolgermi al cielo e invocare i santi come se aspettassi la loro gloria, per essere uno fra i molti per il mio feroce tormento:
Santi martiri, implorate
490
Cristo, nella cui Passione
avete trovato forza
per affrontare tormenti
meno tremendi dei suoi,
mi dia aiuto e valore,
495
e se - lo dici tu stesso -
sicuramente non posso
salvarmi non battezzato,
battezzami tu, Signore.
(Musica. Nell’alto della scena si aprono delle porte dietro cui si vede l’immagine dipinta di Nostra Signora e un Cristo tra le braccia del Padre. Sui gradini di questo trono si vedono alcuni martiri.)
Come mi è venuto in mente di dire che volevo il battesimo? Questo non l’avevo scritto, quel giorno. E com’è che in cielo udii tanti applausi e tanta musica? Certo m'inganno. Quanto a chiedere il battesimo, come potrei recitare meglio, quasi fossi lo stesso cristiano che desidera salvarsi? E allora, lo dirò di nuovo:
Santi, chiedetelo a Dio,
500
ho scelto d’esser cristiano;
fate sì che io ottenga il cielo.
Quante chimere mi invento per il desiderio di riuscire a imitare questo cristiano che Cesare mi ordina di imitare!

(Si ode una voce da fuori.)

Voce
Non lo imiterai invano, Genesio, e ti salverai.

(Si chiude la porta ed egli prosegue.)

Genesio
Cielo, assistimi! Che è stato? Chi ha parlato? Sarà certo qualcuno della compagnia che, anche se da lontano, mi ha visto mentre provavo. Come ha risposto a proposito! Ha imitato la voce del cielo; ha detto che mi salverò: allora salvarmi vuol dire, Cristo, riuscire a battezzarmi. Ma anche se per finta, Genesio, con impegno vano speri di imitare i cristiani; temo che sia proprio vera l’ascesa dei cristiani al cielo. La voce che mi ha penetrato tutto l’udito e i sensi, sospetto di dover pensare che sia quella di Cristo stesso, se è lui che mi ha toccato e commosso. Dicono che Cristo sia sceso dal cielo e abbia assunto in una Vergine carne umana; che unì la sua sublime grandezza alla nostra umiltà e che questa sua parte mortale soffrì per l’uomo una morte oltraggiosa.

(Entra Fabio, ragazzo.)

Fabio
Non è possibile. Dovrà sempre andar avanti così?

Genesio
E che aprì la porta celeste, che era stata chiusa per il peccato.

Fabio
Ah, signore! Da quando si è sposata, Marcella ha cominciato a trattarci male, non fa nulla e non vuole sapere nulla. Ti pare giusto che mi dica adesso che non può fare l'angelo?

Genesio
Ma se là dove vive e siede in gloria, non deve poter entrare chi non lo adora e non riceve l'acqua santa del battesimo...

Fabio
E' distratto, non mi ha visto.

Genesio
Perché mi spaventa se il suo nome penetra i miei sensi con tanta forza?

Fabio
Ah, signore! E' ben duro sopportare cattivi comandi... non sente che gli sto parlando.

Genesio
E dicono che c'è l'inferno per chi si allontana da lui! E allora che c'è di strano che un cristiano muoia per Cristo?

Fabio
Ah, signore! Non distrarti vaneggiando; viene l'Imperatore ed è chiaro che ci sarà qualche problema, perché Marcella mi ha detto che devo ripassare io la parte dell'angelo, e che lei dà retta solo ad Ottavio.

Genesio
Sì, è Dio che mi ha parlato e mi ha rivelato chi è.

Fabio
Che Dio? Io sto parlandoti dell'angelo.

Genesio
Ah Cristo, un angelo mi parla per te.

Fabio
Io non l'ho visto né sentito.

Genesio
Sei Fabio?

Fabio
Sì, signore.

Genesio
Scusami, ma distratto dall'imitare il cristiano, sono uscito di mente, pensando che l'angelo sovrano mi parlava all'orecchio.

Fabio
Che angelo? Sei in te? Sono io che ti ho parlato dell'angelo.

Genesio
Tu, dell'angelo?

Fabio
Sì, Genesio.

Genesio
Allora mi sono sbagliato sulla voce che ho creduto che venisse dal cielo.

Fabio
Poiché Marcella è il tuo cielo e doveva fare la parte dell'angelo, credo che, pensando a lei, tu pensi che possa darti gloria in terra; ma bada: non sa la parte dell'angelo e ha ordinato che la studi io.

Genesio
Questo è grave. O al cielo piace burlare o io ho sentito una voce soave. Ma sarà stato Fabio che mi ha parlato dell'angelo. E allora Marcella non può farlo?

Fabio
Dice di no, perché ieri non ha ripassato la parte.

Genesio
E tu, Fabio, ce la farai?

Fabio
Per Dio, no. E' più di un anno che l'ho fatta.

Genesio
Arriva il Cesare; non c'è più rimedio, falla come puoi; vieni, ripassala con me.

Fabio
Sento che sbaglieremo.

Genesio
Cristo mio, poiché sei Dio tu mi innalzerai fino a te, perché d'ora in poi ti seguo.

(Escono. Entrano Diocleziano, Camilla, Massimiano e Lentulo.)

Diocleziano
Si segga Camilla fra due Cesari.

Camilla
Vedete che cosa può fare la mutevole fortuna che alcuni innalza ed altri annienta; dove crede di arrivare questa volubile che ora vola sul trapezio e ora nella sfera del vento?

Massimiano
Dove, Camilla? A esser contraria.

Lentulo
(A parte.) Dice bene, ieri era fornaia in mezzo all'esercito di Roma, dove Diocleziano era ancora meno, e oggi prende posto fra due imperatori per ascoltare una commedia.

Massimiano
Siediti, la gente sta arrivando.

Camilla
Silenzio, che comincia la tragedia.

(Entrano i Musici.)

Musici
Cristo, che visse nel mondo
dopo che dal Padre Eterno
scese il Santissimo Verbo
505
ad incarnarsi in Maria,
lasciò la sua legge scritta
col sangue e questo Vangelo
lo segue chi in suo nome
da allora lo ricevette;
510
per sì alta confessione
infiniti ne muoiono
ed ora vivono in lui
nella gloria del suo regno.

(Entra Marcella, da folle.)

Marcella
Del generoso elefante
515
scrivono i naturalisti
tante strane proprietà
che paiono incredibili,
fra le quali meraviglia
che di uno possa dirsi
520
che imparò a scrivere, cosa
che veramente stupisce,
perché se ci sono uomini
che non seppero impararlo,
stupisce che un animale
525
si applichi a formare lettere;
dicono che sulla sabbia
del mare scrisse: "Io sono
chi dedicò queste lettere
alle mie spoglie invincibili."
530
Di un altro narran che offeso
vedendo anteporre un altro
al suo valor nella guerra,
malinconico e intristito
si getta in mare furioso
535
dalle più alte scogliere;
sul suo sepolcro d'arena
piangono ora i delfini.
Questi son casi speciali,
ma in generale di loro
540
dicon due cose, che possono
venirmi bene a proposito;
la prima è che se passano
fra pacifici agnellini
li scostan con la proboscide
545
perché non li si calpesti,
la seconda, che se giungono
a un fiume non lo traversano
i grandi assieme ai piccini,
ché facendosi terribile
550
se le due rive s'innalzano
con i corpi dei più grandi
non affoghino i più piccoli:
li fanno andare per primi
e nessun di loro passa
555
se non li hanno visti in salvo.
Se due Cesari contemplo
che assistono in questo campo
in cui, di teneri agnelli
povero gregge, veniamo
560
con l'autore Genesio
per servirvi umilmente,
sarà bene che scostiate
con le invincibili mani
la nostra umiltà, voi cui
565
tutta la terra si arrende;
e se in mare così grande,
non già nel Po né nel Tevere
dobbiamo entrare, signori,
badate: non è possibile
570
che ci lasciate annegare;
perciò è giusto che vi supplichi
che la Maestà s'allontani
e ci guardi dall'esterno
fino a che noi siamo in salvo
575
e nessuno sia in pericolo;
fateci questo favore,
è male che uomini insigni
non lo facciano, se è giusto,
poiché è donna chi lo chiede.

(Esce. Entra Genesio, come se fosse condotto prigioniero, un capitano e tre soldati.)

Genesio
580
Rispettate il mio grado
anche se son prigioniero.

Capitano
Leone, sei troppo fiero.

Genesio
A morte contento vado.
E se per Cristo non sento
585
come offesa la prigione,
parlai con umana ragione
e ora, è giusto, me ne pento.
Punitemi, disprezzatemi,
su me il furore sfogate,
590
infamie, ingiurie versate,
come vi piace trattatemi,
ché per Cristo tutto è gloria.

Capitano
Scioglietelo, l'umiltà
merita un po' di pietà.

Diocleziano
Bello l'inizio della storia! Il cristiano è stato fatto prigioniero.

Massimiano
Genesio lo recita in modo tale che sembra veramente che lo sia e che il fatto sia autentico.

Genesio
595
Che io venga, Signore Iddio,
se son vostro, battezzato,
se per caso condonato
fosse il martirio mio.
Ché altrimenti so bene
600
che il mio sangue può bastare.

Soldato
Questo non c'è nella commedia.

Capitano
Ne dirà mille così.

Soldato
E' molto ispirato oggi che recita per il Cesare.

Capitano
Ed è giusto, perché dicono che l'occasione esalta l'ingegno.

(Un angelo, dall'alto.)

Angelo
605
Ciò che il tuo animo chiede,
Dio che il tuo pensiero intende
e il suo linguaggio comprende
contento te lo concede.
Sali, sali, ad incontrarmi,
610
che ti voglio battezzare.

Genesio
Anche se non so parlare,
tu sai ben interpretarmi
e questo linguaggio muto
dei miei pensieri comprendi;
615
portami dove pretendi.

(Genesio sale dove sta l'angelo.)

Capitano
Mi sembra che la fine di questa scena non l'avevamo provata così.

Soldato
Fa e dice cose all'impronta, senza avvisarci.

Capitano
Dove va da lì?

Soldato
Non so, ma s'è celato dietro una cortina.

Diocleziano
Adesso Genesio fa finta che dopo aver adorato Gesù Cristo, che è il Dio dei cristiani, quell'angelo sia venuto a incontrarlo, ammaestrarlo e difenderlo.

Massimiano
Quanti vani incantesimi!

Diocleziano
Come loro sanno fare.

Camilla
Dirà che è in preghiera: i loro sacrifici (una volta volli andare a vederli), consistono nel guardare tutti verso colui che alza un'ostia, perché è sotto quella santa forma che discende il loro Dio.

Diocleziano
Non lo capisco.

(Mentre suona la musica, si svela un angelo inginocchiato che regge un'acquasantiera, un altro con una brocca sollevata come se ne avesse già versato l'acqua, un altro con un bianco cero acceso, e un altro con un panno battesimale.)

Genesio
Gesù divino, tu che vedi e intendi
i miei pensieri, perché sei Dio e re;
tu che apri il Mar Rosso per Mosè
Si sostituisce qui all'Amos dell'originale la figura di Mosé per motivi di versione poetica. Anche Mosé d'altronde, come Amos e gli altri esempi biblici citati nel sonetto, è figura simbolica di risurrezione e speranza di salvezza. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
;
tu che alla morte Lazzaro contendi;
620
tu che un ladrone in paradiso prendi
perché morendo si converte a te;
tu, seconda persona delle tre
con cui sul trono celestiale ascendi;
tu, che Giona hai sottratto alla balena;
625
tu che ti rivelasti in Emmaus; tu
il tuo pan benedici. E in questo istante
fai compagnia con me, mettiamo in scena
tu, "La misericordia di Gesù",
io, "Genesio, martire e commediante".

(Si chiude tutto.)

Diocleziano
Questa scena è stata notevole.

Massimiano
Bella l'apparizione.

Camilla
Che eleganza!

Lentulo
Non c'è differenza fra questo e la realtà.

Camilla
Come stava umile e con le mani giunte al momento del battesimo, imitando i cristiani!

Diocleziano
Sembra che lo sia lui stesso.

(Appare in alto Genesio e scende.)

Genesio
630
Signore, che mi hai sorretto
con tanta grazia e favore,
le armi del tuo grande amore
ora poni nel mio petto;
ché così, rinvigorito
635
da te, non l'abbatterà
la morte che mi vedrà
di debolezza vestito.
Orsù amici, che ora vengo
contento al martirio: andiamo.

Capitano
Andiamo bene, per Apollo; in tutto il copione non c'è né questo verso né questo passo.

Genesio
E io che posso dirti, se non che è di questo passo
II solito gioco di parole su 'pie' come 'piede' e come 'misura di verso' (l'unità metrica della versificazione greco-romana) è intraducibile. Qui si è cercato di renderlo con 'passo' nel senso letterale e in quello figurato di 'scena'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
che vado a morire? Dio ha messo questo passo
II solito gioco di parole su 'pie' come 'piede' e come 'misura di verso' (l'unità metrica della versificazione greco-romana) è intraducibile. Qui si è cercato di renderlo con 'passo' nel senso letterale e in quello figurato di 'scena'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
nel mio testo ed io non potrei seguirlo se non tenessi il suo passo
II solito gioco di parole su 'pie' come 'piede' e come 'misura di verso' (l'unità metrica della versificazione greco-romana) è intraducibile. Qui si è cercato di renderlo con 'passo' nel senso letterale e in quello figurato di 'scena'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
; di questo passo
II solito gioco di parole su 'pie' come 'piede' e come 'misura di verso' (l'unità metrica della versificazione greco-romana) è intraducibile. Qui si è cercato di renderlo con 'passo' nel senso letterale e in quello figurato di 'scena'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
lo vado seguendo nella commedia e nella cena della sua messa e della vita e della gloria che aspetto in Dio. Ed ogni attore, ché tutto il mondo lo è, se non tiene questo passo
II solito gioco di parole su 'pie' come 'piede' e come 'misura di verso' (l'unità metrica della versificazione greco-romana) è intraducibile. Qui si è cercato di renderlo con 'passo' nel senso letterale e in quello figurato di 'scena'. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
non si stupisca se si perde.

Capitano
Di' che suggeriscano, che Genesio si è perduto.

Soldato
Ehilà, suggerite!

Genesio
Ma non vedi che ormai è il cielo che mi suggerisce, da quando ho sentito un angelo che da dietro un sipario azzurro diceva: "Cammina Genesio; cammina perché è lui che lo dice"? Il testo era sbagliato: dove doveva dire Dio, amici, diceva Demonio; peccato, invece di grazia; invece di cielo santo, inferno e là sarei se mi fossi sbagliato; invece di vita, morte crudele; invece di gloria, eterno pianto; ma dopo che l'Angelo mi ha suggerito da dietro la scena del cielo e mi ha insegnato che cosa fare per agir bene, da quel preciso momento ho recitato a Dio il mio ruolo, di filato come un'avemaria, che anche quella era nella parte. Ascoltarono la commedia della mia devozione com'era giusto, e certo è molto piaciuta se adesso mi innalzano al cielo. Da ora innanzi appartengo a Dio perché. della sua fede, il cielo dice che sarò il migliore interprete.

Capitano
Suggerite, che si è perduto. Quello che dice lo improvvisa.

Genesio
Sì, perché tutto questo l'ho appreso per miracolo.

(Fabio, da angelo.)

Fabio
640
Genesio, a nome di Dio
ti vengo a parlare.

Capitano
Questa scena è già stata fatta ed è inutile che adesso cerchi di rimediarla; la scena del battesimo è già passata.

Fabio
E come, se io non sono entrato in scena?

Capitano
Sì, che sei entrato.

Fabio
Io?

Capitano
Sì.

Fabio
Io? Ma che dici?

Capitano
Sì, proprio tu.

Diocleziano
Voi attori, vi rendete conto che ci sono io qui?

Genesio
Signore, la colpa è solo mia e non è giusto che ti adiri.

Diocleziano
Se non sapete la commedia, perché venite a farla? E perché litigate anche, mentre siete in mia presenza?

Capitano
La tua maestà non ha visto qui l'angelo?

Diocleziano
Sì.

Capitano
Eppure insiste che non è entrato e voleva rifare la scena.

Diocleziano
E' vero.

Fabio
Grande Cesare, se si prova che sono venuto sul palco ti chiedo di tagliarmi la testa.

Diocleziano
Ma se ti ho visto io stesso.

Camilla
Che dici ragazzo? io e tutti ti abbiamo visto!

Fabio
Signori, non ero io. Badate bene che non sono stato io.

Massimiano
Taci, stupido, sei pazzo.

Genesio
Dice bene: un paraninfo dal cielo, con divina voce, ha recitato tutta la sua parte.

Diocleziano
Che paraninfo?

Genesio
Un angelo che mi mostrò un libro sacro, dove ho letto quello che ho imparato, che è lo stesso che ora dirò. Cesari, io sono cristiano e ho già il santo battesimo: questa è la mia parte perché il mio capocomico è Gesù Cristo: nel secondo atto è narrata la vostra ira; quando inizierà il terzo reciterò il martirio.

Diocleziano
Parli sul serio, Genesio?

Massimiano
Genesio, di', hai giudizio?

Genesio
Parlo sul serio, tiranni.

Massimiano
Uccidetelo.

Diocleziano
Cane insolente! Rinneghi Giove?

Genesio
Sì, perché è disonesto e indegno di portare il nome di dio.

Diocleziano
E allora voglio pronunciare la mia battuta: tu morirai in commedia, poiché in commedia hai vissuto. Mi seggo come tribuno: portatelo qui.

Genesio
Ben detto; vengo e rinnego i tuoi dei e adoro Cristo, il Dio vivente.

Diocleziano
E io ti condanno a morte: guarda che processo veloce; e terminerò la mia parte ordinando che Lentulo e Sulpicio arrestino e poi interroghino quelli che stanno con te. Andiamo via di qui, Camilla.

Massimiano
Indegno, perché hai perduto la grazia del Cesare?

Genesio
Ho quella di Dio.

(Escono Diocleziano, Massimiano e Camilla.)

Lentulo
Che hai fatto e detto?

Genesio
Che adoro Cristo, che sono cristiano e seguo la sua legge; non capisci?

Lentulo
Ehi, guardie!

(Entrano due guardie.)

Guardia
Signore!

Lentulo
Portate in prigione Genesio, stretto da robusti lacci.

Genesio
Buon Gesù, oggi benedico il tuo santo nome: hai esaudito i miei desideri.

(Lo portano via.)

Lentulo
Chiamate gli attori: che escano uno ad uno e nessuno si nasconda.

Sulpicio
Esistono simili villani? Vengono a burlarsi del Cesare.

Lentulo
Solo un uomo che sia cristiano potrebbe tentare una simile vergogna.

(Entra Marcella.)

Marcella
Che mi comandi?

Lentulo
Dimmi che sei.

Marcella
Marcella.

Lentulo
Per cosa servivi a Genesio?

Marcella
Non l'hai visto? Per recitare parti di donna.

(Entra Ottavio.)

Lentulo
Tu chi sei?

Ottavio
Suo marito.

Lentulo
Che parti fai?

Ottavio
Gli amorosi.

(Entra Sergesto.)

Lentulo
Tu che fai?

Sergesto
Io, i ruffiani, il povero soldatino di ventura, il capitano fanfarone e altre cose di questo genere e faccio di tutto, quando si presenta l'occasione.

(Entra Fabio.)

Lentulo
E tu?

Fabio
Faccio i ragazzi, i principi e altre cose di tenera età.

Lentulo
Che risposte penose. Ben ripago l'offesa fatta all'imperatore. E tu che fai?

(Entra Albino.)

Albino
Io faccio i buffoni, i disgraziati, e gli sfortunati, se ora mostri il tuo furore. Faccio anche i pastori se si perde qualche dama e mi chiama per i monti.

(Entra Sallustio.)

Lentulo
Tu, che fai?

Sallustio
Io, i traditori.

Lentulo
Hai un brutto personaggio.

Sallustio
Signore, sono di buona famiglia e non ho mai tradito nessuno.

(Entra Fabrizio.)

Lentulo
E tu, buon uomo, che fai?

Fabrizio
Faccio i padri e i re. I personaggi seri.

Lentulo
Recita la mia parte.

Fabrizio
Signore, non so nulla delle leggi.

(Entra Celia.)

Lentulo
Tu, che fai?

Celia
Le seconde dame, le cameriere e le pastorelle e altre parti di mora.

(Entra il Guardarobiere.)

Lentulo
Chi sei? Come ti chiami?

Guardarobiere
Sono guardarobiere e il mio nome è Ribete.

(Entra Marzio.)

Lentulo
E tu, che sei l'ultimo?

Marzio
Io sono il becchino.

Lentulo
Che cosa?

Marzio
Quello che porta via i morti.

Lentulo
Vedervi mi rattrista; imprigionarvi è crudeltà; rispondete brevemente: siete cristiani?

Tutti
No, signore.

Lentulo
Dopo questa dichiarazione, ve ne andrete soltanto esiliati da Roma.

Marcella
Chiedo perdono ai sacri piedi del Cesare.

Lentulo
Andate presto.

Ottavio
Non resteremo un istante a Roma, signore.

Lentulo
Dirò all'Imperatore che ve ne andate.

Tutti
Ce ne andremo tutti insieme.

(Escono. Entra Genesio imprigionato con una catena.)

Genesio
Mio Dio quando per finta fui cristiano,
e mi chiamaste a verità più vere,
recitavo finzioni veritiere
645
nel teatro del mio pensiero vano.
Ma quando in cielo il pubblico sovrano
e voi, dai palchi delle eccelse sfere,
volgeste in terra gli occhi per vedere
la messa in scena del mio dramma umano,
650
in mala compagnia vi dispiaceste
nel trovarmi, e voleste che foss’io
attore della compagnia celeste.
Scritturatemi voi: io voglio, o Dio,
stare con voi; e se tutto vi deste,
655
fate che in voi finisca il dramma mio.

(Entrano Sulpizio e il carceriere.)

Sulpizio
Questi sono gli ordini del Cesare.

Carceriere
Prenditelo subito, che aspetti?

Sulpizio
Quando torna dopo le belve, lo vuole vedere impalato.

Carceriere
Devi aver recitato proprio male per l'imperatore, Genesio.

Genesio
Da quando ho un altro autore recito per il cielo, perché è folle avere rispetto e timore di un uomo.

Carceriere
Chi metteva tanto in burla questi vani martìri che soffrono i cristiani, ora si ostina ad essere cristiano!

Genesio
Ero nella compagnia del demonio, attore così malvagio ed arrogante, che cercando di imitare Dio, sbagliò la parte, poiché fra i due c'è un grande divario di sapienza. Ora la mia compagnia è quella di Gesù, dove c'è il Padre del Santo Verbo e c'è la Madre, la sempre Vergine Maria, lo Spirito che mi guida verso i due da cui procede; un Battista che può fare la parte dei pastori nel deserto, e un tal concerto di musica che supera quella delle sfere celesti; c'è un Giovanni che parla splendidamente; c'è Davide, un gran poeta, con una commedia perfetta per i suoi canti eccellenti; Pietro, con grande fede, fa la parte di un eminente pontefice e il san Bartolomeo fa l'uomo scuoiato e Maddalena, anche se ha sbagliato, si riscatta quando Gesù le dà il suo piede
Ancora una volta Lope gioca sul doppio senso di 'pie1 come 'piede' e come 'verso'. Qui si aggiunge il riferimento all'episodio della Maddalena che lava i piedi a Gesù. (N. ed. Cattaneo-Vecchia)
. C'è un famoso ladrone, Dima, con una parte breve ma in cui dice più di quanto ha detto Salomone nei suoi libri; c'è un valente Sansone e fra questi attori, Cristoforo farà la parte dei giganti e Ildefonso (che allegria!) farà il guardaroba per Maria con stelle come diamanti; Gabriele fa la parte dei messaggeri di Maria e nessuno è pari a te, che con le spose di Dio reciti le prime parti; Paolo fa i fieri e coraggiosi che vengono disarmati; Francesco farà la parte di quelli che imitano Dio e in questa compagnia Nicodemo porta via i morti, ma subito resuscitano. Nell'altra compagnia, Giuda faceva le parti dei traditori, gli imperatori romani, le parti di crudeltà e tirannia; Lucifero quella di menzogna e perfidia; il mondo sa truccarsi da amoroso, e la carne da dame innamorate; il peccatore porta via i morti, ma questi non tornano in vita.

Sulpizio
Io non posso fermarmi; là me lo dirai con calma, perché voglio vederti quando tornerò a Palazzo.

Genesio
E' Dio che vuole vedermi: volle farmi suo perché stupisca il demonio, perché reciti e canti quando, in gloria per questa morte, Genesio sarà il miglior attore.

(Entra la compagnia che abbandona Roma; alcuni con i propri fagotti e attrezzi teatrali.)

Ottavio
Addio, per sempre, Roma!

Marcella
Addio, gloria delle città!

Fabio
Addio, corona del mondo!

Fabrizio
Addio, madre delle lettere!

Sergesto
Addio, patria generosa!

Sallustio
Addio, faro dei capitani!

Albino
Addio, tempio degli dei!

Celia
Addio, immagine dell'Olimpo!

Ottavio
Io non accuso, Roma amata, il Cesare, né quelli che portano le sue insegne che furono pari alla sua santa pietà. Accuso Genesio, che ha voluto rappresentare l'epilogo della sua vita nell'occasione più bella e importante. Grazie al cielo la tragedia della sua morte si è fermata al personaggio principale senza coinvolgere gli altri. Come faremo, compagni, a recitare le commedie senza che ci manchi quel particolare gusto, pur mancando il miglior attore? Chi potrà fare la parte di Adone nel dramma di Venere, stando all'altezza di quella grazia e abilità, di quel talento ed eleganza?

Marcella
Nel mondo solo tu, Ottavio.

Ottavio
E, ditemi, chi farà Paride nella distruzione di Troia?

Fabrizio
Fabio, che studia molto bene le parti.

Marcella
Procuriamoci un'altra commedia e, mentre facciamo queste, ne studieremo alcune per recitarle più avanti.

Ottavio
Fermi amici, siamo arrivati al teatro che è nel Campo Marzio, dove Genesio recita stasera la sua vita e la sua morte.

Marcella
Ed è lui che nell'ultimo atto parla al popolo che gli sta intorno.

(Si scopre Genesio, impalato.)

Genesio
Popolo romano, ascolta. Io recitai nel mondo le sue favole miserabili, i suoi vizi e le sue malvagità per tutto il tempo della mia vita; io feci la parte del pagano, adorando quegli dei; Dio mi ha chiamato a sé; ora sono un attore cristiano; è finita la commedia umana che era tutta una follia; recitai quella che ora vedete, divina; vado in cielo a farmi pagare, perché gli sono debitore della mia grande fede, speranza e carità, e lui mi è debitore di queste tre recite speciali. Aspetto domattina per la seconda parte.

Ottavio
Qui finisce la commedia del miglior attore.